Basterebbe dire che tramite la rivista Blow Up, culto e riferimento per ogni ascoltatore intransigente e alla ricerca di suoni poco convenzionali, hanno lanciato l’album in questione (4 brani nel numero di luglio-agosto) e che un certo Giulio Ragno Favero, piccolo grande Re Mida della musica italiana contemporanea, si è occupato del missaggio, per conferire al disco, già prima di ascoltarlo, un alone di venerazione e culto.
Una prima grossa difficoltà la si trova nel sintetizzare con una parola il genere intrapreso dalla band marchigiana, autodefinitasi electronic post-rock. Certo non è sulla definizione che ci fossilizziamo quanto piuttosto nel cercare di collocare nel panorama attuale le idee e la creazione degli Esdem per analizzarne la direzione e lo sviluppo. E le difficoltà restano. Un disco pesante. Come poteva essere pesante Mezzanine ben tredici anni fa, perché se proprio dobbiamo cercare di rendere l’idea è a quell’album e ad una sua ipotetica prosecuzione che andiamo a pensare.
Chiamatelo trip-hop chiamatelo ambient ma l’accostamento immediato che viene da fare è proprio a quell’ambiente di confine sperimentale tra digitale e analogico che ieri Air e oggi Dalek rappresentano perfettamente. Disco da ascoltare tutto d’un fiato senza pause perché i brani non ne richiedono affatto anzi si lasciano digerire e dimenticare continuamente in un flusso sonoro ipnotico senza sosta finché non ti rendi conto di averli ascoltati per 6 o 7 volte di seguito. Descrivere ogni singolo brano risulterebbe sbagliato perché sarebbe come strappare una parte dal tutto ed isolarla a sé.
A manifesto dell’album scegliamo solo di sottolineare come in Italia una band in grado di creare un’atmosfera torbida e soffocante come “Sure”, giochicchiando con strumentazioni varie, difficilmente si vede in circolazione. In un contesto tanto complicato e pieno di accorgimenti pre e post produzione, è curioso come la voce risulti la vera chicca del risultato finale. Un cantato sempre sommesso, confuso, dilaniato che segue il resto solo quando ne ha voglia. Come del resto l’apparire e lo scomparire di alcuni strumenti nel corso dell’album, a disegnare un quadro impressionista in cui si sfiorano i brani ma non li si tocca mai con mano realmente.
La recensione arriva con ritardo rispetto alla data di pubblicazione dell’album, ma su Rockambula non poteva comunque mancare la citazione di uno dei migliori album italiani del 2011.
Last modified: 18 Febbraio 2012