È il 30 luglio del 2016 in una piazzetta di un paesino di provincia; sotto il palco del festival Streetambula c’è tanta gente, sopra il palco è appena salito Giorgio Canali. L’ex chitarrista dei Csi impiega molto a lanciare una sonora bestemmia; noi sappiamo che è fatto così, sapevamo che avrebbe fatto così e quella non sarà la prima ma neanche l’ultima imprecazione della sera. La maggior parte dei presenti non ci farà neanche caso ma, in quella piazza, c’è qualcuno cui la cosa non va affatto giù.
Il leader della Rock band degli Abiura scrive questo il giorno dopo su Facebook: questa sera ho assistito ad una bella serata di Rock. Bravi tutti i gruppi emergenti, in attesa del pezzo forte della serata[…]. Bene, quando il momento arriva questo che ti fa? Si mette a bestemmiare! In una piazza pubblica! Ed io lì impietrito, vicino a mia figlia, […] questa sera avrà capito che anche in quest’ambito ci sono degli impostori. Concludo dicendo (e v’assicuro non sono un bacchettone) che la bestemmia gratuita, è comunque una forma di maleducazione, …azzo c’entra con l’anticonformismo e soprattutto, cosa c’entra con l’arte?
A rincarare la dose, un altro musicista, il rapper Mauri D*:
Ero presente anch’io con degli amici; quando ho sentito bestemmiare quel coglione me ne sono andato altrimenti salivo sul palco e lo prendevo a calci. Meglio però dissentire lasciando la piazza vuota.
Facciamo, però, un passo indietro. Probabilmente ricorderete tutti quello che successe sul palco del concertone del 1° maggio a Roma, quando il cantante de Il Management del Dolore Post Operatorio decise di tirarsi fuori l’uccello da mettere alla mercé del pubblico, dei giornalisti e di chiunque cercava un motivo per offenderlo. Conquistarono tanta notorietà quanti nemici e tornò di moda l’argomento oggetto di questo mio articolo. Il Rock deve avere dei limiti? Fin dove può spingersi? Quanto conta la genuinità del gesto e quanto la sua impronta provocatoria?
Andiamo avanti stavolta. È un grigio sabato di un mese che, a dire il vero, non ricordo quale. Siamo al Garbage Live Club. Si esibiscono i fiorentini NoN, ex Non Violentate Jennifer. Nello schermo hanno deciso di proiettare il film da cui i ragazzi hanno tratto ispirazione, un revenge movie in cui la protagonista è brutalmente stuprata per poi prendersi la sua vendetta su tutti i partecipanti all’atto. Una pellicola cruda che è inserita in un contesto artistico. Ben presto alcuni dei presenti iniziano a lamentarsi, non vogliono vedere quello spettacolo, si lagnano della scelta senza però chiedere informazioni a riguardo costringendo a circoscrivere la proiezione.
Torniamo sotto il palco di Streetambula dove si sta esibendo il duo italo-francese dei Putan Club. Suonano a terra, in wireless, tra la gente. Il chitarrista si avvicina al tavolo di quel ragazzo, il cantante degli Abiura, e con la chitarra rovescia le birre sue e dei suoi amici per poter salire sul tavolo a suonare.
Questi sono solo alcuni dei pochi episodi in cui mi è capitato di imbattermi negli ultimi anni in merito alle band italiane. Qualcuno ben più grande di me mi ha raccontato di anni passati (Sessanta e Settanta) molto più estremizzati e io stesso ho notato come all’estero siano molto più frequenti le band che tendono a superare certi limiti. Non parlo solo dei vecchi Sex Pistols che dell’ostentazione forzata di certi atteggiamenti hanno fatto un marchio, o di band Metal sataniste, o di pazzi che cagavano sul palco come GG Allin. Parlo anche delle bestemmie live di Mike Patton, di brani dei Current 93 come “Happy Birthday Pigface Christus”, delle provocazioni fascistoidi dei Death in June.
