Alcuni lavori ripescati tra le uscite dello scorso anno che se vi sono sfuggiti vi consigliamo di recuperare.
MOJOSHINE – LA COLPA NON È TUA
Trascinati da uno spirito diy degno di una band di giovanissimi punk alle prime armi, i non più giovanissimi abruzzesi mettono insieme un disco di puro e semplice alt rock anni 90, alla memoria dei Marlene Kuntz che furono e di tutta una tradizione che ha segnato l’intera generazione disillusa di quegli anni. Una formazione ampliata, con tre voci, di cui solo una, quella di Patrizio De Luca, vecchia conoscenza della scena alternativa regionale, a fare da protagonista, tre chitarristi e basso e batteria a chiudere la sezione ritmica e presenza di Tomas Di Rocco; tutto questo rende la proposta dei Mojoshine qualcosa di più che semplice alternative rock, con uno stile che non disdegna di ampliare i propri orizzonti verso un più complesso art rock.
Un disco grezzo, per necessità e stile, ma al tempo stesso non certo grossolano, che potrà far storcere il naso a chi cerca la perfezione nel supporto compiuto e nelle registrazioni tanto quanto a chi non ha più voglia di ascoltare le chitarre vecchio stile ma quello che posso assicurarvi è che qui troverete qualcosa di più di una semplice band intenta a portare avanti una musica che si fa sempre più lontana.
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NIC GYALSON – YOU COULD ALMOST
Seconda prova dopo Alluvion del 2016 e ancora una volta pop elettronico ridotto al minimo essenziale per l’artista di Lugano che si avvale della collaborazione di Serena Maggino alle tastiere, oltre che coautrice dei brani, e di Dario Pedrazzi alla batteria. Uno sguardo a suoni vintage, atmosfere lisergiche, ritmo e voce che intaglia melodie pop di tutto rispetto.
Uno stile che sembra saltare senza mezze misure dall’attualità agli anni 70, capace di sfociare nel blues tanto quanto di metterti la voglia di ballare, farsi crudelmente techno per poi tornare su strade più distese, farti viaggiare o rilassare come nel caso nella bellissima End Of Wine, brano che sembra essere uscito da un’epoca lontana e inspiegabilmente passato inosservato, che forse non ammalierà i giovanissimi ma farà sognare i più “anziani”. You Could Almost è un disco altalenante, nello stile e nella riuscita, fatto di canzoni che lascerete scorrere senza troppo entusiasmo e altre che vi rapiranno il cuore.
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MADBEAT – LUCI ROSSE
A metà tra punk e alternative rock in italiano, i torinesi Madbeat mettono insieme otto tracce senza troppe pretese, semplici nello stile fatto di punk e melodia come tradizione della scena italiana ma con tante chiavi di letture più impegnative nella parte lirica, che passa dall’omaggio alla città di Genova e le sue tragedie fino alla catastrofe sociale della precarietà lavorativa, senza disdegnare tematiche più umane, personali e intime.
Tra i brani più interessanti anche Familia, col feat del laziale Path, cantautore punk sempre in prima linea sulle questioni degli ultimi, e la title track, scritta e cantata insieme a Eugy dei Bull Brigade. Puro e semplice punk: non dovete aspettarvi molto altro da questo LP che segue Ancora domani del 2015. Per noi può bastare per concedergli più di un ascolto.
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LAIKA NELLO SPAZIO – DALLA PROVINCIA
Power trio anomalo, con due bassi e batteria a fare da muscoli per la voce di Vittorio Capella, Laika Nello Spazio è alla prima prova in full length con brani che in realtà di anomalo non hanno troppo. Alternative rock in italiano, di quello che abbiamo imparato ad amare ai tempi dei Linea 77, con derive noise hardcore e voce che si divide tra cantato e parlato senza brillare per originalità.
Un disco che affronta temi cari al genere, in bilico tra speranza e disillusione di una generazione imprigionata nella provincia italiana, finendo per essere più interessante nella parte lirica che in quella musicale. Non siamo di fronte ad un nuovo miracolo italiano, ma gli appassionati del rock tricolore manieristico, se me lo passate, nella misura in cui non possa definirsi originale, apprezzeranno, e tanto.
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BELZEBOSS – L’ORA DELL’ACQUARIO
Paolo Capetta, in arte Belzeboss, si circonda di talento, tra cui un già noto a noi di Rockambula Alberto Nemo, per mettere in musica le sue idee e creare questo “rock mammifero ghiandolare”, come da lui stesso definito, che altri non è che rock in italiano che non sfocia delle distorsioni ma che piuttosto si contamina di rap, blues, piano rock, jazz, reggae e funky.
Un album che prova a stupire a suon di variazioni stilistiche ma che all’ascolto finisce per non farlo più di tanto per la naturalezza e semplicità con cui si compone e sviluppa. La presenza di Alberto Nemo non basta a fare di L’Ora dell’Acquario qualcosa di sorprendente, ma sorprenderci oggi è sempre più difficile, e a volte basta poter ascoltare un bel disco come questo per ritrovarci piacevolmente meravigliati.
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THE FENCE – EVERYDAY
I veneziani che a tratti giocano a fare i Television – e a tratti anche i Soft Machine – scandagliano il rock classico mischiandolo a funky, glam pop ed elettronica (pochissima, a dire il vero). Il risultato è, purtroppo, troppo lontano da quello che avremmo voluto. Se l’idea è di pescare nel passato, senza curarsi di sembrare anacronistici, la speranza è che lo si faccia in maniera tale da creare brani esteticamente perfetti.
Purtroppo non è quello che riesce ai The Fence e neanche la voce di Alessandro De Palma riesce a dare una grossa mano. Pochissime canzoni anche solo gradevoli e alcune reiterazioni antipatiche finiscono per spossare e anche sotto l’aspetto melodico, pochissimi sono i passaggi da ricordare.
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Last modified: 25 Febbraio 2020