Amadeus (USA)
Anno: 1984
Durata: 160 min
Regia: Milos Forman
Questa storia, racconta di un giovane genio della musica (suonava brillantemente a cinque anni) che passa da una media casa discografica di provincia ad una vera major del settore. Una volta sbarcato nella capitale mondiale della musica, la sua genialità non passa inosservata. Conquista subito il pubblico, la sua musica è innovativa e fuori dagli schemi, ma tale talento non può non generare l’invidia dei suoi colleghi. Uno in particolare cercherà in tutti i modi di rendergli la vita impossibile fino a provocarne la morte per malattia. L’autore di tale misfatto racconta tutto ciò ad un prete, mentre passa gli ultimi giorni della sua vita dimenticato da tutti, come la sua arte, e la gloria eterna della genialità del suo rivale resterà in vita per sempre.
Se avete pensato che si tratti di una star del Rock qualunque o che ci sia qualche richiamo a Micheal Jackson vi sbagliate. Amadeus altro non è che un film sulla vita di Wolfgang Amadeus Mozart (Tom Hulce) e se qualcuno si chiede cosa centri la recensione su un film dedicato a lui in una fanzine di musica indipendente, basta pensare che egli fu uno dei primi a produrre staccandosi dalla protezione di famiglie nobili e reali, proponendo le sue rappresentazioni come libero professionista, scelta molto azzardata per l’epoca. E di fatti le major e le case discografiche altro non erano che le grandi famiglie feudali, come nel caso dell’arcivescovo di Salisburgo o gli Asburgo. Lo stesso film si basa su un opera teatrale omonima di Peter Shaffer che riprende la tesi di Alexander Puskyn sul presunto (ma oramai è accertato si tratti di una leggenda metropolitana) avvelenamento da parte dell’allora compositore della corte asburgica Antonio Salieri (Murray Abraams, e non fate voli pindarici, non è un avo del grande regista napoletano), che viene costantemente dipinto in maniera bifronte, da una parte logorato dall’invidia e dall’incapacità di capire come mai Dio avesse potuto scegliere una personalità tanto lontana dai canoni delle virtù cristiane del tempo, ma al tempo stesso talmente estasiato e folgorato dall’arte del suo rivale.
Mozart invece è irriverente strafottente, potente e immensamente geniale sul palco. Il film, dicevamo, riprende una vecchia teoria di un grande poeta e scrittore russo, portata sul palco dal drammaturgo inglese e infine trasportata in pellicola da Milos Forman (Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, solo per citarne uno) e dietro questa teoria c’è tutta l’angoscia dell’artista di soggiogare, non solo alle assurde e inutili rivalità con i colleghi gelosi e invidiosi, cosa perfettamente umana e presente in tutti i campi della vita, ma anche e soprattutto alle sterili pretese di chi paga il loro lavoro e dei preconcetti schematici che ingabbiano l’arte in generale. Questo si evince in Amadeus quando l’imperatore Francesco II sbadiglia al “Flauto magico” dicendo a Mozart che l’opera ha troppe note (!!!!!!!!) o nell’insistenza di Mozart di voler produrre musica in tedesco invece che in italiano (per chi non lo sapesse se oggi l’italiano è studiato in giro per il mondo è grazie a gente come Verdi, Puccini e appunto Salieri).
Un film sulla pretesa, a volte anche ridicola ma la maggior parte delle volte sensata, da parte di qualsiasi artista, di essere lasciato libero di esprimersi come meglio crede, perchè si può anche morire in solitudine e sepolti in una fossa comune, ma l’arte resta nel tempo per sempre.
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Last modified: 20 Febbraio 2019