Fino a dove può spingersi l’arte o meglio l’artista? Non vi pare che la musica, almeno in Italia, stia sempre di più attenta a non offendere la comune morale? È questo che deve fare? I quesiti li ho girati allo stesso Sanpié (Abiura), che evidentemente è dell’idea che esista un modo di conciliare morale e arte (per l’intervista completa scrivete a rockambulawebzine@gmail.com):
L’arte, in ogni sua forma, è fondamentalmente libertà d’espressione. Libertà nel suo concetto più ampio, totalitario. Riuscireste ad apprezzare, la bellezza “volgare” dell’opera di Gustave Courbet “l’Origine del mondo” se fosse stato intimato all’autore di far indossare alla sua modella degli slip? […] No! Non è questo che chiediamo all’arte! Non gli chiediamo di narrarci un mondo inesistente, virtuale, asettico! Quello che chiediamo è semplicemente d’emozionarci.
Ma Sanpiè non nasconde le proprie perplessità a riguardo:
dove inizia e dove finisce il buonsenso? A mio parere il discorso in questione può essere affiancato al concetto di libertà. (…) Tutti ce ne avvaliamo con nonchalance, senza a volte riflettere sul dono prezioso che abbiamo in mano e che dovremmo condividere. Ma c’è un aspetto fondamentale che non va mai tralasciato, poiché è la pietra angolare di tutto il discorso, e cioè la sua applicazione, ovvero l’uso che se ne fa di questo dono prezioso (tra l’altro nella maggior parte dei casi, conquistato da altri). A mio giudizio, la tua libertà, finisce dove inizia la mia. Cosa voglio dire? Il discorso verte su dei confini invisibili connotati dall’educazione e dal buonsenso, La somma di questi due fattori, genera il quieto vivere.
A questo punto viene da chiedersi se “quieto vivere” sia espressione opportuna da utilizzare quando il fulcro della questione è, come in questo caso, il Rock. Perché è di questo che si parla: di un concerto che da alcuni è stato interpretato come un’aggressione verbale ai cattolici credenti che vi assistevano, e che peraltro presenziavano a un evento gratuito. L’indignazione, infatti, per Sanpiè è legata anche a quest’aspetto:
se pago un biglietto e mi trovo in un luogo privato a “sorbirmi” l’artista in questione, è una mia scelta. Quindi si presume ch’io conosca il suddetto artista, per cui magari sono anche a conoscenza del suo modus operandi e di conseguenza anche senziente a prendermi una birra in faccia per poi riderci su. Ma non era questo il caso.
Sorvolando su quest’ultima riflessione possiamo così ricapitolare il punto di vista di Sanpiè: tutto è concesso all’arte, purché chi ne fruisce sia consapevole di quello che può aspettarsi dall’artista. È come dire che se vado a un concerto dei Nofx e salgo sul palco posso aspettarmi una pedata da Fat Mike, se vado a vedere i Faith no More, la bestemmia può essere dietro l’angolo, se mi trovo in una piazza pubblica, non voglio ritrovarmi nulla sparato in faccia che sia contro una comune morale.
A pensarci bene però, è proprio questo il caso in cui l’arte si fa più controversa: l’avverarsi dell’inaspettato. Non parlo solo di musica ma di arte in generale; ricordate l’opera di Cattelan, quella in cui alcuni finti bambini furono impiccati in una trafficata piazza di Milano? Probabilmente, dentro un museo, in una mostra dedicata a quell’artista, avrebbe fatto meno scalpore. A questo punto però, viene da chiedersi un’altra cosa. Se viene meno quello scalpore, ha ancora senso il gesto? La bestemmia detta sotto la doccia ha lo stesso valore di quella in una piazza, spostare i bicchieri per salire su un tavolo ha lo stesso valore di rovesciarli sui presenti?
Prima di proporvi l’opinione del chitarrista dei Putan Club, vorrei presentare un’intervista proprio di Giorgio Canali in cui lo stesso artista afferma di non essersi posto troppi problemi quando, il comune di Carpi, gli censurò un brano contenente diverse bestemmie. Del resto, quello stesso brano è stato poi richiesto da diverse testate, tra cui Rockit, ed ha fatto un notevole numero di download, buon per lui. Per certi versi, dunque, c’è la consapevolezza che, talvolta, la censura è, se non condivisibile, accettabile tanto quanto il gesto provocatorio; come a dire “tu non sopporti che io bestemmi, io non sopporto che tu mi censuri ma ci sta che io bestemmi e che tu mi censuri”.
