Febbraio, il mese del nazional popolare. Ci è voluta una settimana intera per digerire quella che – ora possiamo decretarlo definitivamente e con mestizia – è stata l’edizione più insipida della storia del Festival di Sanremo. Di quella che (ahinoi) è indiscutibilmente la più seguita delle rassegne musicali italiane, gli aspetti più conditi si sono rivelati quelli che con la musica c’entrano ben poco, e il più delle volte il sapore ha superato i limiti dello stucchevole e del grottesco. La scelta di affidare non solo la conduzione ma bensì anche la direzione artistica a Carlo Conti (sì, lui, quello abbronzato che durante il resto dell’anno di mestiere fa domande da cerebrolesi a un manipolo di soggetti fatti di Lexotan prima del TG delle 20) preannunciava la disfatta ancor prima di iniziare, ma di certo nessuno si aspettava che sarebbero stati in grado di mandare in onda tanto malessere in eurovisione. Nonostante questo, noi lo abbiamo guardato tutto, questo Sanremo 2015, per voi che non ce l’avete fatta. L’abbiamo guardato in due, sebbene entrambe sprovviste di un televisore in casa propria, Marialuisa e Maria Pia, una mora e una bionda, una nordica e una terrona, a riprova inequivocabile che questa edizione ha fatto schifo a tutta la penisola in maniera democratica e trasversale.
Marialuisa | Partiamo dal cambio di slogan, senza che la modifica abbia apportato migliorie comunicative di sorta: qui si è passato dal “Perché Sanremo è Sanremo”, simile al genitore che ti proibisce di fare qualcosa e alla tua richiesta di spiegazioni risponde “é no, perché no” (non fa una piega), al “Tutti cantano Sanremo”. Di pregio. Che poi, come ha fatto notare un mio amico su Facebook, è l’ammissione del “qui cantano tutti, cani e porci”?
Maria Pia | Già. Forse sarebbe bastata un po’ di lungimiranza per risparmiarci cinque sere strazianti. E a proposito di Facebook, sappi che è stato per me l’unico ausilio per arrivare indenne alla serata finale. D’altronde credo che il commento selvaggio in tempo reale è stato lo sport preferito dagli italiani, spodestando il calcio per una settimana, e un fattore determinante al momento di conteggiare quanta Italia si è sintonizzata su RaiUno in quei giorni, che a sentirne parlare ovunque finisci per cambiare canale anche tu, magari giusto una sbirciata. E intanto lo share è salito anche per colpa della tua curiosità. Se è vero che gli ascolti sono stati da record non è stato certo grazie all’abbronzatissimo direttore artistico, che ha messo in piedi una kermesse in cui tra ospiti, concorrenti e conduzione si sono succeduti uno stuolo di personaggi improbabili, tipo che se gli inviti li avesse fatti col volantinaggio sarebbe venuta fuori di certo una roba più sensata.
Marialuisa | Sono d’accordo, ed è bastato dare un’occhiata ai big in gara per rendersene conto, riesumati dalle edizioni dei festival di Sanremo anni ’90, mancava Marina Rei e poi c’erano proprio tutti. La vecchiaia è una cosa impietosa: Irene Grandi sembrava mia madre, con le rughe sulla faccia e i tatuaggi sbiaditi. Raf sembrava invece la controfigura di Tom Hanks in “Philadelphia”. Alex Britti s’è accartocciato e probabilmente ha finito i soldi de “La Vasca”, e come bluesman non sbarca il lunario quindi era ora di farsi di nuovo una doccia commerciale. In compenso niente male Nek, che nella serata dedicata alle cover si spara pure “Se Telefonando” di Mina, un brano sfruttatissimo e inflazionatissimo, però tecnicamente molto complesso da eseguire: è il mio vincitore morale (se proprio devo cercarne uno). Poi c’è Nina Zilli, che ha una gran voce, un gran fisico, una potenza allo stato puro, ma dovrebbe sforzarsi di togliersi st’aura da “Amy Winehouse de noantri”.
Maria Pia | Tra i big anni ‘90 e i nuovi big non saprei davvero scegliere di che morte morire. Con le etichette che ormai pescano solo tra i prodotti preconfezionati dai talent sono tempi durissimi per la musica leggera italiana. Che poi uno da Sanremo non si aspetta mai molto se non qualche ritornello “appiccicoso”, che persino i fiumi di parole dei rapidamente tramontati Jalisse all’epoca restarono in testa a tutta la penisola sin dalla prima esibizione, e di esempi così la storia del festival ne è piena. Quest’anno, il nulla. Giuro che faccio una gran fatica nel cercare di ricordarmi uno, che sia uno, dei brani in gara: è questo il vero aspetto imperdonabile di Sanremo 2015, il non averci lasciato niente da canticchiare sotto la doccia, mentre laviamo i piatti, quando siamo imbottigliati nel traffico.
