Tra le uscite di venerdì scorso il primo concept album del duo inglese, il ritorno della formazione toscana e l’esordio itpop del giovane siciliano.
FIELD MUSIC – MAKING A NEW WORLD
[ Memphis Industries | art rock, prog pop ]A costo di sembrare un tantino precipitosa, mi sa che qui siamo di fronte a uno di quelli che a dicembre 2020 reputeremo tra gli album più significativi dell’anno. Un lavoro, il settimo in studio per i fratelli Brewis, concepito lo scorso anno su commissione e destinato ad alcune performance per l’Imperial War Museum, si presenta oggi, a distanza di cent’anni dal Trattato di Versailles, come un compendio delle conseguenze della Prima Guerra Mondiale. Diciannove tracce spaziano tra i generi più disparati, tra l’ironia di atmosfere d’antan, metaforici rumorismi e vuoti significativi, con un gusto per l’imprevisto di impronta deliziosamente bowieana.
Un concept album che guarda ai conflitti armati dalle angolazioni più inconsuete e ignorate, come il trauma del rientro in famiglia di un soldato in Coffee or Wine (“Will I recognise you all / Or have you grown away from me / Since I’ve been away so long?”), o che conduce la speculazione in territori lontani, contemporanei (quello del trasgenderismo in A Change in Heir, che riconnette le conquiste fatte grazie alle esperienze militari in ambito di trapianti alle frontiere dell’attuale chirurgia che consente il cambio di sesso).
Quaranta minuti di stimoli mentali suonati magistralmente che si concludono col mood tutt’altro che sereno della strumentale An Independent State, a ratificare con arte sopraffina la futilità della guerra.
TELESTAR – PUROSANGUE
[ Vetrodischi | cantautorato, retropop ]Progetto capitanato da Edoardo Bocini e silente dal 2015, che torna dopo un sagace restyling sonoro in cui c’è lo zampino di Matteo Cantaluppi, alla produzione di questo terzo lavoro in studio. Un disco che in effetti sul tema del cambiamento è dichiaratamente incentrato: tema caro al cantautorato, al limite dell’inflazionato in un’epoca in cui nello scrivere ci si guarda per lo più allo specchio, ma in fin dei conti intramontabile.
E intramontabile (ed efficace) è anche la ricetta scelta qui: tra gli arrangiamenti accattivanti e la malinconia pulita di un timbro vocale baritonale, gli ingredienti base del buon pop cantautorale ci sono già tutti. Perfezionano gli esiti le propensioni new wave riconvertite in umori mediterranei e i ritmi danzerecci che vanno in corto circuito emozionale con l’introspezione delle liriche, come Cesare Cremonini insegna (ma anche lui l’ha imparato da qualcun’altro).
Musica leggera nell’accezione migliore del termine, di quella in grado di alleggerire con le giuste melodie le inquietudini comuni.
MELI – PLEASE WAIT
[ Futura Dischi | itpop ]Il panorama più o meno indipendente è ormai saturo di italico pop – melodie catchy, liriche tardoadolescenziali, piacioneria – ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio non appena si sente partire un synthino (e neppure ignorare spocchiosamente le istanze dei millennial quando veleggi verso i 40, altrimenti sei già con un piede nella fossa).
Classe 1998, Alessio Meli è figlio del suo tempo e non è qui per stravolgere le coordinate della storia della musica, ma non è certo una roba da pretendere da un ventenne all’esordio, specie se è un debutto con cui il tipo riesce a dimostrare già una certa disinvoltura nella scrittura, a dribblare abilmente le banalità furbe a cui colleghi più stagionati cedono spesso e volentieri, e pure a rimodellare influenze ben più anziane di lui (Daft Punk è un tributo esplicito, e tutt’altro che avventato, all’eleganza innata del french touch).
Chissà se usa ancora dire CBCR. Qui ci starebbe tutto.
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Last modified: 21 Gennaio 2020