Se qualcuno si salverà da questo ipnotico delirio non sarà certamente più lo stesso, welcome to the hell, benvenuti nel mondo oscuro, laido e sciamanicamente brutale dei sardi Black Capricorn, formazione mefistofelica che con le loro otto tracce che compongono l’omonimo lavoro, avanzano come una invasione aliena imperterrita a risucchiare tutto e tutti, una macchina subdola che si lega a doom, stoner psichedelico e anni settanta ottenebrati da metedrina e simbologie sconsacrate, un album che degli inni oscuri su altari devastati ne fa panacea per i suoi rituali sonici, di sabbath e compressed loud.
Non è facile accontentare tutti gli aficionados del genere, specie in un settore sonico come il doom metal che è affollatissimo come una tangenziale all’ora di punta, ma il quintetto in questione si stacca dall’ondata continua per quella stranissima ossessione litanica che si espande e si ritira come un mantice sulfureo, atmosfere dilatate tra Black Sabbath e Kyuss, Gream Reaper e Blitzkrieg che rappresentano meglio la forza, l’impatto di testa che questo caprone nero comunque lascia impronte e ferite prima, durante e dopo il suo passaggio sotto il lettore ottico.
Un disco dal passo rettile, lento, trascinato come una maledizione desertica dai riflessi black, un martellare lento e metodico di pelli e basso infinito, riff di chitarre pesanti e una voce che arriva come un eco dalle viscere intestinali del Balzebù di turno, queste le eccellenze che incedono nella tracklist, più che un ottimo biglietto da visita per una band luciferina al cubo che dal buio, cerca un posto al sole per poter finalmente vomitare contro tutti la sua magnetica rabbia e presentare i suoi demoni incompresi; otto masse laviche che con il riverbero mugghioso della Bestia per eccellenza “Perpetual eclipse”, la paranoia che cavalca l’onda nera degli amplificatori roventi “Il tamburo del demonio”, i pipistrelli Ousbourneiani che intrecciano voli maniacali in “10000 tons of Lava”, le abrasioni gotich-doom “The Maelmhaedhoc O’Morgair prophecy” e lo stupendo finale, meglio dire il cameo nero, di “Liquid universe”, ci fanno stimare un resoconto critico buono, dove non ci stancheremo di sottolineare una band che dal colore nero tira fuori una inestimabile classe di tonalità e distruzione come pochi.
Fatevi un giretto dentro questo disco, e buona permanenza nel vostro incubo migliore!
Last modified: 25 Giugno 2012