Quattro chiacchiere con la band dopo la pubblicazione del nuovo lavoro.
Dopo l’EP del 2018 che aveva impressionato per la sua capacità di collocarsi senza difficoltà in un momento storico e in un luogo ben preciso – Seattle, anni ’90 – i Bodoni tornano con un nuovo album, Domestik Violence.
Abbiamo virtualmente incontrato la band per capire cosa abbia ancora da dire il grunge al mondo.
Ciao ragazzi. Partiamo dal principio. Già agli esordi non avete voluto nascondere la vostra anima grunge, senza timore di collocarvi idealmente nella Seattle anni Novanta. Non avete paura di suonare troppo nostalgici, derivativi o anacronistici?
Forse, ma suoniamo in maniera naturale un genere che ci ha sempre accompagnato nella nostra vita artistica e culturale. Sono le canzoni a scegliere noi: spesso parte un riff, poi un secondo, e senza accorgercene ecco una canzone nuova; senza estrema ricerca o cura del dettaglio, senza voler necessariamente aggiungere elettronica o effettistica che non possediamo nelle nostre pedaliere o nelle nostre idee. Poi, se ci pensi, là fuori ci sono ancora le cover band dei Led Zeppelin.
Nella vostra musica si possono notare certo le influenze grunge ma anche la ruvidezza del punk, un po’ come accadde con la band di Kurt Cobain. Se a livello stilistico ed estetico queste influenze appaiono chiare ed immediate, quanto e come questi due movimenti vi hanno influenzato a livello umano? Cosa ci hanno lasciato in eredità che vada oltre la musica?
Come tutti i rockettari deviati dal pop, la conoscenza della musica alternativa nasce dalla scoperta di gruppi mainstream. Successivamente si entra in un vortice che ti porta a ricercare e scoprire gruppi sconosciuti ai più. Partiamo, come (quasi) tutti, dai Green Day per poi passare inevitabilmente ai Ramones. Dai Nirvana ai Sonic Youth è solo il passo successivo.
Il dubbio che continuiamo a porci è: cos’è il grunge e come si differenzia dal punk metal? Idealmente il grunge è l’ultimo vero movimento culturale. Infatti tutto ciò che nacque a Seattle negli anni Novanta può definirsi veramente grunge. Molti fan del genere restano ancorati e fedeli ai big 4: Nirvana, Pearl Jam, Alice in Chains e Soundgarden. Se prendiamo infatti queste quattro band, la sola vera cosa che hanno in comune è la città di provenienza (e neanche tanto per i Pearl Jam).
Anche per la scelta di cantare in inglese, oltre che per uno stile che difficilmente può far breccia nel più ampio pubblico italiano, sarete consapevoli del fatto che qui da noi la strada sarà inevitabilmente in salita. State cercando di superare i confini nazionali? Avete già qualche riscontro che faccia ben sperare?
Non ci siamo mai posti problemi di strade o di arrivi, di pubblico o amici. Rimane e vale sempre il discorso del “facciamo ciò che più ci piace”, senza fare calcoli di marketing o di prevendite. Nico è madrelingua inglese ed è irlandese, quindi sotto un certo punto di vista ci è concesso. Per lui, in realtà, sarebbe una forzatura fare il contrario. Superare i confini nazionali oggi è inevitabile. Siamo in un mondo globalizzato dove con un click puoi ordinare prodotti rari e remoti e riceverli in pochi giorni. Questo sì, sarebbe davvero anacronistico, poi non vorremmo dover tradurre tutto in spagnolo come fa Tiziano Ferro.
Abbiamo ottimi riscontri dall’estero, più che dall’Italia, in realtà. Siamo menzionati in blog messicani, parlano di noi in pagine oscure russe, in video peruviani e indiani mentre gli ascolti principali arrivano dal Centro-Sud America e dagli USA. Con questo non vogliamo pensare di “arrivare” o di “essere” o di “fare”. Però fa un bell’effetto constatare che a Bogotà ascoltano Any continuamente.
Il 5 marzo scorso è uscito il primo singolo, Lipstick, con un video realizzato dal videomaker ferrarese Michelangelo Ingrosso. Una storia di cronaca molto triste che lascia pensare ad un disco che voglia affrontare temi socialmente rilevanti come suggerito anche dal titolo. Cosa dobbiamo aspettarci da Domestik Violence?
Domestik Violence è una storia che speriamo offra degli spunti di riflessione. Dentro ognuno di noi si cela un mostro dormiente. Cosa lo risvegli e quali sono le conseguenze di tale risveglio lo deve comprendere l’io dell’ascoltatore. La gelosia, il senso di costrizione, l’impulso sessuale o fattori esterni come per esempio lavorativi? Purtroppo si legge spesso che “tizio in un raptus di follia ha causato la morte di…” ma questi personaggi non sono sempre ed unicamente dei deviati sociali.
Perché accade questo? È evitabile? In alcuni casi, come per lo stalking estremo, sì. Per altri e spesso, no. In questo periodo di quarantena forzata, molte coppie sono esplose, i casi di violenza domestica triplicati, e sono solo quelli di cui siamo venuti a conoscenza. Violenza domestica è sempre un termine forte, da qualsiasi punto di vista tu lo guardi.
Restando in tema, credete che sia importante che la musica e gli artisti mostrino e pratichino impegno sociale o è da considerarsi una scelta come un’altra?
