C’è una Torino che non mai vissuto per questioni geografiche e anagrafiche, ma che ho tatuata nelle viscere, come un marchio genetico indelebile. Una Torino che ho visto riflessa negli occhi di chi l’ha vissuta, trascritta nelle pagine di vecchie riviste, proiettata nei documentari, presente e viva nella musica prodotta in quegli anni. Ho sentito parlare di scena musicale Hardcore torinese, della rabbia tramutata in musica nella città del progresso industriale targato Fiat, così diversa dalla Torino degli innumerevoli capolavori architettonici voluti dai Savoia. Ho sentito parlare di numerose band attive tra gli anni ’80 e ’90 che hanno contribuito a scrivere la storia musicale di una città (e non solo). Tra queste ho ovviamente sentito parlare dei Fluxus.
A volte il rischio dei grandi ritorni (in questo caso dopo 17 anni) è quello che il tutto si risolva in un puro esercizio di “autocitazionismo”, senza tener conto del contesto attuale. Ma non è questo il caso, perché il nuovo lavoro dei Fluxus, pur mostrando estrema fedeltà ai lavori precedenti, trasuda autenticità da tutti i pori. Non Si Sa Dove Mettersi arriva puntuale in un momento storico dove incertezza e instabilità (politica, emotiva, economica, ideologica, culturale, educativa, mentale ecc…) non sono solo semplicemente il pane quotidiano, ma sono diventate un vero e proprio modus vivendi. Quella di Franz Goria, Fabio Lombardo, Luca Pastore e Roberto Rabellino è una musica che riempie e inonda il vuoto musicale lasciato da chi, in un periodo in cui dilaga il populismo, l’ignoranza, la miseria, il razzismo, l’intolleranza, l’illegalità, la violenza, le tensioni mondiali, la differenza tra ricchi e nuovi poveri, preferisce tacere o fare finta di nulla.
La loro musica arriva a dar voce a quella perenne sensazione di sentirsi alieni su questa terra, quando mentre guardiamo un telegiornale, leggiamo delle notizie (sempre che non si tratti di fake news) o peggio quando ci capita di dare un’occhiata ad un commento qualsiasi sui social network, increduli ci chiediamo “Ma cosa cazzo siamo diventati?”.
Come se non bastasse l’eredità musicale che ci hanno lasciato fino ad ora, i Fluxus rincarano la dose regalandoci un disco schietto e rabbioso, ricco di altra musica ed altre parole con le quali accompagnare le nostre esistenze. È la musica necessaria per alimentare e ridare vigore a quel fuoco che portiamo dentro, che muove le nostre coscienze a volte assopite, che ci permette di superare i limiti e buttare il cuore al di là dell’ostacolo per raggiungere quel posto ameno dove risiedono i desideri più puri, un senso di giustizia e civiltà, perché come diceva qualcuno “essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare”. Non ci resta dunque che accogliere l’eredità di queste parole, la grinta di questi suoni, che sono pugni allo stomaco capaci di ridestarci dal torpore e farci incazzare ogni volta che ci facciamo trasportare dalle situazioni finendo per diventare irriconoscibili, perfino a noi stessi. Ringraziamo quindi ancora una volta i Fluxus per tutta questa musica, che sono sicura ci servirà tantissimo nel prossimo, imminente, futuro.
2018 autoprodotto Fluxus Maria Petracca Non Si Sa Dove Mettersi
Last modified: 18 Febbraio 2019