Sulla questione delicata della provocazione all’interno dell’arte, provano a chiarire le idee i Putan Club. L’arte puzza di zolfo. Ed è probabilmente per ciò che affascina tanto. L’andata e ritorno permanente tra provocazioni e censura, trasgressione e divieti, scandalo e norma sociale creano gli equilibri che forgiano l’evoluzione dell’arte. Il religioso, il politico, il corpo, il sesso sono i campi di gioco preferiti della provocazione artistica. Qualunque sia il periodo e la società, tutti questi elementi sono esplorati e sono trasgrediti, inestricabili del gesto di artista. […].
Poi ci parlano dell’esperienza italiana citando Pier Paolo Pasolini. L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.
Quindi il duo italo-francese si sposta sul concetto di Rock. Arte e provocazione non devono distinguersi; l’arte deve essere provocazione, altrimenti si chiamerebbe “entertainment”, divertentismo. […]. Diciamo poi che il Rock potrebbe essere un’arte, ma già questo fa schifo ed è riduttivo. Il Rock è magnifico (come qualsiasi arte) solamente quando non conta sulla carriera, quando suda, quando sanguina, quando esplora, quando non ricopia. Diversamente si chiama banalmente Pop e può anche andare a farsi fottere dall’industria.
Con tanti concerti all’estero, Tunisia, Francia ma non solo, i Putan Club possono dire la loro anche per quanto riguarda la situazione fuori dal nostro paese. Da più di quaranta anni è palese che i governi italici provano a rendere la gente ignorante. E ci sono riusciti: in Eeetaglia ormai “cultura” è divenuto sinonimo di “divertentismo”. Prendi, a caso, la Tunisia: festival di Metal, di Avantgarde, di Elettronica, di danza contemporanea, di letteratura, ecc, con sale di concerto gremite e pubblico senza barriere mentali. Non a caso loro hanno fatto una rivoluzione: è un popolo colto. In Eetaglia non si farà. Mai.
Quindi in merito al passato. Il Rock era ribellione, e spessissimo provocazione. Poi venne il ’77 e l’eliminazione dall’industria discografica di questa ribellione: il Punk era già un’anima morta e redditizia, e questo Malcolm McLaren l’aveva ben capito. […]. Pagare l’affitto e le bollette sono le prime vittorie di qualsiasi artista. Non un passaggio a SanRemo o suonare in un ennesimo grosso festival di merda. […]. Nessuno e niente dovrebbe avere limiti. L’artista non ha niente da perdere: sarà sempre povero, salvo rarissimi casi.
Probabilmente è proprio sul duale equilibrio che si fonda un certo modo di fare arte. È necessario tanto l’uno quanto l’altro; la bestemmia senza uno che s’incazza non ha più valore e così ogni altro gesto che, ovviamente, non metta a repentaglio la salute di nessuno. Ci sta dunque la proiezione indisponente che prende forza quando la biondina viene a chiederci di toglierla, ci sta il pene di Romagnoli e tutte le offese che si è preso dopo, ci sta Canali che bestemmia e ci sta chi lascia la piazza o lo prende a pedate.
Ci sta tutto, o quasi, perché è anche su questo che si fonda l’arte, azione e reazione. Quello che resta da capire è: 1) come riuscire a distinguere l’arte dalla mera provocazione? 2) è diverso l’approccio del pubblico straniero a questi stimoli? ed era diverso quello del pubblico di 30 o 40 anni fa? c’è più moralismo nel Rock oggi? 3) qual è il ruolo di chi sta nel mezzo, di chi organizza?
