Il romanzo, nel quale aleggiano gli anni 70 dei nostri polizieschi, mostra la doppia dimensione in cui vivono i componenti del branco: carnefici e vittime allo stesso tempo. Carnefici perché sono crudeli assassini, stupratori che usano ogni genere di violenza senza mostrare rimorsi o ripensamenti. Vittime per gli abusi subiti, descritti nel testo, che in alcuni casi traggono spunto da storie vere.
Due esempi dal testo: Oscar fece un profondo respiro, si aggiustò il nodo alla cravatta e si ritenne pronto per andare ad affrontare la giungla della sua esistenza, la prigione che il padre gli aveva costruito intorno. Dentro la quale si muoveva a fatica, ma riusciva a non darlo a vedere. Grazie al cielo c’era il branco, il suo branco. Col quale dava libero sfogo alla sua vera natura. Si ritrovò a ventisei anni con una laurea in legge e due anni di tirocinio nel rinomato studio del padre-padrone. E a obbedire tutte le volte che quello stronzo apriva bocca. Non gliene fregava un cazzo di diventare avvocato, solo l’idea lo tormentava. Ma non ebbe mai il coraggio di sputarglielo in faccia.
Genziano era la pecora nera della famiglia, ultimo di cinque figli, era cresciuto allo sbando. La madre continuava a portarsi il lavoro a casa, Genziano non ricordava più quante volte l’aveva vista scopare con i suoi clienti. La prima volta aveva tre anni. Lei non ci badava e lo picchiava selvaggiamente per qualsiasi motivo. Una sera, Genziano diede una gomitata al bicchiere, l’acqua si rovesciò sulla tavola, lei lo afferrò per un braccio, lo sbatté a terra e lo prese a calci davanti al padre ubriaco, che non si rendeva conto di quello che accadeva sotto i suoi occhi. Aveva cinque anni.
Last modified: 27 Ottobre 2012