Il 29 maggio scorso allo storico Cassero LGBTI Center.
(di Charlie Bianchetti)
Otto italiani “di seconda generazione” raccontano cosa significa essere artisti e immigrati in Italia, oggi. Mercoledì 29 Maggio sette giovani artisti presentati da Avex si sono incontrati all’interno dello storico Cassero LGBTI Center di via Don Minzoni.
L’evento si apre con un breve talk, moderato e presentato da Kiave, in cui gli artisti discutono di cosa significhi essere italiani di seconda generazione e soprattutto artisti nell’Italia del 2019. Sul palco sono presenti Avex, Solomon B, Jathson, Ekowave, Il Male, Apple B, DJ Manu e Babatunde, che raccontano di come differenti esperienze di vita abbiano portati tutti alla musica.
L’idea di creare una serata che trattasse sia di temi sociali che di musica, unendo il tutto, nasce dalla collaborazione tra Avex e Futurissima, in risposta al clima di intolleranza e xenofobia che si è creato negli ultimi tempi in Italia. La scelta di Bologna, e in particolare del Cassero LGBTI Center non è casuale, Bologna è infatti riconosciuta da tutti gli artisti presenti come la città multietnica e multiculturale italiana per eccellenza, definita da Avex un vero e proprio melting pot, e il Cassero è il luogo che storicamente, a Bologna, accoglie artisti e persone di qualsiasi provenienza senza fare alcun tipo di distinzione e discriminazione.
Dopo un breve giro di presentazioni, Kiave porta la discussione sul momento critico che sta vivendo la politica e l’opinione pubblica in Italia. Citando Nas (“Quando rimo sono come tutte le razze concretizzate in un solo uomo”), Kiave pone la questione di quanto possa la musica realmente avvicinare persone provenienti da background diversi e abbattere i confini sociali, soprattutto quando gli artisti in questione sono accomunati dall’etichetta di italiani di seconda generazione. Il microfono passa ad Avex che non crede nella distinzione tra razze ma ne fa una questione di punti di vista, Nas infatti vorrebbe intendere che ciò che dice non è influenzato da pregiudizi, buoni o cattivi che siano, ma è neutrale, oggettivo, e proprio per questo è così efficace e può riunire così tante esperienze diverse rendendo loro giustizia.
Il discorso prosegue con Kiave che ricorda l’origine dell’hip-hop: un movimento culturale nato proprio dall’unione di diverse etnie nel melting pot che era, ed è tutt’ora New York, e parla di come lo scopo di questo movimento fosse proprio quello di abbattere i confini tra le varie “razze”, etnie, culture e portare avanti una lotta per l’uguaglianza lunga anni, secoli. Kiave parla del movimento culturale degli anni 90, tra cui i civil rights movements e l’hip-hop stesso, che usava come arma proprio l’arte, la cultura, la creatività, per combattere discriminazione e oppressione.
Durante questo scambio prende parola anche Solomon B che, riallacciandosi alla rima citata di Nas, parla di etichette, confini e limiti che come esseri umani ci poniamo da sempre, e che la musica ci insegna e ci aiuta a liberarcene. Continua parlando di come l’atto creativo a sé stante sia già l’abbattimento di un confine tra realtà esterna e realtà individuale, e portato a un livello sociale l’effetto non fa che amplificarsi. Rimarca poi l’importanza dell’utilizzo della musica e più in generale dell’arte come mezzi di lotta politica e sociale.
Interviene quindi Apple B che parla ancora di realtà personale e di quanto le singole esperienze, quando condivise e condivise nel modo giusto, possano portare cambiamenti positivi nella società, specialmente tramite i generi e i linguaggi meno mainstream che danno “fastidio” all’opinione comune, ma che sono vitali per iniziare un meccanismo di riparazione. Parla di “risveglio accidentale”, quello che avviene quando sentendo una canzone che non conosciamo ci rendiamo conto di qualcosa, qualsiasi cosa, alla quale non avremmo altrimenti mai pensato.
Il tema dell’identità torna nella domanda sollevata da Kiave, che portando la propria esperienza come cosentino trapiantato a Milano e non riconosciuto né come cosentino né come milanese, apre la discussione su cosa significhi realmente essere “di seconda generazione” e non essere considerati appartenenti a nessuna delle culture o delle società di cui si fa parte. Nella discussione viene citata anche la tag-line del film Balto: “Non è cane, non è lupo, sa soltanto quello che non è”, che viene usata per definire una sorta di limbo nel quale vivono molti degli artisti presenti sul palco.
