Il concerto dello stravagante sestetto jazz-punk inglese è una festa alla quale siamo tutti i benvenuti: provare per credere.
Mi rivolgo a tutti voi, fanatici della musica dal vivo, instancabili frequentatori di locali e palazzetti, sì, proprio a voi ed alle vostre esistenze scandite dall’attesa del prossimo concerto: chiudete gli occhi per qualche secondo e ripensate per l’ennesima volta a cosa abbiano significato, nel vostro personalissimo universo, due anni interi di pandemia.
Una fase perennemente sospesa, proprio come i biglietti appena acquistati per i nostri adorati eventi, come i programmi che abbiamo visto andare in fumo da un momento all’altro. Alcune date irrimediabilmente annullate, altre rimandate a date da definirsi che in quel momento ci sembravano lontane, lontanissime, intere ere geologiche fra noi e quello spiraglio di libertà tanto sognato.
Nel 2020 i nostri artisti preferiti hanno fatto di tutto per restare sempre accanto a noi, anche se purtroppo non fisicamente. Gli Idles ci hanno fatto saltare sul divano di casa e immaginare di pogare selvaggiamente con Ultra Mono, abbiamo ballato a più non posso nelle nostre stanze in compagnia di Dua Lipa e Lady Gaga nei nostri momenti più pop, abbiamo pianto tutte le nostre lacrime con Phoebe Bridgers e, last but not least, i Fontaines D.C. sono arrivati in nostro soccorso a scuoterci le spalle dicendoci “life ain’t always empty”, no, la vita non è sempre vuota.
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Nel 2020 anche i Melt Yourself Down, eclettico sestetto londinese, hanno pubblicato un album, il loro terzo, dal titolo indubbiamente singolare: 100% Yes. Un titolo che in quel contesto, in quel periodo così particolare, suonava esattamente come una promessa fatta a sé stessi: quando ne uscirò, quando tutti quanti ne saremo usciti, prometto solennemente a me stesso di dire sempre sì a tutto ciò che la vita mi proporrà.
Il loro era stato uno dei numerosi tour sfortunatamente rimandati più volte, le cui date promozionali erano state sostituite da una serie di dirette Instagram periodiche – che la scrivente ai tempi seguiva appassionatamente – talvolta supportate dalla presenza di altri personaggi del calibro di Anna Calvi, Joan As Police Woman e Dan Carey, giusto per citarne alcuni.
Ebbene, amic*: cosa può esserci di più “100% yes” di decidere di volare a Londra, in un anonimo e grigio weekend di novembre, due anni dopo, per assistere ad un concerto dei Melt Yourself Down in uno dei club più esclusivi della capitale britannica?
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La serata è sold out, il locale gremito di gente: due ottime premesse già più che sufficienti.
Tocca al giovane K.O.G., opening act della serata, il compito di scaldare il pubblico fra applausi ed incalzanti botta e risposta, in un’atmosfera speciale ricca di ritmiche tribali che fanno viaggiare la mente negli angoli più remoti della lussureggiante Africa.
Ad introdurre il live dei Melt Yourself Down sono invece le primissime, inconfondibili note di Boot And Spleen, uno dei pezzi più identificativi di questa bizzarra ensemble: un mix ad alto contenuto esplosivo di jazz, punk, funk, elementi elettronici e dance, krautrock ed influenze nordafricane. Una band di outsiders, perfettamente descritta dal titolo dell’ultimo album uscito via Decca Records ad inizio 2022: Pray For Me I Don’t Fit In.
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Impossibile restare indifferenti di fronte alla straordinaria performance del frontman Kush Gaya: un indomabile e travolgente animale da palcoscenico che salta e si dimena, scende a ballare e cantare in mezzo alla folla, non risparmia nemmeno un grammo della propria energia.
Maglietta a righe, sneakers leopardate e l’immancabile berretto calcato in testa: per il divino Pete Wareham, sassofonista e brillante mente del gruppo, lo stile è una questione d’immagine e non solo. Supportato dall’altrettanto valido George Crowley, tesse trame melodiche e sforna assoli mozzafiato che non fanno affatto rimpiangere l’assenza di chitarre nella formazione.
A completare il ricco quadro la componente più ribelle, lo spirito più punk nell’intera formazione: alle quattro corde Ruth Goller, bassista di origini altoatesine, in perfetta simbiosi con i due percussionisti Zands Duggan e Adam Betts.
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Pochissimo spazio per interruzioni, parole superflue o riflessioni; una scaletta tiratissima che spazia nell’intero repertorio della band e alterna brani più recenti – Nightsiren, l’afrobeat di Boots Of Leather, la potentissima, notevole Sunset Flip o il rap contaminato di Born In The Manor – a pezzi più datati (Dot To Dot, Jump The Fire).
Band e pubblico non sono più due entità distinte, ma si fondono in una sfrenata danza fatta di voci, suoni, movimento e palpabile entusiasmo. Siamo tutti stranieri per qualcun altro, finché non ci viene tesa una mano sconosciuta che senza proferir parola sembra quasi chiederci: vuoi ballare?
A degna chiusura del concerto, dopo una brevissima pausa, a sorpresa un trittico degno di nota: un’eccentrica cover di I Wanna Be Your Dog, l’acclamatissima Fix Your Life ed una sensazionale versione di We Are Enough.
Noi, un gruppo sul palcoscenico e i suoi appassionati spettatori, esattamente quel che basta a trasformare una serata in un’incredibile festa.
SETLIST
Boot And Spleen
Dot To Dot
Every Single Day
Born In The Manor
Nightsiren
For Real
Boots Of Leather
Crocodile
Jump The Fire
Sunset Flip
It Is What It Is
Balance
Pray For Me I Don’t Fit In
Encore:
I Wanna Be Your Habibi (I Wanna Be Your Dog cover)
Fix My Life
We Are Enough
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Last modified: 3 Dicembre 2022