Index for Working Musik – Dragging the Needlework for the Kids at Uphole

Written by Recensioni

L’esordio del collettivo britannico suona come un mistero irrisolto che non potrete fare a meno di riascoltare. Ancora una volta.
[ 17.02.2023 | Tough Love | art rock, shoegaze, psych rock ]

Se mi chiedessero di associare un’opera d’arte all’album di debutto degli Index For Working Musik, risponderei senza ombra di dubbio: White Disaster di Andy Warhol.

Un’imponente realizzazione serigrafica composta da lugubri fotogrammi in bianco e nero, alcuni parzialmente accavallati, talvolta sfocati, una sola immagine moltiplicata per ben diciannove volte. Un fatale incidente d’auto, una linea sottile fra la vita e la morte che si spezza, una scena angosciosamente ripetuta quasi allo scopo di normalizzarne la drammaticità, di familiarizzare con gli estremi.
Il bianco e nero e il poliedrico padre della pop art non sono due riferimenti del tutto casuali in questo contesto.

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Mente e anima degli Index For Working Musik sono Max Oscarnold – già membro di TOY e The Proper Ornaments – e Nathalia Bruno, già attiva sotto lo pseudonimo di DRIFT. Il progetto, complice la scoperta di una serie di immagini sbiadite in bianco e nero, nasce verso le fine del 2019 nel Quartiere Gotico di Barcellona.

Al collettivo si uniscono successivamente Bobby Voltaire (batteria), E. Smith (contrabbasso) e J. Loftus (chitarre). L’idea è di dar vita, nell’oscurità fumosa di un seminterrato londinese, ad un’opera che avrebbe attirato l’attenzione del citato Andy Warhol. E infatti il disco suona come fosse stato ritrovato dopo decenni fra vecchie registrazioni impolverate nel celebre studio newyorkese The Factory, conciliando passato, presente e futuro.

L’album percorre tortuosamente un preciso sentiero fra art rock, shoegaze e psichedelia, costeggiando l’estro darkeggiante e onirico dei Velvet Underground, le visioni allucinogene dei Brian Jonestown Massacre, un pizzico di acidità in stile Wooden Shjips e le morbide melodie dei Jesus And Mary Chain.

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Abbiamo chitarre nostalgiche (Wagner), territori più desertici di matrice blues rock (Railroad Bulls), meravigliosi e decadenti archi distorti in Athletes of Exile, un’inattesa virata verso il trip hop in Isis Beatles e lo splendore dell’indie rock degli anni 90 che spadroneggia con prepotenza nei singoli 1871 e Chains.

Abbiamo claustrofobia, versi nebulosi e cantilenanti e dolci armonizzazioni vocali ed una presenza costante, come un filo conduttore che tiene per mano e collega ogni traccia, quasi percepibile anche quando assente: un perenne brusio di sottofondo, già caro a Lou Reed e soci nelle loro bizzarre sperimentazioni.

Sinistri frammenti di noise che aprono il disco e si ripresentano successivamente, pressoché identici e crescenti per intensità e durata, nei due interludi Narco Myths e Petit Commiteé: due varchi che conducono da una parte all’altra dell’album, si aprono e ci si richiudono alle spalle, come porte stridenti di una casa buia ed infestata dai fantasmi.

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È qui che entra in gioco l’ossessività della ripetizione, proprio come nel caso dei fotogrammi reiterati di White Disaster. Suoni che si ripropongono e si aggirano sotto la superficie per poi ritornare a galla, ipnotizzando e confondendo, cancellando e riscrivendo, rappresentano una chiave di lettura e contemporaneamente la privazione di ogni apparente significato.

Habanita, dolce semiballad a tinte slowcore, chiude l’opera e scioglie definitivamente la tensione, un sospiro di sollievo finale al quale abbandonarsi, o forse no: i fruscii spettrali che ci accompagnano per l’ennesima volta negli ultimissimi secondi del brano lasciano intendere che quella linea sottile, per il momento, non si sia spezzata.

La sensazione, al termine di questi 32 minuti di indecifrabile bellezza, è quella di volerne ancora, subito, senza indugio.
Di voler ricominciare tutto da capo, d’istinto o forse solo per inerzia, in una serie interminabile di ascolti sovrapposti che si fanno man mano sempre più chiari e nitidi, proprio come le immagini dell’incidente di Warhol, o più semplicemente come qualcosa che difficilmente dimenticheremo.

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Last modified: 21 Febbraio 2023