La spirale emotiva dei Touché Amoré

Written by Recensioni

L’hardcore melodico della band californiana continua ad essere una forma di terapia inossidabile, oltre i traumi e il caos della vita di tutti i giorni.
[ 11.10.2024 | Rise | post-hardcore, melodic hardcore, screamo ]
L’hardcore vissuto da adulti.

Un’auto che sterza involontariamente e supera il limite della carreggiata, il rumore degli pneumatici che ti risveglia giusto in tempo per non deragliare completamente. L’asfalto che scotta e le miglia percorse che si accumulano inesorabili. Le distanze che salgono, lente, ma salgono. La vernice dell’auto un po’ sbiadita dal sole e segnata dal tempo, con della ruggine polverosa che ne ammacca i più piccoli dettagli. La sabbia si incunea nelle fessure più nascoste, mentre qualche granello ti cade nell’occhio, irritando la vista, offuscandola per un attimo. La linea retta che separa il deserto dall’orizzonte non è così semplice da mantenere. Occorre rafforzare la presa del volante e sforzarsi con una ritrovata energia.

Me lo sono immaginato così il viaggio che Spiral In A Straight Line ti porta a fare, pregno di quell’atmosfera californiana che è vitale per comprendere i Touché Amoré.
Dopo oltre quindici anni dagli inizi di To The Beat of a Dead Horse, con una label fondata per supportare giovani artisti (la Secret Voice di Bolm) nel mezzo, arrivare al sesto album, il primo per Rise Records, dopo aver vissuto l’adolescenza tra la Deathwish di Jacob Bannon e la maturità nella Epitaph di Brett Gurewitz, non è un traguardo da dare per scontato.

Jeremy Bolm, Nick Steinhardt, Clayton Stevens, Elliot Babin e Tyler Kirby non sono più ragazzini ma, come un vetro temprato che resiste alle intemperie, trovano di nuovo il modo di proporre la loro formula di hardcore melodico inzuppato di una dolcezza emotiva che si tinge dei colori più tenui e sfocati.

© Sean Strout
Una innegabile coerenza.

Sono passati quattro anni dall’uscita di Lament e torna la collaborazione in cabina di regia con il guru Ross Robinson, e anche questa volta c’è da tirare un sospiro di sollievo: non c’è nessun drastico cambiamento, bensì il sapore di un’evoluzione più matura e compatta rispetto al disco precedente.
Spiral In A Straight Line amplia la tavolozza di colori, pur non tradendo mai l’essenza più pura che ha reso immediatamente riconoscibille la band californiana: che sia l’urlato poco aggraziato di Jeremy Bolm o i dialoghi continui tra le chitarre di Nick Steinhardt e Clayton Stevens, si ha sempre la sensazione di trovarsi a casa.
Un album che esce dalla comfort zone, ma calibrando con attenzione ogni singolo passo.

Il punk del gruppo losangelino è ancora una volta intimo e sincero, senza troppi voli pindarici e soprattutto senza la pretesa di stravolgere la propria identità. Tutto è contraddistinto da una coerenza innegabile e, come in una liturgia, Jeremy attinge dal suo taccuino pieno di note, scarabocchi e frammenti fugaci per riversare nelle urla quello che gli passa per la testa.

È una forma di terapia che ha creato connessioni inossidabili, dalle ansie di Is Survived By, causate dal dover reggere l’exploit di Parting the Sea Between Brightness and Me, al dramma più profondo di elaborare il lutto per la scomparsa della madre in Stage Four, uscito ormai nell’autunno di otto anni fa.

Spirali autunnali.

E l’autunno sembra la stagione perfetta per Spiral In A Straight Line, con la sua pioggia a sbattere sui finestrini delle auto.
Il nome dell’album arriva dal primo brano composto per il disco, Altitude, spartiacque posto nel mezzo e canyon fatto di saliscendi evocativi. Il concept lo lasciamo raccontare da Jeremy, come leggiamo su Anti Matter: “there’s this idea that all off us are going through this tornado of emotions most days, where we feel out of control and then we still have to go out and do a job, show up for people that we love, or show up for people that we’re taking care of, or whatever it is. We still have to do it, even when things aren’t so good in your head. That’s the straight line aspect: it’s about having to move forward.”

Spirali che tutti noi affrontiamo in un mondo sempre più stratificato, controverso e difficile da navigare: “We’re nobody’s business” cantano i Touché Amoré, cercando in tutti i modi di trovare il giusto collante, The Glue, per dare un senso dignitoso a ogni esperienza vissuta evitando fratture franose. Una lotta al meglio delle proprie possibilità, tra errori e sbagli, per non finire incastrati in qualcosa che non ci appartiene.
Intrappolati in Routine: non è solo la spirale, ma la ciclicità delle giornate, degli eventi, un pattern ricorsivo dove l’imperfezione diviene un valore aggiunto, non una vergogna: “I’ll take some time, recalibrate / I’ll try anything, anything” cantano con sensibilità pop nella cinematografica Hal Ashby.

Nella matrice compositiva dei californiani troviamo una rinnovata ruvidità al basso di Tyler Kirby, con i malinconici stop’n’go alla Disasters o Finalist e, mentre in brani come Mezzanine si ritrova l’estro martellante di Elliot Babin, c’è spazio anche per passaggi più dreamy e liquidi come in Force of Habit, dove i suoni si fanno più rarefatti e sincopati.

Le melodie, invece di strizzare l’occhio all’emo, radice della band, sono più adulte e levigate. Non a caso, uno dei due ospiti dell’album è Lou Barlow, che in Subversion (Brand New Love) innesta il chorus originale dell’omonimo pezzo dei suoi Sebadoh nelle melodie del brano dei Touché Amoré, una sorta di tributo che ha per protagonista uno degli artisti per cui Bolm esprime più grande ammirazione.

Sentirsi a casa, nonostante tutto.

E, tra i traumi superati e il caos liberatorio che le tinte post-hardcore tracciano come morbidi fendenti in una tela nostalgica, nell’overture finale i Touché Amoré trovano un faro in Julien Baker, che arriva al terzo feature con la band dopo Skyscrapers nel 2016 e Reminders nel 2020.
Goodbye For Now è un climax ascendente che si apre con un blast beat inaspettato, per poi muoversi su lidi più atmosferici, in cui il crescendo finale mostra una Baker totalmente a suo agio in una scena musicale che ha nel suo DNA.

Spiral In A Straight Line fa così calare il suo sipario, e la sensazione che ci lascia è quella di aver ritrovato per l’ennesima volta degli amici che rappresentano un porto sicuro per chi ama queste sonorità, pronti a volare sul palco lanciandoci in quei sing-along che ci spezzano le corde vocali. E questo sì, ci rimette in carreggiata.

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Last modified: 11 Ottobre 2024