Oggi purtroppo la musica e gli artisti passano quasi inosservati. Hanno perso tutto il loro carisma e quel “qualcosa da dire” che muoveva le masse e le idee. Questo a causa della nostra società fatta ad uso e consumo, dove le ingiustizie si accettano passivamente, gridando però sui social network come se si stesse facendo qualcosa di attivamente importante mentre in realtà tutto ciò che c’è di ingiusto là fuori rimane impunito. Oggi vediamo i ristoratori in piazza, ieri era “L’Ultimo Concerto” e prima ancora “Black Lives Matter”. Scendiamo in piazza per il nostro solo tornaconto ma domani per i problemi degli altri staremo in casa.
L’album è uscito il 5 aprile, data che ogni amante del grunge non può dimenticare. Cosa rappresenta per voi e solo per voi questa data?
Il 5 aprile è l’unico giorno dell’anno in cui tutti si svegliano più “grunge”. È l’unico giorno dove gli altri sono come noi. Il 5 Aprile è un omaggio, una dedica.
Ad inizio articolo ci siamo chiesti cosa abbia ancora da dire il grunge nel 2021. Non ci resta che chiederlo a voi.
Rabbia, depressione, angoscia e confusione sono sentimenti che esistono ancora. Sfortunatamente là fuori non è tutto Rolls Royce, the e pasticcini come viene dipinto da altri generi, forse più “moderni”. Noi tendiamo una mano in quella direzione: a quelle persone “stranite”, per far capire loro che non sono sole e non sono le uniche. E poi, cazzo, quanto è bello il Big Muff?
La produzione del disco è stata affidata a Federico Viola (Animal House Studio), mentre il mastering è stato curato da Andrea De Bernardi dell’Eleven Mastering Studio. Quanto è stato importante il loro apporto al disco? Come sarebbe stato senza di loro?
Viola è un produttore eccezionale e vanta artisti di grosso calibro, spazia tra differenti generi, con esperienza ventennale. Non si è limitato a premere ctrl+R sulla tastiera ma ha attivamente partecipato nella creazione di questo disco. Ha compreso ciò che volevamo trasmettere e l’ha elaborato in toto, senza stravolgere ma aggiungendo quell’ingrediente segreto. Credo che abbia trasformato le nostre idee in qualcosa di più concreto. Bernie non credo abbia bisogno di presentazioni sul valore aggiunto che fornisce ai dischi che passano tra le sue mani.
Uno dei vostri brani affronta il tema del ruolo dei social network sulle nostre vite. Sembra facile sparare a zero sui vari Facebook, Instagram, TikTok ecc… Poi, quando si tratta di fare qualcosa nel concreto, ci sembra impossibile riuscire a staccarci dal nostro smartphone. Sia a livello personale che come strumento di promozione per la vostra musica, voi che rapporto avete con questa nuova forma comunicativa?
Odiamo i social network e crediamo siano la causa principale dei mali di questo mondo, direttamente o indirettamente. Siamo tutti usa e getta, il prodotto dei bot per catturare l’attenzione per la loro pubblicità. Quando aprimmo la pagina Facebook della band, un giorno la ex di uno di noi si arrabbiò molto perché nello status aveva “single”. Lui neanche sapeva ci fosse quella informazione, ma la cambiò subito. Fa ridere ma al tempo era la “carta d’identità” digitale super seria.
Oggi la “fama” di una persona si calcola in followers e “persone influenzate” sui social. Poco importa se, dei milioni di utenti, la metà o più sono dei profili falsi acquistati online. Non ha proprio senso e, purtroppo, questo funziona anche per la musica in streaming. Ora per fortuna ci sono conseguenze (seppur lievi) sull’abuso, ma l’odio scaturito in rete ha causato più di qualche suicidio. Credo che i social network siano il più lampante degli esempi in cui la libertà di parola universale non funzioni.
Senza scendere troppo nei dettagli della pandemia, come cambierà la musica quando tutto questo sarà quasi finito?
È chiaro che i live stream non sono il futuro. Non forniscono il giusto appiglio a quello che la musica ha sempre dato ed è sempre stata. Fin dai tempi dei cavernicoli si ballava intorno al fuoco suonando le pelli, ed è lì che torneremo: ballando e cantando insieme. La musica dal vivo non è lo smartworking. Nel momento più buio, più complesso e deprimente, fu la musica a levarsi dai balconi.
Torniamo alla vostra musica. Cosa hanno i Bodoni in più di tutte le tante altre band emergenti che hanno scelto una strada simile alla vostra?
Non pensiamo di avere un “in più” rispetto a tante altre band emergenti. Noi siamo prima di tutto amici, conoscenti da una vita; senza troppe pretese ma con la voglia di bere una birra in compagnia. Tra di noi alle volte basta un cenno per capirci, e questo aiuta molto. Non deve essere per noi un “lavoro” quello di suonare.
Vi siete posti obiettivi a breve e lungo termine, per quanto riguarda la vostra vita di musicisti?
Suonare live, suonare live e suonare ancora più live. Ci piace un sacco, ci diverte, conosciamo persone e giriamo per posti nuovi. Dove? Ovunque sia possibile farlo, senza confini.
Ultima cosa e poi ci salutiamo: fatevi pubblicità!
In realtà l’unica cosa che ci interessa è tornare a fare concerti, appena si potrà saremo nei vostri locali!
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Last modified: 21 Aprile 2021