Tutte Le Cose Inutili – Non Ti Preoccupare
[ 2018 | Black Candy Records | Cantautorato, Punk ]
(di Federico Acconciamessa)
Con l’approdo a Black Candy e la pubblicazione del terzo album il duo toscano Tutte Le Cose Inutili raggiunge l’agognata maturità artistica. Non Ti Preoccupare è un disco a tutto tondo, nel quale il Punk valica nel territorio sonoro Emo Core facendo venire in mente i Fine Before You Came ma con un linguaggio più edulcorato e meno enigmatico. Tutte Le Cose Inutili sono infatti ancorati a una scrittura schietta tipica della scena Indie anni zero, che si palesa vistosamente in “Questa città è bella” e in “Le opere sinfoniche”. Un linguaggio non elegiaco ma capace comunque di penetrare e ferire in profondità, come nel caso di “Ho paura dei giorni”, che si avvicina a quel sentimentalismo gridato à la Gazebo Penguins. Il sottile filo conduttore del ricordo lega idealmente i nove brani dell’album, un lavoro discografico che nasce e tratta di odierne città svuotate e senza memoria nelle quali le relazioni perdono sempre più valore. Ma in questa notte fonda Tutte Le Cose Inutili sono riusciti a trovare la luce ispiratrice.
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I’m Not A Blonde – The Blonde Album
[ 2018 | INRI | Synth Pop, Indietronica ]
(di Maria Pia Diodati)
Terzo album per il duo milanese tutto al femminile, a cui Chiara ‘Oakland’ Castello e Camilla Matley hanno lavorato insieme a Gian Maria Accusani (Sick Tamburo, Prozac+) per affidarlo poi alle mani sapienti di Matilde Davoli (Sudestudio). Introdotto da un singolo efficacissimo come “A Reason”, che ha l’energia sensuale delle Warpaint, l’ironia lisergica degli MGMT e un ritornello propulsivo e appiccicoso come radio comanda, oltre a dell’ottimo Pop sintetico questo The Blonde Album contiene anche tanto altro. I cori riverberati dell’atmosferica “Five Days” sono reminiscenze Shoegaze lucidate a nuovo dai synth sognanti, quella di “Walls Coming Down” è Indietronica dai tratti foschi a cavallo tra gli anni ’80 e i primi The XX. Ma non mancano i momenti più carichi, tra il pulsare dei beat di “Waterfall” e l’IDM di “Pinball”, contagiosa e raffinata come Roisin Murphy insegna. Il tutto ben calibrato su giusta dose di introspezione nelle liriche (in inglese, obvs) perchè il cantautorato, semmai non fosse ancora chiaro, non è prerogativa di quelli con chitarra e piano.
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Glen Hansard – Between Two Shores
[ 2018 | ANTI Records | Indie Folk, Indie Rock ]
(di Simona Ventrella)
Glen Hansard è personaggio che sembra uscito da un libro di racconti irlandesi. Poliedrico musicista e artista, con la sua arte e il suo impegno da sempre dimostra di essere un enorme cuore pulsante capace di tramettere questa passione e questo impeto, in mille modi, andando a toccare le corde più intime e nascoste dell’anima. Travolgente nei dischi, ancor più nel live, in questa terza prova da solista cambia ulteriormente pelle donandoci una prova da grande songwriter. Per dieci canzoni il suo consueto abito da menestrello Folk viene dismesso a favore di un’anima più Rock, meno intimista e sussurrata, che guarda da molto vicino colleghi americani come Van Morrison e Bruce Springsteen. Una prova che porta Glen fuori dalla sua terra natia, scollandogli di dosso quella marcata impronta irlandese che tanto lo contraddistingue e che al tempo stesso forse ne limitava la piena espressione. Un cambio di marcia che non tradisce il passato ma guarda in avanti e che ben conferma e rappresenta la sintesi del talento di Hansard sia nella scrittura di melodie appassionate sia nella capacità di rifinirle con degli ottimi arrangiamenti. Per dieci brani spazia in maniera davvero omogenea tra Rock, Blues, Soul, Jazz e un pizzico di immancabile Folk. Un ventaglio di suoni e sonorità che aperti e vitali rimescolano per bene il suo immaginario. Ascolto dopo ascolto, Between Two Shores lascia piacevolmente sorpresi, come colpiti da una piccola copernicana rivoluzione, che fa ripartire un giro del mondo che tutti vorremmo fare accompagnati da Glen Hansard e la sua crew.
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Jeff Rosenstock – POST-
[ 2018 | Polyvinyl | Power Pop ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Il ritorno dell’arrogante figlio di puttana di Baldwin è di quelli che lasciano il segno in quest’annata iniziata subito con qualche bombetta inaspettata. Solo due anni di distanza con quel capolavoro Power Pop che era WORRY. e quarto album che sancisce spazzando via ogni improbabile dubbio il valore del musicista americano. POST- esce il primo gennaio 2018 ed è un cazzotto in pieno volto dalla prima alla decima traccia; Pop aggressivo ma dallo spirito cantautorale, mischiato a Punk e Post Hardcore intenso e introspettivo, sprezzante e inquieto, pieno di inni urlati a squargiagola ma nello stesso tempo denso di melodie immediate e accattivanti. Un disco che parla degli States di oggi e di tutte le sue pulsioni negative e lo fa in una maniera che non vi lascerà certo indifferenti. Uno come Jeff Rosenstock è proprio quell personaggio che manca alla scena alternative Italiana.
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Dirtmusic – Bu Bir Ruya
[ 2018 | Glitterbeat | World Music, Folk Rock ]
(di Silvio “Don” Pizzica)
Ci hanno messo più di dieci anni ma alla fine i Dirtmusic sono riusciti a tirare fuori quell’album che sembrava ancora mancare ad una discografia capace di cose eccellenti solo in The Tent Session in compagnia dei maliani Tamikrest. La creatura slovena di nascita in cui militano nomi come Chris Eckman già con The Walkabouts e Willard Grant Conspiracy, il mitico compagno d’avventure di Nick Cave, Hugo Race, Chris Brokaw di Codeine e The Martha’s Vineyard Ferries, da poco Murat Ertel e il percussionista Umit Adakale, mette nero su bianco sette pezzi che col consueto fare psichedelico, uniscono l’Elettronica e la Dub alla tradizionale Mande Music proprio del Mali il tutto creando una sorta di rituale desertico, tetro e seducente, che sprigiona tutto il nervosismo accumulato anche per il fatto di essere registrato in una Turchia dove la situazione politica e sociale era tutt’altro che tranquilla. Che la commistione tra musica popolare esotica e modernità potesse essere una carta vincente lo si era capito da tempo; con Bu Bir Ruya i Dirtmusic mettono un altro tassello a questa certezza, regalandoci il suono attualissimo e tutt’altro che speranzoso dei migranti, della loro vita tormentata e isolata, lasciando agli altri la colonna sonora di un film a lieto fine.
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Last modified: 18 Febbraio 2019