Ho avuto un attimo di smarrimento mentre tentavo di definire il genere di musica che suonano i Grammophone, quintetto campano che ha appena prodotto questo denso Multiverso. C’è indubbiamente una forte carica Rock a sottendere tutto, ma un paio di elementi caratteristici riescono a dare alle loro canzoni un taglio molto particolare.
Innanzitutto, la voce: intensa, potente, morbida, vicina più al bel canto che al Rock, che in qualche ritornello ci porta addirittura nella zona del Pop melodico italiano – ma quello fatto bene, anzi, benissimo (“Nell’Incanto”). Poi, la presenza sottile ma costante del pianoforte, strumento che più di una volta contribuisce a mettere in luce profili inaspettati e “laterali” di una band che comunque già di suo possiede un tiro sostenuto, un respiro travolgente (l’intro di “Segreto”).
In questa commistione di potenza sonora e morbidezza atmosferica, di totalità nervose e dettagli accoglienti, i Grammophone trovano la loro strada, e una chiave universale all’approccio verso il pubblico, che può godere delle melodie carezzevoli di voce e pianoforte e, insieme, della forza d’impatto di una sezione ritmica trascinante e di una chitarra trasformista ed essenziale. Una strada molto poco italiana, ma che potrebbe essere il punto di forza di Multiverso, disco ibrido, sospeso tra una vocazione innata al rumore e un’evoluzione naturalissima verso la melodia e il romanticismo, ombroso e sanguigno. Una terra di mezzo tutta da esplorare.
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Last modified: 21 Ottobre 2013