Il centro Italia come fucina di validi artisti è uno dei paradigmi musicali, che negli ultimi anni si sta configurando e imponendo, non solo come opinione personale, ma anche come sostanziale realtà di successo. Fa parte di questa ondata di freschezza un artista che, tra le pagina di Rockambula e non solo, ha riscosso un notevole interesse, che sta girando l’Italia con una serie di live show, è prossimo alla ristampa del disco e molto altro ancora. Conosciamo meglio Borghese e il suo album L’Educazione delle Rockstar.
Partiamo dalle domande semplici: una pistola, un passamontagna e una 24 ore, sono questi gli oggetti che hai scelto per raccontare l’immaginario di Borghese. Da cosa nasce questa scelta e cosa rappresentano per te questi oggetti?
La 24 ore è il simbolo di quello che sono nella parte della giornata in cui non mi occupo di musica, diciamo una metafora della quotidianità che ognuno a modo proprio cerca di sublimare o di sfuggire. Il passamontagna è una scommessa aperta con un sedicente produttore con cui ho avuto a che fare prima di entrare in TouchClay Records, il quale diceva, riferendosi alla mia musica, che c’era bisogno di una certa faccia per avere dei risultati in musica; evidentemente non alludeva alla mia. Ho pensato di uscire col mio progetto allora senza alcuna faccia: una provocazione e al tempo stesso una sfida. La pistola giocattolo è il trait d’union di tutto: mi sentivo un infiltrato in clandestinità nel mondo della musica che come arma poteva disporre solo della voglia di giocare e un certo sense of humour.
Prima abbiamo citato il passamontagna; per Borghese l’anonimato e il mascheramento sono il simbolo della spersonalizzazione dell’individuo e della dissimulazione della realtà o un semplice espediente visivo per catturare e colpire l’attenzione di un pubblico distratto?
Come ho già detto la mia era solo una provocazione ad personam, principalmente una rivalsa nei confronti di una concezione estetizzante della musica, che oramai reputo superata (e persino stupida se proposta da un soggetto organico allo show business come può essere un produttore). Solo in seconda battuta il significato è stato dall’esterno globalizzato e politicizzato: mi sentirei di dire che la valenza sociale del disco è stata “eterodiretta”. All’oggi, dopo sei mesi di concerti, di interviste e recensioni, e dopo che nessuno, tranne quelli che sono venuti in concerto a vederci, mi ha visto in faccia, mi piace il fatto di poter essere in un certo senso un Dottor Jekyll and Mister Hyde, uno Spiderman che ad un certo punto della giornata dismette i suoi abiti e diventa qualcosa di più affascinante. In pratica così facendo sono diventato un clandestino nella mia stessa vita.
In questi giorni è uscito “Bella Ciao”, il secondo singolo dell’album. Oltre a farti i complimenti per il passaggio su XL, mi piacerebbe sapere come è nata l’idea di riscrivere uno dei capisaldi, di quelli intoccabili, della tradizione musicale della lotta partigiana, tramutandolo in una dichiarazione di guerra contro la società moderna? Hai avuto più detrattori o sostenitori?
Più che un passaggio su Repubblica è stata un’autostrada percorsa con un TIR carico di tritolo: il nostro articolo ha fatto quasi 900 mi piace e diverse migliaia di visualizzazioni, molto di più di quanto abitualmente riesce a fare un emergente al primo disco: evidentemente il pezzo (lo ricordo per non passare per presuntuoso, non riscrive la “Bella Ciao” partigiana ma ne usa il titolo e le prime cinque note della melodia per parlare della fuga delle nuove generazioni dall’Italia) ha colpito forte un problema che ogni ventenne sente proprio. In quel pezzo, forse il più distorto di tutto il disco, rifletto sul concetto di fuga e di liberazione e come in Italia per una ragazzo oggi siano quasi coincidenti: per molti scappare da questo paese è una liberazione, non è un’alternativa, ma una necessità. Qualche polemica in effetti c’è stata, anzi qualcuno mi ha pure mandato a quel paese (per rimanere in tema), ma non mi stupisce, lo avevo messo in conto e in fondo anche cercato. Quelle due parole in Italia sono un dogma assoluto, che viene usato per manifestare oramai solo antagonismo di facciata; quei due o tre contrari saranno gli stessi a cui, dopo 20 anni di anti-Berlusconismo all’acqua di rosa, (di quell’antagonismo radical che si tura il naso quando sente l’odore forte del popolo), sta bene che due extraparlamentari (Renzi e mister B) di cui uno pregiudicato (Mister B.) scrivano la nuova legge elettorale nella sede del Pd.