Alla domanda “Qual è quindi la soluzione?”, Jathson risponde che non c’è una soluzione, proprio per la tendenza dell’essere umano a classificare tutto, a definire tutto come bianco o nero e rifiutare, o ignorare l’esistenza del grigio, del non conforme. Nell’esperienza di Jathson, comunque, questa caratteristica è una marcia in più, un modo per riuscire a percepire la realtà tramite due punti di vista differenti e ad avere, quindi, una comprensione più ampia della società e del mondo.
Esperienza non troppo diversa da quella di Ekowave, che pur riconoscendo questa dualità e ciò che di positivo può portare, soprattutto ad un artista, ci ricorda del peso e delle difficoltà che sono costretti a sopportare questi artisti considerati di “seconda generazione”. Ci parla nuovamente del rifiuto di entrambe le parti al riconoscere qualcuno che, per scelta o per dovere, ha dovuto lasciare la propria patria e si ritrova a vivere in un luogo al quale non è considerato appartenere, per poi tornare alla propria terra natia e ritrovarsi nella stessa posizione. La risposta, secondo Ekowave, è proprio nella musica, linguaggio trasversale e riflessivo di quella che è la società occidentale.
La discussione si sposta poi sui molti rapper e artisti mainstream che rifiutano di schierarsi, socialmente e politicamente, in nome della neutralità, rivelando in realtà una paura delle conseguenze che porta l’opporsi alle ingiustizie, soprattutto in questo clima politico. Gli artisti presenti non hanno paura di esporsi, ma anzi, ne fanno un punto centrale della propria arte, Babatunde fa l’esempio di Eminem, che ha usato la propria arte, in particolare in seguito all’elezione di Trump, proprio per parlare dei problemi dai quali è afflitta la società, e ha usato la propria visibilità per dare voce a chi, purtroppo, non ce l’ha.
Con Avex e Kiave, poi, si parla di ignoranza, cambiamenti, social network e reality TV, e di come tutto questo abbia portato non solo l’Italia, ma la gran parte dell’umanità, in un momento buio della storia.
Kiave parla di reality e social network, all’inizio positivi perché davano la possibilità a chiunque di poter intraprendere una carriera senza il bisogno di alcun sostegno esterno come agenti, manager e case di produzione e distribuzione, e di come siano stati presi nel modo sbagliato, trasformandoli in strumenti di celebrazione dell’ignoranza e della mediocrità. La sua non è una critica alle piattaforme e agli strumenti, ma al loro utilizzo improprio, che ha portato la popolazione a perdere quel sentimento di interesse per l’altro poiché focalizzata su sé stessa e sulla propria immagine, seppur povera di contenuti.
Di mancanza di contenuti si parla anche in relazione alla cultura della trap, non intesa come genere musicale ma come fenomeno sociale, in cui un genere musicale è stato privato completamente dei propri contenuti per essere ridotto semplicemente ad un’estetica particolare e considerata ormai uno stile di vita. È quindi una questione di esperienza personale, secondo Avex, che porta a trattare certi temi nella propria musica, al contrario di quanto vediamo accadere nella scena trap, che non parla di sesso, droga, alcol e soldi in quanto racconti di vita ma solo in termini di vanto e di prestigio, spesso senza conoscere ciò di cui si sta parlando.
Si passa quindi al punto centrale della serata: il live. Le sedie vengono rimosse per lasciare spazio al pubblico, che inizia a crescere notevolmente, e gli artisti prendono il palco.
Danno il via allo show i Fattore Esterno (il duo composto da Il Male e Dj Manu), mentre Dj Manu gestisce la consolle, Il Male rima su tracce old-school.
A seguire, Jathson ha performato alcuni dei suoi brani, tra cui Candy, ipnotizzando la folla con ritmi trap e passando dall’italiano all’inglese senza il minimo sforzo.
Dopo la trap di Jathson ha preso il palco Solomon B, che tra reggae e ritmi caraibici ha preparato il pubblico ad Avex. Il vero protagonista dell’evento è stato proprio lui, che tra Polleggio e Floppy ha anche condiviso il palco con Apple B per due duetti, scritti a quattro mani proprio da loro.
Lo show si è concluso con la performance, richiesta a gran voce, di Kiave, che, a pugno alzato, non ha perso l’occasione di richiamare il pubblico alla lotta sociale.
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Last modified: 11 Giugno 2019