Un disco di cover di Lucio Battisti. Una prospettiva sufficiente a mettere in fuga eventuali ascoltatori, salvo guardare meglio e scoprire che l’operazione è tutt’altro che scontata e non ha nulla della speculazione commerciale.
Del mostro sacro della canzone italiana infatti, l’etichetta fiorentina Industrie Discografiche Lacerba sceglie di indagare la parte più ‘oscura’ della carriera. Si tratta del sodalizio con l’autore Pasquale Panella, che nel periodo compreso tra il 1986 di Don Giovanni e il 1994 di Hegel ha dato vita a cinque dischi, i cosiddetti ‘album bianchi’ per le copertine minimal, volutamente distanti dal pop del periodo con Mogol e quasi sempre misconosciuti dalla generalità del pubblico.
Ne viene fuori un disco eterogeneo e affascinante, in cui i partecipanti al progetto – tutti appartenenti a quella scena che potremmo definire alternativa ma diversi tra loro per età e propensioni musicali – offrono la propria personale lettura di vere e proprie gemme di inaudita bellezza.
Dovendo fare dei nomi, una menzione speciale va a Rachele Bastreghi dei Baustelle, che trasforma “Le cose che pensano” in un brano degno della sua band. Si tratta forse del pezzo più avvicinabile a una vera canzone pop tra quelle comprese nel disco, in questa versione apprezzata dallo stesso Panella in una recente intervista. Così, se Federico Fiumani dei Diaframma, con il piano di Daniele Biagini in accompagnamento, colora “Senza Titolo” di New Wave, gli Spartiti forniscono una riconoscibile ma non per questo scontata versione di “Ecco i negozi”, con lo spoken di Max Collini su base elettro a cura di DJ Rocca. E forse è proprio la dimensione elettronica a farla da padrone, dopo ripetuti ascolti del disco. Da “Don Giovanni”, scarnificata da Larsen e Little Annie, ad “Allontanando” di Backwords, ipnotica e reiterata come piacerebbe a Thom Yorke (E poi? E poi? Di che parliamo?). A chiudere l’album, una seconda versione di “Don Giovanni”, per soli pianoforte e voce di Little Annie, struggente, à la Nico.
Un lavoro intenso, che non sfugge alla complessità, e ci accompagna alla scoperta di un tesoro musicale tenuto lontano dal pubblico da problemi non risolti di diritti d’autore. Tecnicamente un disco di cover, ma a mio parere uno dei migliori prodotti di questo primo scorcio dell’anno e un invito a riscoprire e restituire dignità al periodo finale del percorso artistico di Lucio Battisti.
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Last modified: 15 Marzo 2019