Sul punto uno siamo obbligati ad alzare le mani. La questione è troppo spinosa e non è questo il momento di affrontarla ma abbiamo voluto comunque chiedere il parere di un artista, pittore, scultore e tanto altro, uno che con le sue opere ci vive, Jacopo Fonte:
data la mia “giovane” età valuto continuamente cosa è e cosa non è provocazione; tutto poi dipende dal proprio pensiero e dalla propria visione. Capita spesso di vedere una provocazione sfacciata come un momento di rottura con un contesto, un gesto scontato come una bestemmia in un luogo sacro. Prendiamo l’esempio di un nudo nell’Arte; esso è equilibrato quando esposto in un ambiente naturale perché c’è intimità con la natura e da continuità nelle forme; è provocatorio quando viene esposto con opposizione nei confronti di un ambiente che non lo tollera o tende a coprirlo, invece quando è accostato a qualcosa che in apparenza non centra nulla e disturba ma, che con equilibrio sottintende una chiave di lettura allusiva a un argomento scomodo allora probabilmente esso diventa Arte, intendo Arte Contemporanea. Provocare è semplice, mentre trasformare la provocazione in qualcosa di bello, equilibrato, ragionevole, scomodo ma universalmente accettato diventa Arte. Il segreto è nella miscela.
Di certo è superata l’idea che l’arte sia solo bellezza ma quando si possa parlare di arte e quando no è cosa davvero complessa da dire.
Sul punto due ci piacerebbe approfondire in seguito, magari con qualcuno che certe situazioni le ha viste con i suoi occhi, in Italia e all’estero.
Sul punto tre, ho deciso di chiedere direttamente a chi i concerti li organizza, Fabio Presutti, uno dei veterani di Streetambula:
Non credo sia una cosa utile far firmare una sorta di codice comportamentale agli artisti chiamati ai festival perché, alla fine, la responsabilità di quello che l’artista dice o fa è sempre e comunque la sua. Se così fosse, questo tipo di regolamenti andrebbe applicato a ogni situazione pubblica, la presentazione di un libro, una conferenza politica, un’estemporanea di pittura. (…) Capisco e rispetto chi si sente infastidito dalla bestemmia in una piazza pubblica, ma non posso credere che il pubblico, specie quella fetta che sa cosa sia il Rock, non si aspetti – e non accetti – situazioni come quella che si è creata con Canali. Non è la stessa cosa se a bestemmiare è un comico alla festa patronale.
Sul merito generale dell’Arte posso parafrasare lo stesso Fonte. I suoi limiti si evidenziano da soli. L’arte è come stirare un elastico, l’arte la troviamo un attimo prima che quell’elastico si rompa.
A questo punto, però, sarebbe il caso di giungere a una conclusione riprendendo la domanda iniziale.
Il Rock deve avere dei limiti? Fin dove può spingersi? Io credo che questi limiti non siano da ricercarsi in chi crea ma in chi recepisce. Siamo noi che dovremmo capire fino a che punto la musica può toccare certe corde tanto da destabilizzare la nostra indifferenza, siamo noi che dovremmo capire quali sono i nostri limiti; quando qualcuno li mette alla prova, questi limiti si rompono allargando i nostri orizzonti o si rafforzano sulle nostre convinzioni. Perché in fondo, il Rock può dirsi morto soprattutto quando ci lascia indifferenti. Se il Rock riesce ancora a farci incazzare significa che sta funzionando quale che sia il motivo per cui ci fa incazzare e ogni volta che qualcosa forza le nostre convinzioni, potremmo sentirci più vivi.
Le bestemmie di Canali o di Patton non sono necessariamente arte ma fanno parte dell’artista. Magari sono solo furbate, difficile dirlo o semplicemente modi di essere ma se a tutte le rockstar togliessimo quei brutti vizi che li hanno fatti diventare quello che sono, cosa resterebbe? Quei brutti vizi, quando accompagnati da un reale messaggio artistico, ne possono diventare un rafforzativo. Lo sputo verso la telecamera fatto da Kurt Cobain non è dello stesso peso di quello fatto da Stash dei The Kolors.
Il Rock, per fortuna, non è solo amore; come la vita non è solo amore. È rabbia, ribellione, anticonformismo, disperazione, disagio, è tutto quello che ci fa sentire vivi e liberi e, quindi, anche amore. Voi rockstar continuate a essere quello che siete o quello che volete apparire, noi sotto il palco, faremo lo stesso perché, in fondo, il Rock è questo e ci piace così.
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Last modified: 20 Febbraio 2019