La Bamba (USA)
Anno 1987
Durata 108 min
Luis Valdez
Quando ho detto al direttore di aver recensito su sua richiesta La Bamba, mi ha risposto molto laconicamente: “è un film difficile da fare, fatto per piacere alla gente”. E infatti La Bamba (di Luiz Miguel Valdez; di lui si ricorda solo quest’opera degna di nota) appare fatto proprio per piacere al pubblico. La storia di Richard Steven Valenzuela, in arte Ritchie Valens (Luis Diamond Philps), dagli inizi difficili nei barrio degli immigrati messicani alla vetta delle classifiche di dischi venduti, sembra come ovattata dall’inizio alla fine. C’è molto del sogno americano in questa scalata. Dalle baracche, alla casa più grande, da una macchina quasi scassata, alla fuori serie, da quasi sconosciuto messicano a idolo dei suoi compagni liceali. Il senso di protezione ricopre tutto il film e lo possiamo vedere proprio in alcune scene. Il liceo e le sue situazioni sono trattati in stile American Graffiti (perchè George Lucas non è solo Guerre Stellari) o nel difficile rapporto d’amore al liceo con la sua ragazza Donna (Danielle Von Zerneck), una ragazza tipicamente wasp (acronimo di white anglosaxon protestant, in pratica i discendenti dei primi colonizzatori, una sorta di “nobiltà nord americana”) che è osteggiato dalla famiglia di lei.
P.S. A quelli di voi che si chiedono cosa c’entri questo pezzo con il film posso solo dire…….. in verità non ho nulla da dirvi.
Ma il “senso di ovatta” che avvolge il film si ha a pieno nella trattazione del carattere di Valens. Quando viene messo di fronte alla scelta tra la carriera e l’amicizia della sua band lui risponde in modo quasi grottesco di scegliere la famiglia e giustamente firma il contratto da professionista; ma ancor di più questa percezione che ci mette molto a nostro agio è nel rapporto puro, casto ed estremamente adolescenziale con Donna. Il parto del pezzo (in verità una cover) che lo ha reso celebre e che da titolo al film è raccontato con un viaggio quasi allucinogeno con il fratello in Messico. Ma nulla di quella notte di bagordi, dopo la quale Ritchie si ritrova con un tatuaggio sul braccio e con la verginità persa (con buona pace della bella inconsapevole Donna che lo aspetta a casa) verrà rivelato. Possiamo solo immaginarlo, a seconda delle nostre rispettive esperienze. Il risveglio dalla notte di baldoria è, anche in questo caso, descritta in modo benevolo, con un santone che dona al protagonista un amuleto che lo proteggerà dai suoi incubi. L’elemento nero e oscuro del film è il fratello (Esai Morales), anzi il fratellastro Bob, mostrato come un “delinquente” qualsiasi che per vivere contrabbanda erba dal Messico, che trascura e maltratta la moglie (il primo amore di Ritche) ed è poco rispettoso della famiglia. In verità Bob è solo geloso del talento, del successo e delle fortune del fratello e la riappacificazione ci sarà, anche se tardiva.
In contrapposizione a Bob invece, la madre (Rosanna DeSoto, divenuta famosa soprattutto per le soap opera, me che vanta un film, Sono Affari di Famiglia, diretto da Sidney Lumet con affianco Dustin Hoffman) dipinta quasi come una madre coraggio che vive e lotta per vedere affermato il talentuoso figlio, in modo da riscattare anche socialmente tutta la famiglia. Devo quindi dare ragione a Riccardo (il direttore ndr). È un film difficile, perché fare un film su quegli anni (gli anni 50 e 60) e in quegli anni (siamo negli anni 80 e certi discorsi come droga e sesso nel cinema blockbuster americano non si possono toccare) ma fatto per piacere alla gente (e quindi andare sicuri al botteghino). Vedibile.
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Last modified: 20 Febbraio 2019