Un bagliore (shimmer) avvolge le mie orecchie pochi secondi dopo aver pigiato il tasto play dello stereo. “Blind Hawaii”, opening track di questo esordio degli svizzeri Rocky Wood, brilla come il ricordo malinconico e dolce di tempi ormai passati ma non per questo dimenticati, come vecchi amori trasformati in lacrime di speranza, come chimere che vedi nascere come boccioli in una primavera sempre nuova eppure ogni volta puntuale, ogni marzo, ogni anno, ogni volta che ti senti spacciato. La voce di Romina Kalsi irrompe sulle tenui note di chitarra in modo sensazionale, con un timbro da pelle d’oca, da magone al cuore come quando incontri la donna che ami segretamente, come quando meno te l’aspetti. Note tenui di chitarra e ritmiche essenziali l’accompagnano verso un orizzonte infinito, in un crescendo Dream Pop che è da annoverare tra le migliori cose ascoltate quest’anno. Convince sempre Romina, anche quando, grazie al banjo di Fabio Besomi, sceglie le strade più Folk (“The Dawn”, “Run Away”) per cantare le sue inquietudini, le proprie illusioni, la sua esistenza e quella degli altri ed anche quando invece cerca di colpire al petto con canzoni intime, più Pop (“Sandstorm”), grazie ad un uso sapientemente essenziale del piano suonato da Roberto Pianca, con tastiere, chitarre e Glockenspiel. Le ballate sentimentali non suonano mai melense e stucchevoli (“Distance Whitout”) e il quasi Funky di pezzi come “Plans” rivela una vena lisergica appena accennata ma dal sapore pungente e intenso (“Sulfur Seed”). Brani (“Dead Man”) che suonano a metà tra un certo Slowcore stile Sun Kil Moon e il Dream Pop femminile di certi Beach House, particolarmente tendenti al moderno Indie Pop e al Pop/Rock Soul (“Shooting Frames”). L’album si chiude con il brano più caotico, multiforme, ricco e carico di effetti e rumore, il più propriamente Alternative Rock anche se sempre in uno stile elegante e non certo disturbante.
Finisce cosi, lasciando il sapore forte ma delicato che solo certa musica strumentale e Folk può dare, specie se insaporita da una voce tanto affascinante, che lascia senza fiato, proprio perché sembra quasi senza respiro. Shimmer è un bagliore (più che un effetto per chitarra, come i più attenti tecnici potrebbero pensare) e come tale ti toglie la vista per un attimo, lasciandoti poi quella strana sensazione di qualcosa che esiste, senza essere veramente. Shimmer sarebbe stato un vero capolavoro se brani come “Blind Hawaii” o “The Dawn” avessero trovato più simili, in tracklist, di pari intensità. Non è un vero capolavoro, Shimmer, ma ci vorrà del tempo prima che la luce di queste canzoni sparisca dal nero dei miei occhi chiusi, appena prima di addormentarmi, aspettando primavera.
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Last modified: 21 Agosto 2014