Tumulti art punk tra le dolci colline dell’Ulster.
[ 20.03.2020 | autoprodotto | art punk ]
In questo periodo di reclusione forzata, mi sono proposto di fare delle ricerche musicali più profonde, indagando sonorità nuove che possano essere di mio gradimento.
Già nella precedente recensione dei Them Airs parlavo dell’art punk come frontiera inesplorata e potenzialmente ancora ricca di sorprese. Non è un caso, infatti, che l’anno scorso, in Gran Bretagna, ha portato alla ribalta band come i black midi, che all’eccentricità post-punk uniscono noise rock, post-hardcore e rock sperimentale, i Black Country New Road, che uniscono gli Slint alla no-wave newyorchese, così come il metamorfismo tra punk funk e ambient degli Squid, e potrei citarne tantissimi altri, tutti riportati in auge dal fenomeno Idles che ha saputo rinfrescare l’immagine arrancante della musica d’Albione, sovrastata dall’hip hop / rap e dal post-hardcore / emo americano; ed è proprio dalla scena americana che arrivano gli spunti per evolversi definitivamente senza snaturare e sopprimere l’essenza british.
I Dreamreading vengono da una zona particolare del Regno, molte volte dimenticata: l’Irlanda del Nord. In downlands, il loro sound è influenzato tanto dal post-punk di Talking Heads e Pere Ubu, tanto dal krautrock e dal nu-metal dei Tool (Broken Fingers Crossed, Nosedive). Medic ! ! è una cavalcata verso un paradiso di spettri ed angeli che amano gli Unwound;’75 PA esordisce con una cacofonia di feedback in ¾ per poi aprirsi a dei quieti droni, dello spoken word, un arpeggio Slint-iano e chiudendo il discorso così com’era iniziato, tra urla strozzate.
Il disco continua all’insegna dell’emo, sia nella voce che nelle strutture musicali, tutto impregnato da una certa giocosità nel mescolare i generi più differenti (metalcore, dream, ambient, sfumature jazzy). Nel complesso dura più di 50 minuti e, a chi non è avvezzo a queste sonorità, potrebbe risultare pesante e forse inconcludente, ma chi invece preferisce un approccio progressive a-là King Crimson, il krautrock dei Can e l’ecclettismo musicale tra toni post-hardcore e post-punk potrebbe trovare questo lavoro particolarmente gustoso.
Siamo di fronte, ormai, ad un agglomerato davvero consistente di band inglesi dalle sfumature post-punk che si diramano in altre direzioni. Inizialmente avevo dato un nome peculiare come “pub-core” a band quali Idles, Fontaines D.C., Girls In Synthesis, Sleaford Mods, LICE, Heavy Lungs ed altre simili, che imponevano un sound aggressivo e spiccatamente inglese con inserimenti hardcore e post-hardcore equilibrati; successivamente l’ondata spinta da black midi, Black Country New Road, Squid, Drahla, etc. ha dato maggior impulso alla sperimentazione andando a pescare sempre di più nei lidi americani: no-wave, post-hardcore, emocore, math rock diventando progressivamente un genere totale e ridefinibile – secondo la mia opinione – con la forma chiara ed ironica di “art-core-punk”.
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Last modified: 9 Aprile 2020