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Gossip – A Joyfull Noise

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La pingue e belloccia Beth Ditto ha sempre amato ed invidiato Madonna, se ne è fatta una ossessione, e di girare ancora con i suoi Gossip nei dance-floor di seconda non ne vuole più sapere, aggancia il produttore Brian Higgins (Minogue, Pet Shop Boys) una ripulita generale dalla provincialità underground e via di corsa verso un ipotetico sogno mainstream con il terzo album della carriera “A Joyfull Noise”, e a dire la verità l’avvicinamento ad un suono mainstream è forte, ma da qui ad arrivare alla corte laica di Lady Ciccone ce ne vuole, e molto.

Gli arrangiamenti tutti in recording 24 piste d’ordinanza, rendono grande il suono, l’espressione, le timbriche pop e gli hook derivati da un dance frenetica compresi quei sinthetismi house che fanno smuovere e aggraziano passi e atmosfere disco, ma è un giro fisso che poi – sulla lunga distanza – risulta sterile, puri esercizi di stile che prendono qui e la da refrain modaioli e da derive compulsive che paiono arrivare da quei dischi remix orgoglio plastificato di house-clubbing di mezzo mondo; la band americana perde lo smalto degli esordi, e si sente benissimo che la loro ricerca di cose più alte ancora non è maturata del tutto, e di conseguenza risultare un “copia incolla” delle grandi muse ispiratrici poi viene  facile e ritornare indietro suona ostico.

Un disco che gira bene ma a vuoto, le canzoni no ci sono, solo canticchiabilità d’approccio e nulla di più, i Gossip non riescono a mantenere e  – possiamo anche dire –  gestire la propria fisionomia creativa che ce li ha fatti conoscere, vogliono vivere dentro una estetica patinata che ancora non gli compete, e sfruttare clichè che non gli appartengono invece che “ricrearsi la facciata” li sposta immediatamente nei gironi  limbo delle cose non azzeccate; la parsimonia non abita queste tracce, la logica del passo secondo la gamba nemmeno e allora tanto vale ascoltare un mixed-up di Gui Borratto che tra gli sculettamenti di “Get a job”, “Get lost” o “Love in a foreign place” rivive una seconda giovinezza.

Per trovare un qualcosa che possa farci ricordare già tra un mese questo lavoro discografico forse dobbiamo andare alla traccia d’apertura “Melody Emergency” ma forse è pura illusione, anche li la ex Material Girl è stata depredata a dovere.

A Joyfull Noise, bello fuori, vuoto dentro, ed è questo il vero gossip.

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Normal Insane – Sedici

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Ogni volta che si aspetta un dico nuovo da recensire, quello che piacerebbe sentire non sono i marchi stordenti che rinascono sputando visceralità senza scrupoli, ma almeno un minimo di “creativitudine” decente che possa far distinguere una band in carne ed ossa da una carta calcante spudoratamente in azione.

Quello che la formazione dei Normal Insane propongono nel loro official “Sedici” è un qualcosa che rappresenta la controparte della creatività, e non lo si dice e afferma tanto per fare tocco di rimando, solamente che l’evidenza d’ascolto è alla portata di tutti, o almeno, di quelli che potrebbero avere la curiosità di ficcare gli orecchi qui dentro, allora si che il giudizio d’insieme si presterebbe ad una solidificazione tremenda; una tracklist composta da tredici farneticazioni intime, rock’n’roll dissalato e ballate fuori squadra in cui i Nirvana (specie nella voce del cantante) preferirebbero fare la fine del Kurt mondiale pur di non essere citati virtualmente qui dentro, circa cinquanta minuti di nulla che rimbalzano qua e la senza un riscontro, un punto fermo o un momento di chiarezza.

Un disco da consumare in pochi secondi, una creazione sonora già abortita in partenza dalla quale possiamo salvare la ballatona acustica di”Ufo” per quel senso di delirio riuscito che può dare una via di uscita insperata da questa tracklist e per fare tornare in libertà  l’ascolto e dargli l’opportunità di mettersi in cerca d’altro, in cerca di un disco lungimirante; un consiglio spassionato al “cantante” di questa formazione, “suvvia o giovine, e magari vedere di trovare qualcosina  da fare come roadies?”

Per tutto il resto, avanti un altro grazie!!

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Slash – Apocalyptic Love

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Axl  Rose lo ha mandato a fare in culo perche si è rifiutato di riunirsi col resto dei Guns in occasione della Hall Of  Fame, ha glissato magnificamente gli esperimenti penosi di Snakepit prima e Velvet Revolver dopo, ha stretto l’anima con Myle Kennedy (Alter Bridge) con un patto sonoro fenomenale, ed ora il mitico chitarrista Slash può alzare la testa ed il volume del suo mitra a sei corde, e lo fa in questo “amplificatissimo” nuovo disco “Apocalyptic love”, il segno e la virtù di un mito vivente con la perenne sigaretta in bocca che suona da dio e che lascia il suo tocco ovunque, come un compito in classe per milioni di chitarristi in erba.

