Che cosa vi aspettereste da una band che si presenta con una copertina cosi elegante (una donna che bacia, nutre o è imboccata da un corvo) patinata di rosso quasi nello stile The Smiths con un certo senso d’inquietudine in più, ma nello stesso tempo si manifesta con una foto all’interno tutto sommato abbastanza coatta, con i membri vestiti come Piero Pelù e compagni appena usciti da una quadriglia western? E cosa vi aspettereste da una band che pone tra le proprie influenze gente del tipo Elvis Presley, The Birthday Party, Lee Hazlewood, Nancy Sinatra, Nick Cave & The Bad Seeds, Einsturzende Neubauten, Tom Waits, Leonard Cohen, Johnny Cash, The Velvet Underground, The Sex Pistols, The Clash, Joy Division, The Jesus & Mary Chain, The Cramps e Gun Club? Forse qualcosa di brillantemente strampalato. Magari un mix di Rock’n Roll, Punk, Industrial, Country, New Wave, Post Punk, Voodoobilly e Dark. Vi piacerebbe vero?
Cosa vi aspettereste da tre topolini cecati?
Mi spiace deludervi ma quello che vi aspetta è molto più ordinario delle premesse ma attenti, la cosa non sminuisce certo il valore dei milanesi.
The Three Blind Mice nascono a Milano appunto, solo tre anni fa e cominciano il loro viaggio producendo un Ep in solo vinile distribuito in Europa dalla berlinese Pale Music. Nel 2010 muore Rowland S. Howard, storico chitarrista membro degli Young Charlatans, Boys Next Door, Tuff Monks, Crime & the City Solution, These Immortal Souls e soprattutto The Birthday Party, leggendaria band postpunkrockblues australiana che fu il trampolino di lancio del grande Nick Cave, e loro, da bravi e dinamici appassionati di musica, organizzano il primo concerto tributo proprio a Rowland S. Howard. Nello stesso anno, su invito di Phil Shoenfelt (Fatal Shore, Nikki Sudden (tra l’altro quest’ultimo ha anche lavorato nel Punk Blues di Kiss You Kidnapped Charabanc proprio con Rowland S. Howard) si esibiscono nell’esotica e affascinante capitale ceca e proprio nella repubblica di Praga, insieme ai Kill The Dandies! Inizieranno un tour che li porterà fino a Berlino. Le loro scorazzate per l’Europa insieme a Big Sexy Noise di Lydia Lunch e Gallon Drunk, passeranno per Lubecca prima di portarli nella nostra Italia. La sosta è breve e presto inizia un nuovo tour, stavolta con Dim Locator, proprio di Schoenfelt, sempre nell’amata Germania. In Italia riusciranno ad aprire i live di Hugo Race And The Fatalist e dei Woman, ma la loro dimensione europea si fortificherà l’anno successivo, con un nuovo tour in Repubblica Ceca, stavolta come supporto agli Slim Cessna’s Auto Club.
È ancora lo stesso quello che vi aspettate? Non vi saranno diventati odiosi? Non vi sembreranno mica dei tipi da “Io suono in giro per l’Europa, che cazzo ne sai tu”?
Lasciate stare tutte queste cazzate. Lasciate stare quel cuore cafonal chic trafitto da una spada, prendete il disco e ficcatevelo in dentro lo stereo. Lo Schaltraum Studio di Berlino e Pale Music presentano, Early Morning Scum. Ve lo presento io.
“Asphalt Jungle” parte carico a mille, in un Alt Rock stile Marlene Kuntz, senza però digressioni noise e soprattutto senza quel cantato alla Godano del tipo “oddio non ce la faccio, mi sono appena sparato una pera” ma anzi con una vocalità profonda, intensa e calda (quasi Dark Post Punk), che accresce l’atmosfera desertica (come nel caso dei primi Litfiba) della musica. Atmosfera che diventa ancor più accentuata nella successiva “Bug Under Glass” dove, anche grazie all’organo di Manuele Scalia (autore praticamente di tutti i testi e le musiche), si evidenzia l’influenza di Nick Cave, che nella testa dei quattro (per la cronaca Manuele Scalia voce e chitarra, Daniele De Santis chitarra, Matteo Gullotta basso e Matteo Quaranta batteria) deve aver piantato dei semi più cattivi che mai. Con “Devastation Town” fa il suo ingresso Chris Huges con i suoi piatti e le sue percussioni. Ancora un Alt Rock eccezionale dal sapore vagamente Tex-Mex ma soprattutto una somiglianza evidente, anche se i milanesi sembrano più veloci e meno tetri e gotici, con la creatura di Peter Murphy chiamata Bauhaus. Una sorta d’incontro tra il Southern Blues Rock statunitense e la Darkwave britannica. La ballata “Dust Devil” invece, tra i cactus e il deserto ci si fionda senza voltarsi indietro, in perfetto stile Calexico. In “Three Story Girl” cambia ancora il batterista. Stavolta tocca a Enrico Berton. Con “Knuckles”, altro brano a metà tra la follia australiana e il Post Punk della regina con un risultato tanto 16 Horsepower (vedi Clogger) il ritmo è cadenzato, ossessivo, senza vie di fuga, con quel cazzo di giro di basso (che so che vi ricorderà qualcosa che già conoscete) da brividi e le coltellate delle corde di Daniele De Santis a lacerarci pelle e ossa, Skin and Bones. Eccezionale “Golden Spiral Kill” (con l’ingresso di Tom Schwoll alle percussioni insieme a Hughes) che lascia trasparire le influenze Punk seventies. Tornano le atmosfere fagioli e coyote in “Little Animals” mentre “Slow Motion” parte con una sezione ritmica da Joy Division per poi regalarci un pezzo di puro, sano, splendido Pop stile Pulp che quasi diventa Shoegaze nelle sfuriate di chitarra che stravolgono la mente e le orecchie dell’ascoltatore per risolversi in una No Wave di nuova generazione come i migliori e più vivi Interpol, Editors o The National. Un pezzo che non ti aspetti piazzato proprio dove serve, per non annoiare, per mantenere vivo il pulsare del cuore, per aiutare a innamorarti. È proprio alla nuova onda Interpol – The National è dedicata anche “Half Seas Over” sempre con quel tocco particolare al sapore di Tequila, che caratterizza tutto l’album e soprattutto sotto la guida di un angelo vivo chiamato Nick. “Jesus” chiude l’album come un amen una preghiera, come una preghiera la vostra vita. Anche nel suo essere religious rivela la passione della band per un posto e un uomo forse troppo lontani ma le parole toccano l’anima come poche e più di tanti altri pseudo grandi nuovi cantautori italiani.
Forse non era quello che mi aspettavo, quello che vi aspettavate ma l’esordio dei The Three Blind Mice è qualcosa che ha superato le aspettative sorte dopo il primo veloce ascolto. Non mi frega un cazzo di come si vestono, non mi frega con chi o dove hanno suonato. Visto come suonano, mi frega solo quello e ditemi quel cazzo che vi pare, l’idea di accostare il Post Punk al Tex-Mex è una figata ben fatta, originale o no sticazzi. Le canzoni sono splendide, le melodie anche, la voce è come deve essere e tutto va come deve andare. Se ve lo dice un rompicoglioni come me, fidatevi. E poi…l’avete vista la copertina?
Ah, non vi ho detto che c’è una sorpresa…mi viene da piangere, non mi succedeva da tempo con un disco che non conoscessi.
Last modified: 16 Ottobre 2012