“del cantar leggero l’amore sul serio„
Premesso che sì, l’ultimo lavoro in studio dei Baustelle deve molto al Battisti del sodalizio con Pasquale Panella, non è questo il motivo per cui decido di introdurlo con una frase di “Don Giovanni”, anche perchè il citazionismo sfrenato è solo una delle colpe imputate al settimo lavoro in studio della band di Montepulciano.
Con gli artisti che alle spalle hanno scelte audaci i seguaci fanno fatica ad accettare un cambio di rotta verso il cantar leggero, e loro li avevamo lasciati nel 2013 a misurarsi con la peripezia di coniugare musica barocca, colonne sonore western e quant’altro. Oggi “Love”, preludio strumentale a L’Amore e la Violenza, si riallaccia alle ambizioni orchestrali di Fantasma per poi morire sul rumore della puntina sbalzata via dal giradischi, il primo dei gesti violenti del disco oscenamente pop che ha il compito di introdurre. E però a starlo a sentire viene fuori che il sound scanzonato che segue fa maledettamente sul serio, mentre liriche fatue e rime baciate anagrammano amori asimmetrici, le guerre lontane e quelle interiori, retaggi religiosi, le smanie contingenti e le ossessioni perenni. Nel musicare i temi di sempre, stavolta Bianconi e soci scelgono il più violento dei veicoli, l’ironia, che qui ha la foggia della leggerezza beffarda del Synth Pop. Consuetudine lodevole se praticata da artisti anglofoni, a partire dai Pet Shop Boys in poi, inaccettabile peccato venale quando si tratta di songwriting nostrano.
Ma torniamo indietro, alle citazioni presuntamente sfacciate, che in ordine di gravità sembrano essere di gran lunga peggio degli stereotipi ritmati e di quelli melò.
C’è l’inevitabile eco di De Andrè nel timbro baritonale di Francesco Bianconi, e c’è l’ostentazione da diva d’altri tempi nella imprescindibile presenza di Rachele Bastreghi, tra i synth piacioni e autoironici de “La Musica Sinfonica” e nell’Europa descritta in maniera tanto cruda quanto scintillante in “Eurofestival”. C’è anche l’Elettronica francese più recente nel vocoder di “Basso e Batteria” (e forse le spiagge deturpate sono addirittura quelle di Vasco Brondi) ma l’onnipresente resta Franco Battiato, in primo piano nel misticismo de “Il Vangelo di Giovanni” e nel disincanto de “L’Era dell’Acquario” stemperato a suon di Italo Disco. Nel modellare le fattezze di donne contemporanee in forma canzone, le tamerici e i cinquemila amici di “Betty” convincono la poesia di D’Annunzio a convivere coi social network e il pianoforte di “Ragazzina” congiunge Serge Gainsbourg a Vasco Rossi e a uno dei canti natalizi per eccellenza della tradizione cattolica. Dietro l’angolo c’è sempre quel glorioso Prog italico che trovò la sua estinzione nel non volersi mai sporcare le mani col nazionalpopolare, e a voler continuare ci sarebbe ancora molto, molto altro.
È la prassi compositiva dei Baustelle, e stavolta è vera e propria arte. La materia sonora mutua dall’archivio popolare tricolore una tale quantità di fraseggi, dettagli e atmosfere che qualsiasi elenco è destinato all’incompletezza e diventa un inutile vezzo di chi lo scrive. Quello usato nel miscelarli è un modus operandi consolidato e sapiente, un processo creativo che in ambito figurativo trova il suo corrispondente nella tecnica del collage, forma espressiva compiuta che si nutre di altre. In senso strettamente concettuale, niente di molto distante dalla pratica del campionamento, che seleziona per spezzare, congiungere e rigenerare: con scampoli di musica leggera italiana i Baustelle si confezionano uno dei loro abiti migliori, dal fascino indefinitamente nostalgico, retromaniaco nel senso più testuale del termine.
In un momento in cui qualcuno grida al manifesto generazionale davanti a dischi inconsistenti, frutto di limiti tecnici e culturali più che di operazioni consapevoli e coerenti, la sterzata dei Baustelle da un percorso ai limiti del pretenzioso per immergersi totalmente nel mondo della cosiddetta canzonetta è una lezione di stile per tanto cantautorato attuale che cavalca l’onda di terminologie modaiole e sonorità demodè credendo che ciò gli basti per potersi dire contemporaneo.
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Last modified: 3 Aprile 2019