Tappa romana per gli Almamegretta che presentano al Monk l’ultima fatica EnnEnne Dub.
(foto di Beatrice Ciuca)
Sul palco con loro anche Raiz tornato in pianta stabile nella formazione sebbene per il gruppo sia difficile definire i confini delle presenze che negli anni si sono alternate, succedute e sostituite anche per motivi non felici (come la morte D.Rad nel 2004). La sala è deserta quando salgono sul palco ma sembro farci caso solo io, forse complici le luci “a risparmio”. Arrivati però al quarto brano in scaletta l’atmosfera si scalda e d’improvviso il parterre si anima di corpi in movimenti sbilenchi. Del resto, così come per la formazione, anche la definizione del sound degli Almamegretta è molto fluida. Reggae, Afro, Elettronica in salsa partenopea, ai quali si aggiungono le sonorità Dub che hanno ridefinito il precedente, EnnEnne datato 2016, album che vede lo smanacciamento da parte di veri numeri uno del genere quali Adrian Sherwood, Dennis Bovell (già produttore e bassista di Linton Kwesi Johnson), Gaudi, Vibronics, Lee “Scratch” Perry (già produttore di Bob Marley). E poi ancora Manasseh, Khalab & Messmorize.
Non sono una grande fan del genere, anche perché gli Almamegretta si ritrovano ad aver già ampiamente abbandonato la formula classica della canzone e ora transitano dal parlato allo strumentale definitivo. A livello personale questo ultimo fattore, durante un concerto, può provocare l’effetto “abbiocco”, soprattutto se non accompagnato da condizioni di alterazione psicofisica e se ci si sofferma per troppo tempo ad osservare Raiz che come un incantatore di serpenti oscilla, ancheggia e muove le mani in un continuo rallenty, ma nel complesso bravi tutti, in particolar modo i fan della prima ora che resistono stoici fino all’una e mezza.
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Last modified: 15 Marzo 2019