Dead Vibrations – Dead Vibrations
[ 2018 | Fuzz Club | Dark Wave, Noise ]
(di Antonio Azzarone)
Album dal titolo omonimo per questa band scandinava, primo della collaborazione con la londinese Fuzz Club Records. Sulla scena dal 2015, i Dead Vibrations sono un quartetto a base di chitarre, basso e batteria, con all’attivo un EP (Reflections) coi cui si sono fatti conoscere calcando i palchi d’Europa. I sette brani che compongono il lavoro, a partire dalla traccia iniziale “On A Sunday Morning” sino al finale amaro di “Bitter Better Way”, si colorano di oscuri riflessi Pop e psichedelici, con chiari riferimenti Shoegaze e tributi al Grunge di Seattle. Il risultato è un impianto sonoro carico di distorsioni e riverberi, con riff ripetuti di chitarra e un cantato dolente a suggellarne l’atmosfera Dark. Complessivamente un buon lavoro, che si smette a fatica di ascoltare.
[ ascolta “Chemical Hug” | pagina FB ]
Universal Sex Arena – Abdita
[ 2018 | Kowloon Records / La Tempesta International | Psych Pop, Etno Rock ]
(di Maria Pia Diodati)
Misticismo meridionale coniugato al presente, tradizione e sperimentazione che si incontrano nell’approccio cinetico degli Universal Sex Arena che, come pochi altri connazionali, riescono a suonare esportabili e insieme estremamente peculiari e riconoscibili – vedi i compagni di etichetta Ninos Du Brasil così come molti altri che gravitano intorno alla psichedelia: Julie’s Haircut, Jennifer Gentle, C’mon Tigre, ma anche progetti più giovani come quello solista di Gioele Valenti in arte JuJu (e non è il fatto che la maggior parte di questi si esprima in inglese a consentirne la ricezione all’estero). Con la band di Voiture Tempo – giunta con Abdita al terzo lavoro in studio – siamo ai margini estremi dell’Alt Pop, con lo sguardo rivolto in tante altre direzioni, tra i ritmi insistenti di percussioni tribali che fanno smuovere bacini (“Horizon Of Barking Dogs” e “The Time Parlour”, due dei brani che vedono la partecipazione di Luca Ferrari dei Verdena) e le parentesi più sensuali e stranianti (le distorsioni glam di “Radical Leather”, o l’impasto sintetico di “Alongshore The River”, due minuti di manipolazioni dentro cui annegano flebili fiati etnici). E così gli elementi consueti prendono nuova forma, come i giri di chitarra Rock old school di “In Palermo You Can’t Have Me” rigenerati dagli onnipresenti inserti esotici, provenienti da Oriente così come dal West americano, in un album che in balia di tutti i ritmi del mondo rivela il potere fecondo delle interazioni.
[ ascolta “Horizon Of Barking Dogs” | pagina FB ]
Nils Frahm – All Melody
[ 2018 | Erased Tapes | Post Classical ]
(di Maria Pia Diodati)
Come si proseguita nel tracciare sentieri sperimentali dopo un’avvenuta consacrazione a livello internazionale? Nils Frahm se la gioca con una mossa poco prevedibile, superando un paio di questioni che fino a ieri apparivano come presupposti fondanti del suo modo di comporre: l’insostituibilità del pianoforte e la caparbietà nel tenersi lontano dalla melodia. All Melody invece – e il sentore è già nel titolo di questo suo settimo lavoro in studio – è un compendio di modi in cui Frahm dimostra che l’impresa di tenere insieme linearità delle strutture e ambizioni avantgarde in fondo è possibile. Se la melodia è un vincolo, in realtà il paradosso è che, a introdurre un elemento che toglie gradi di libertà, il gioco si fa più duro. Frahm la spunta affidandosi al potere della contaminazione: nei vocalizzi femminei su un dosaggio perfetto di beating e solennita (“A Place”), nei fiati dal sapore jazz su percussioni contemplative (“Human Range”), nei climax ambientali che sfociano in territori Deep House (“Sunson”). Il risultato è un equilibrio sapiente di geometrie rigorose e suggestioni metafisiche, un alternarsi di minimalismi malinconici, estro jazzistico e magnificenza classica declinata al futuro prossimo, dove tutto riesce a suonare curato e spontaneo allo stesso tempo.
[ ascolta “A Place” | pagina FB ]
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Last modified: 18 Febbraio 2019