La psichedelia vecchio stile si spoglia e veste abiti pop per molestare il mainstream.
[ 04.02.2022 | Domino Recording Company | neo psych, art pop ]
È dal 2009, anno di uscita del discusso Merriweather Post Pavilion, che non c’era tanta attesa per un album degli Animal Collective, e ora più di allora fremiamo dalla voglia di capire quale sia il reale valore di Panda Bear e soci e il loro ruolo all’interno della storia della musica contemporanea. Se quel disco creò una spaccatura netta tra chi gridava al capolavoro e chi alla grande truffa, questo ha la possibilità di chiarire i dubbi più di quanto non ci sia riuscito il tempo che, a dirla tutta, sembra averci consegnato una manciata di canzoni immortali ma anche tanta robaccia.
In Time Skiffs la band di Baltimora sceglie psichedelia in salsa dub, con linee di basso di un certo peso atte a trascinare l’ascoltatore dentro ogni brano e non lasciarlo mai distrarre dal mondo esterno e suoni fluidi che nulla hanno a che vedere con certo rock che strizza l’occhio allo “stupefacente”, come se si trattasse di lisergia, certo, ma non causata da acidi. Il risultato è un disco lussureggiante di armonie, scelte sonore, strati su strati, giri e ritmi che giocano tra loro e innegabilmente allontanano le critiche più feroci che facilmente potrebbe uscire dalla bocca da chi già disprezzò Merriweather Post Pavilion trovando conferma nella pochezza seguente quel disco. Brani che uniscono la vena pop mai celata degli americani alla non linearità delle loro scelte stilistiche, con un fare che suona tanto come la voglia di riconquista del trono psych pop rubatogli dai Tame Impala.
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L’opening Dragon Slayer è, nel bene e nel male, il sunto perfetto di tutto il disco: brano tecnicamente inappuntabile, incalzante, ipnotico e tropicale con quel ritornello che c’è ma non c’è, eppure povero della potenza intricata ma schietta che posseggono i capolavori di Merriweather. A tal proposito, potrebbe suonare molto più edificante un brano come Strung with Everything, nonostante fin troppo debba allo psych rock superclassico, con quel suo crescere senza fretta fino a metà del brano, prima di esplodere in un tripudio delirante e allegro come se i Beach Boys avessero invitato Syd Barrett alla loro festa in spiaggia.
Tolta questa e pochi altri episodi – tra cui Prester John con le sue stravaganze e la conclusiva Royal and Desire in cui gli Animal Collective, aprendo ad una sorta di progressive folk psichedelico alla maniera degli ultimi Fleet Foxes, sembrano mostrare davvero cosa sarebbero in grado di fare – il disco scivola via tra eccessivo manierismo, brani indulgenti, melodie fin troppo infantili e soprattutto poco, pochissimo coraggio ma tanta, tantissima imitazione del passato più (Stereolab, Spiritualized) o meno (Tangerine Dream, Beach Boys) recente.
Time Skiffs non è in nulla, nulla più di ciò che gli Animal Collective sono già stati negli anni addietro e nonostante il giudizio non possa dirsi negativo non consente loro di primeggiare nella surreale sfida con i fratelli più giovani, i Candy Claws di Ceres & Calypso in the Deep Time.
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Il disco è il tentativo di prendere la strada pop con più fermezza, probabilmente consapevoli ora che la psichedelia derivativa può acquistare una vena commerciale credibile. Puntare su armonia e melodia rinunciando a tutti i fronzoli che erano parte di loro ma muro per gli ascoltatori. Ecco ciò che si devono essere detti in fase di composizione; ma il risultato è solo un buon disco colorato, allegro, lisergico il giusto, senza troppa ambizione, a tratti noioso e fatto di brani che vorrebbero essere pop ma non hanno nulla per potersi definire grandi brani commerciali.
Non ci è dato sapere se questo sia davvero un tentativo di ricollocarsi e rimodellare il proprio pubblico oppure di rinnovarsi ancora o semplicemente dipingere l’espressione di sé. Nel tentativo di mostrare al mondo che anche loro possono pubblicare canzoni mainstream, non hanno fatto altro che dimostrare che scrivere brani mainstream è più difficile di quello che sembra, soprattutto se lo si vuole fare senza vendere l’anima al diavolo.
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Tolto l’aspetto estetico ed espressivo ciò che resta sono le canzoni. Nove canzoni che cantano l’amore, le preoccupazioni e la ricerca della serenità di musicisti che hanno perso l’impeto giovanile e si ritrovano quasi senza accorgersene ad essere adulti, con tutto quello che questo comporta. In questo danno voce a chi, come me o come te, è diventato grande in un attimo esatto, quando è accaduto quel qualcosa che ci ha svegliato dal torpore della giovinezza infinita.
In tal senso, questo disco rappresenta la presa di coscienza di tutto ciò che gli Animal Collective sono stati ma anche che vogliono diventare perché comunque vada, qualsiasi disgrazia o fortuna ci colpisca nella vita, siamo sempre e comunque noi gli artefici del nostro futuro, i demiurghi della nostra felicità. Basta solo stare svegli, anche quando si sogna.
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Last modified: 9 Febbraio 2022