Le sonorità più estreme si fanno veicolo di un messaggio carico di tensione positiva: il quartetto “ecstatic black metal” di L.A. sorprende sovvertendo ogni cliché.
[ 21.07.2023 | blackgaze, black metal | The Flenser ]
“Ecstatic black metal”. Con questo meraviglioso ossimoro i losangelini Agriculture descrivono il proprio eponimo debutto su LP, pubblicato in luglio per The Flenser: un’etichetta già nota per aver lanciato artisti e band in grado di abbattere spartiacque e luoghi comuni legati a diversi generi musicali (vi abbiamo già recentemente parlato degli Sprain, ma potremmo annoverare anche Have A Nice Life, Chat Pile e Midwife, giusto per farvi qualche esempio).
Mi basta la suddetta definizione e in un solo battito di ciglia mi rivedo adolescente, blindata nella mia stanza della vecchia casa in cui vivevo ancora con i miei genitori, con le mie inseparabili cuffie alle orecchie e ore ininterrotte di musica che, ne ero certa, la maggior parte dei miei compagni di classe non avrebbe mai apprezzato. Per me era “estatico” tutto ciò che in qualche modo riuscisse ad alienarmi da una realtà fatta di convenzioni, spirito di imitazione dei coetanei, incomprensibili mode passeggere, troppe sfumature di colore in un mondo che all’epoca preferivo di gran lunga vedere in bianco e nero.
Poco importava come suonasse: era “estatico” tutto ciò che mi permetteva, in qualche modo, di crearmi un’identità ed un mio mondo che potessi custodire gelosamente, un luogo in cui rifugiarmi.
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La stessa ricerca spasmodica di un’identità che anche la band californiana sembra perseguire. A partire dal moniker, più legato ad un’atmosfera mite e pastorale che ad un territorio oscuro ed inospitale, ma anche attraverso la stessa immagine, anonima e minimale al punto da passare inosservata, ben distante dalla ridondante estetica blackster.
Il quartetto demolisce gli stereotipi legati a doppio filo al black metal inteso nella sua accezione più pura, come genere che esplora gli aspetti più cupi e talvolta macabri dell’esistenza. Il suo approccio, al contrario, è carico di tensione positiva, spirituale, trionfante, celebrativo. Una formula già sperimentata in partenza, con l’EP The Circle Chant pubblicato nel 2021, che ora trova massima espressione in quest’album d’esordio.
Fatta questa premessa, potrei scommettere che la maggior parte di voi abbia pensato a quell’ormai iconico album dalla copertina rosa, sì, quello che proprio nel 2023 ha spento dieci candeline e che tuttora, a parere di chi scrive, riesce ad affascinare ancora esattamente come al primo ascolto.
Quel Sunbather che qualcuno ai tempi definì “happy black metal” e che osò aprire uno squarcio di luce nell’oscurità, complice nell’origine di quel sottogenere che ha attribuito ufficialmente un nome al connubio tra la violenza cieca del black metal e le atmosfere dreamy e galleggianti dello shoegaze: il blackgaze, per l’appunto.
Sebbene sia chiaro che, per attitudine e sonorità, gli Agriculture siano fortemente in debito nei confronti di Deafheaven e affini, limitare le loro influenze al citato capolavoro della band di San Francisco sarebbe quantomeno riduttivo.
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Agriculture è un album relativamente breve, talmente condensato e compatto nei suoi poco più di trenta minuti di durata da apparire quasi come un unico lunghissimo brano. Un’imponente, sfarzosa suite nella quale ogni elemento, anche quello all’apparenza più estraneo, riesce paradossalmente a trovare un senso.
Lo conferma già dal principio l’eco quasi pinkfloydiano della chitarra che introduce The Glory of the Ocean, sontuosa opener della durata di otto minuti, nonché poetica riflessione sul fragile rapporto fra individuo e natura. Le frange psichedeliche dei primi secondi si diradano in un tappeto post-rock ipnotico e sospeso in uno spazio senza confini, per deflagrare infine in un vero e proprio tornado di pelli indemoniate, riff tempestosi e urla minacciose e taglienti come stormi di corvi.
Il placido ingresso di The Well appare quasi fuori luogo in seguito ad una sfuriata di tale intensità: voci invasate e strumenti posseduti si prendono una momentanea pausa per lasciare spazio a più morbide e intense clean vocals, immerse in un’atmosfera pacifica che strizza l’occhio a folk e Midwest emo.
È però la successiva triade Look, Pt. 1/Look, Pt. 2/Look, Pt. 3, che spicca già anche soltanto osservando la tracklist, a guadagnarsi il titolo di punto focale dell’album: in una prestigiosa prova di abilità tecnica, il trittico suona esattamente come se tutti i frammenti caratteristici della prima traccia fossero stati improvvisamente spazzati via, smembrati e ricostruiti.
Abbiamo improvvisazioni e voli pindarici, raffiche di proiettili scagliati a velocità supersonica, meditazioni e passaggi trascendentali, persino fugaci incursioni free jazz (del resto, come non menzionare quelle spiazzanti e malandrine note di sax che sorprendono nel bel mezzo di una pausa durante il primo atto?).
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Quello degli Agriculture non è un album che possa in qualche modo rientrare nella definizione di “happy black metal”, tantomeno possiamo dire che sia un esordio genre-defining. Non cambierà in alcun modo l’ordine delle carte già piazzate in tavola, ma è senza alcun dubbio un’opera che spicca come brillante dimostrazione di un’invidiabile libertà compositiva, oltre che di uno spessore artistico non indifferente.
Possiamo solo sperare che il quartetto di L.A. abbia in serbo grandi piani per il futuro: nell’attesa, godiamoci questo promettente presente.
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Last modified: 21 Settembre 2023