Miglior band emergente in circolazione in Italia: atto secondo. Fine della recensione. Qualsiasi chiacchiera fatta riguardo a musica meglio definibile come “seria” è solo superficiale retorica o insignificante parere personale…ballare di architettura come direbbe quel tale. La prassi impone altro però. Andrebbero sviscerate e raccontate le note e le sensazioni percorse lungo queste nuove dodici tracce che gli Underdog hanno partorito tre anni dopo l’album di debutto “Keine Psichotherapie“. E’ da lì che il gruppo riparte. Le idee sono le stesse, molteplici e originali. Perchè quando la creatività è a mille e quando le doti tecniche sono 4 o forse 5 o magari 6 piani al di sopra della media, non esistono schemi preconcetti o peggio ancora generi a cui attenersi. Esiste solo la musica e la voglia di suonare. Ed è rinchiusi in sala prova per parecchi mesi che gli Underdog hanno sfogato la loro voglia di riassumere e fagocitare tutto ciò che ha pervaso i loro ascolti e le loro ambizioni. Ne esce un caos organizzato di strumenti che si inseguono in continuazione, mille stili amalgamati per creare un suono lontano anni luce da tutto quanto mainstream sia circolato in Italia e distante, parecchio distante, anche dalle varie forme di cantautorato o pseudo-alternative in voga nel nostro territorio. Come Les Claypool totalmente ispirato dai Residents creò qualcosa totalmente distante da loro, così Diego Pandiscia ed il suo ensemble, ispirato dal genio bassista di Richmond, crea una mescola che mantiene la forma e la struttura dei Primus e se ne allontana nei contenuti arricchendoli a piacimento in un non sense logico che attinge ora al jazz, ora alla folkloristica, ora ai maestri Waits e Zorn. Il tutto spazia a destra e sinistra ed è reso significante e coeso dalla voce a tratti stucchevole di Barbara “Basia” Wisniewska, talento di dimensioni clamorose, in grado di indirizzare e “piegare” gli strumenti verso atmosfere straniate e accenti inusitati.
Commentare le dodici tracce, ripeto, insisto, è pura idiozia al cospetto di un album e di un gruppo che semplicemente fa quello che vuole e come lo vuole svincolandosi da qualsiasi idea standard di forma canzone. Unica menzione forse la merita il balzo dalla sedia e relativo sguardo sconvolto verso le casse fatti all’ascolto delle due cover presenti: Berlin e…Un Cuore Matto. Il rischio di sfociare nel kitsch piuttosto che in un’opera poliedrica sarebbe alto, altissimo per chiunque, ma ascoltate la versione del classicone del Piccolo Toni rifatta dagli Underdog e magari vi convincerete che i modi di essere di un contenuto musicale possono davvero essere infiniti quando chi vi strimpella uno strumento davanti conosce alla perfezione e ama sinceramente la propria arte.
Last modified: 23 Novembre 2012