Marialuisa | Nuovi big? Nesli pensavo fosse una donna. Invece è un uomo, e pure parecchio bruttarello. Moreno mi fa prudere le mani dalla voglia di prenderlo a ceffoni urlando “Ti prego smettila”, eppure è sconvolgente che tutti gli under 18 di questa serva Italia lo idolatrino à la mode delle ragazzine che se la facevano negli slip ai concerti dei Rolling Stones. Che tempi. Che tempi! Bianca Atzei ce la ricorderemo tutti per lo stacco di coscia, le donne con invidia, i maschi con brama. In fondo anche un bel paio di gambe si possono considerare arte. Poi ci sono i primi sul podio, Il Volo, che sono un insulto multiplo. Alla lirica, alla tradizione della nostra bella penisola e a chi seriamente, per anni, si applica in quello studio sperando in una particina in qualche rappresentazione, consapevole di una gavetta ardua, faticosa, che forse non porterà mai da nessuna parte. Un insulto al pop, ridotto a ricetta con ingredienti ruffiani, a meticciato stilistico senza una ricerca estetica di base. Un insulto allo stile nell’inneggiare alla giovane freschezza di ragazzi fra l’indie e l’hipster e il classico, riducendosi a non essere null’altro che dei vecchi nel corpo di ragazzini.
Maria Pia | la presenza de Il Volo è stata solo una delle americanate progettate da Conti, e sintomatica dello spirito di questa edizione. Basta dare un’occhiata agli ospiti: Al Bano e Romina redivivi dopo il successo del tour in Russia, Conchita Wurst, la famiglia calabrese con settordici figli, il ragazzino con la sindrome dell’invecchiamento precoce, qualsiasi cosa sia passata dall’Ariston tra un concorrente e l’altro è stata spogliata di qualsivoglia messaggio sociale e ridotta a fenomeno da baraccone o a mero produttore di ascolti e pietismo. Finché è arrivato Tiziano Ferro e ha dato a tutti una lezione magistrale di Pop, lui che per Sanremo non ha mai avuto il bisogno di passarci.
Marialuisa | Non solo la direzione artistica, ma anche la semplice conduzione è stata al limite della decenza. Lasciamo stare la dizione delle due vallette, che hanno sdoganato il brutto laddove prima c’erano le oche, che almeno però appagavano l’occhio. Lasciamo stare anche la spagnola, che comunque parlava l’italiano meglio delle prime due. Mi riferisco principalmente a Carlo Conti e alla sua conduzione da festa di paese che non si addice a uno show che – pur essendo l’apex del pop nazional popolare – si svolge in un teatro che ha decenni di storia. Lui, con le sue battute sugli abbronzati ai coristi di colore (tu quoque), con i suoi comici che hanno fatto ridere anche meno. Neanche Luca e Paolo hanno strappato un sorriso, presentandosi su un palco che dovrebbe esaltare la musica nostrana, a pochissimo tempo di distanza della morte di Mango, Giorgio Faletti e Pino Daniele, cantando una canzone che sfotte la carrellata di artisti morti e immancabilmente citati a Sanremo. Di classe. Che poi graziarcazzo, ovvio che si facciano le cover dei morti, sono sempre i migliori quelli che se ne vanno. E quelli che sopravvivono ritornano a Sanremo dopo anni da meteore eclissate nel nulla. E vorrei anche stendere un velo pietoso sulle selezioni dei giovani. Voci sentite e risentite, chitarre elettriche che ancora fanno tanto outsider (mentre il rap è dato di fatto), amore amoreamore. EBBASTA!
Maria Pia | I giovani? Praticamente inconsistenti. Fortuna che li hanno sbattuti in fascia oraria sfigata, un’oretta scarsa tra le 20.30 e le 21.30, e ci siamo tolti subito il pensiero. Ed ora voglio essere frivola e sincera: io Sanremo lo seguo più per gli outfit che per la musica (non vi incazzate se uso l’inglese, è che per dire “tutti gli stratagemmi che uno adotta per presentarsi in pubblico” usando un’unica parola potrei usare il francese, o un dialetto del centro Italia, ma non l’italiano). Altro record da questo punto di vista: quest’anno è stata la sagra del brutto in ogni sua forma. Scenografia brutta, abiti brutti, persino i fiori erano brutti (a Sanremo provincia di Imperia hanno messo in mano a Charlize Theron un mazzo di peonie che sembravano trafugate dal camposanto). E poi certo, l’apice come hai detto tu sono state Emma e Arisa, totalmente inadeguate, e non lo dico perchè meno avvenenti delle colleghe delle passate edizioni ma perchè una sgrammaticata e l’altra impacciata come il primo giorno di scuola. Ed entrambe mal vestite. Ma quando vi capiterà di nuovo di potervi ficcare in un abito lungo di haute couture? Perchè cazzo avete scelto di vestirvi una da bambola assassina e l’altra da monaca di Monza? Meglio indubbiamente Rocìo, che aveva dalla sua anche una “base” migliore, ma con la personalità di un comodino, che Belén a confronto mi è sembrata una diva.
Insomma, qui si rimpiange la conduzione stantia di Pippo Baudo, che almeno sapeva di show vintage e aveva un’aura nostalgica, si rimpiangono persino Fazio e la Littizzetto, coi loro cachet a sei zeri in euro, al pensiero che probabilmente il 2016 ci riserverà un altro Sanremo targato Conti. Tutt’altro che candidi i commenti delle nostre due Marie! Ma come biasimarle, poverette, dopo cinque giorni di sfiancamento neuronale celato da pane e circo? E voi, salvate qualcosa di questo festival? Fatecelo sapere!
Al Bano e Romina Alex Britti Bianca Atzei Carlo Conti Charlize Theron Conchita Wurst Festival di Sanremo Giorgio Faletti Il Volo Irene Grandi Mango Maria Pia Diodati Marialuisa Ferraro Marina Rei Mina Moreno Nek Pino Daniele Raf Sanremo 2015 Tiziano Ferro Tom Hanks
Last modified: 20 Febbraio 2019