Un altro brano che mi ha colpito subito al primo ascolto è L’Odore. Una contraddizione in termini in forma canzone: tematica forte e di denuncia contro la sensibilità delle parole e la delicatezza della musica. Un contrasto voluto, una scelta stilista o solo fortuna?
Contrasto voluto, of course, “L’Odore” parla di una vita sotterranea e scura, parla di segreti inconfessabili, di passioni che si dipanano nel buio. Parla di una relazione immorale, di un amore impraticabile che nonostante non possa essere esplicitato diventa insuperabile e poetico, proprio nei suoi lati più fisici, come appunto l’odore. Comprendo che è un pezzo che possa piacere molto ad una donna; le donne hanno un interiorità molto intricata, un’altra faccia della luna molto marcata, albergo di fantasie che tengono ben strette e che coltivano in segreto, rendendole sempre più magiche, quasi esoteriche. L’uomo no, l’uomo è un animale e basta, lo è da quando aveva una clava tra le mani e forse lo è ancora di più da quando impugna un iphone. Sono un femminista convinto, lo sapevi?
Abbiamo parlato molto dei testi e meno degli aspetti musicali. Sei uno di quei cantautori che compongono da sé anche la musica o ti sei affidato a dei collaboratori. Come nasce una canzone di Borghese?
Le modalità sono tre e mi permetto di elencarle dandomi la terza persona in senso di altera supponenza e rigido contegno. Borghese esce di casa di sera, beve e tornando a casa appunta i pensieri sghembi. Modalità due: Borghese esce di casa, prende un aereo o un treno per un viaggio e appunta tutto quello che succede in testa, mentre il terreno si muove sotto il suo culo (sono appena rientrato dalla Cambogia, quindi annuncio che il secondo disco è già praticamente scritto). Modalità tre: Borghese guarda una sit com in tv, appunta una battuta e riflette sul tema. Per quanto riguarda l’arrangiamento, in sala o in studio mettiamo a confronto le idee tra me, Giacomo Pasquali (chitarrista e deus ex machina della TouchClay Records) e Daniele “Verz” Domenicucci, drummer nonché ingegnere robotico nei ritagli di tempo.
Rockit ti ha definito un cantautore fuori moda e prossimamente aprirai un concerto de Le Luci della Centrale Elettrica; come ti poni all’interno del panorama Indie italiano e nei confronti dei tuoi colleghi cantautori. Ti definiresti più una mosca bianca o una pecora nera?
Cercherei di non farmi accostare ad alcuna pecora, non è un animale molto popolare dalle parti nostre (Abruzzo ndr). Le pecore le infilziamo con dei bastoncini e ce le mangiamo. E nemmeno alle mosche che come è noto hanno molta affinità con le deiezioni organiche. Preferisco, se proprio devo essere associato ad un animale, preferisco essere me stesso, l’unico uomo che amo, nonché l’unico animale che viva con me dentro casa mia.
L’arte della provocazione e dell’ironia sono il tuo biglietto da visita, ma quanta rockstar e quanta ideologia ci sono, se ci sono, dietro Borghese?
Forse in realtà non c’è né la rockstar né l’ideologia in me e questo mi solleva un po’, considerato che sono due categorie vecchie su cui ormai si può e si deve scherzare su. L’ironia mi appartiene davvero, il distacco ironico è fondamentale nel mio approccio alla creatività ed alla giornata stessa. Senza la buona dose di ironia pensi che ci sia qualcuno che oggi potrebbe mettersi una cravatta senza sentirsi un cappio al collo, un camice senza sentirsi un macellaio o una tuta da lavoro senza sentirsi uno schiavo? Ci vuole molta ironia per vivere il presente di questi anni.
Ringraziandoti per questa intervista non posso non farti il classico domandone finale, quali sono i progetti futuri di Borghese e dove possiamo trovarti o vederti?
Al momento siamo impegnati in studio, ci siamo messi in mente di ristampare il disco aggiungendo tre bonus tracks con collaborazioni (per gli amanti dei termini anglosassoni, featuring) con artisti che ci stimano e che stimiamo. Poi da metà di marzo ripartirà il tour che, come abbiamo fatto nei mesi scorsi, toccherà il Nord, il Sud di questa pazza Italia. Su internet siamo dappertutto: sul bellissimo sito (ad opera di Giuseppe Zaccardi) www.borgheserock.it , su fb: www.facebook.com/borgheserock.it. Inoltre se volete sapere di più su google potrete trovare tutta la corposa rassegna stampa de “L’Educazione delle Rockstar” visto che dal Manifesto al Fatto, da Rumore a Rockit hanno parlato tutti quanti, e bene, del nostro esordio.
Borghese Intervista le luci della centrale elettrica Simona Ventrella
Last modified: 27 Marzo 2014
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