Certo che l’alchimia hard imbastita insieme a Kennedy ed i suoi The Conspirators è una forza della natura, il tratto e il gancio di Slash è rimasto intatto, sporco e preciso come un tiro di fucile col mirino, una classe senza età e senza mode, tutto riporta comunque allo stimolo G’N’Roseano, sembra di sentire un vecchio disco della band eccellenza di un allora street-rock senza rivali dissolta poi nel nulla e nella cupidigia di un leader convulso e preda del successo mondiale, ma della storia solo lui, Saul Hudson detto Slash  l’inglese con la tuba – che la rivista Rolling Stone lo ha voluto tra i cento chitarristi della storia del rock – è ancora qui sulla strada elettrica a tramandare una favola che non conosce fine o bollette d’energia, ancora qui a farci balzare ogni volta che la sua penna tocca le corde possedute della sua fiammante e insostituibile B.C Rich Mokinbird .

Per essere sinceri fino in fondo “è la musica di Slash” e nient’altro, non ci sono novità eclatanti solo i riffoni estatici, l’hard blues lancinate che sposa magnificamente la voce di Kennedy “No more heroes”, “Halo”, “Bad rain”, le ballatone da cardiopalma “Far and away”, “Not for me” e chiudendo gli occhi ricompaiono gli ectoplasmi dei citati GNR che comunque non se ne vogliono andare dai bei ricordi di questo eroe, specialmente nella quadriga “We will roam”, “On last thrill”, “You’re a lie” e “Anastasia”;  molto degli anni Ottanta gira dentro ancora come una meteora impazzita, ancor più le sensazione che la maledizione di Axl non sia stata lanciata a caso, ma al momento tutto questo è da accantonare, abbiamo una chitarra in ottima forma ed un chitarrista che la sa domare come sempre, cercare di più mi sembra fuori luogo e fuori di testa.

Per voi un bel disco che sfida il tempo.

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Tutti al Mei Supersound ! Si parte domani coi Nobraino

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VENERDI 28 SETTEMBRE

Anteprima del festival

SI PARTE VENERDI’ 28 SETTEMBRE AL TEK DI FAENZA

EVENTO UNICO ED ESCLUSIVO COI NOBRAINO

GRANDE CONCERTO DI BRANI LIVE INEDITI.

Ascolta il brano inedito “Esca Viva” su YouTube:

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Thank you for smoking – Dopo la quiete

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Io concetto di “nuovo” in musica è relativo in sé (dipende per forza di cose dai nostri ascolti pregressi, dall’ordine cronologico con cui ci siamo avvicinati a un genere o a una band, dalle nostre conoscenze armoniche, melodiche e ritmiche che ci permettono di riconoscere come più maturo qualcosa rispetto a qualcos’altro e così via) e relativo sul piano estetico, perchè non è necessario che un brano sia originale, mai sentito, per riuscire ad emozionare e trasmettere un messaggio. E fin qui siamo tutti d’accordo. Fermo restando che la qualità tecnica dev’essere buona e asservita alla comunicazione di emozioni, sentimenti, idee, perchè il “nuovo” in musica è anche maledettamente difficile da creare e la concorrenza, specie nel panorama musicale emergente e indipendente è numerosa e spietata.

Ecco: i Thank You For Smoking, cagliaritani, attivi dal 2009 con tanta esperienza live, non hanno niente di nuovo. Niente. Dopo la tempesta, album interamente autoprodotto e in distribuzione da maggio, si apre con quasi due minuti di Preludio, gradevole, arioso, altamente melodico, dal sapore anche un po’ etnico. Ci si aspetta decisamente qualcosa di molto diverso da Al risveglio com’è reale l’iride, che è invece una velocissima traccia dal carattere quasi metal, atmosfera che a dire il vero pervade praticamente tutte le nove canzoni dell’album, con la voce di Aurora Atzeni decisamente impostata su quel genere (stile Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, per intenderci), polmoni pieni, diaframma ben teso e tanta energia, che viene spesa però per melodie monocordi che si lasciano andare solo in qualche vocalizzo che comunque viene reiterato troppo e finisce per appesantire il tutto. E nelle tracce successive non c’è nessun ritorno a quelle atmosfere pulite e fresche della prima traccia: c’è qualche virata più new wave come nella quasi title-track Dopo la quiete, il nulla, o post rock, come in Delitto e Il ponte di Einsten-Rosen (la più riuscita, a mio avviso, perchè rivela un tentativo di fuga dai binari dello stile consolidato della band, la migliore se si fa finta di non notare che stacchi, timbri delle chitarre e impiego delle tastiere ricalcano esattamente le tracce precedenti). Particolare per la scelta timbrica ma purtroppo sempre poco comunicativo sul piano emozionale è Corrotto mistico complice, da segnalare solo per l’intervento di un mandolino, il cui utilizzo però dà il via uno sfogo strumentale rotondo e caldo, il momento più intenso, o meglio l’unico, di tutto il disco. Duhkha e Fantasmi passano lasciando qualche sentore post-grunge, così come Dedica in lacrime che richiama particolarmente i primi Verdena.
Gli arrangiamenti dei Thank you for smoking sono pieni, tanto da risultare quasi manieristici, indubbiamente curati, ma mancano di verve.
Onore al merito, invece, per le liriche: i testi sono tutti in italiano, con una scelta lessicale che fa trasparire grande attenzione nella stesura e la volontà di fare e dire qualcosa di impegnato. Peccato, però, che si perdano in una versificazione pesante che distende le frasi eccessivamente e ne fa perdere l’intelligibilità e l’immediatezza.
C’è del talento, è indubbio, ma questi tre ragazzi a mio avviso dovrebbero trovare qualcosa da dire più che concentrarsi su come dirla.

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GATTAMOLESTA ecco il video di 8 ORANGUTAN

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Lunedì 10 Settembre i Gattamolesta hanno presentato il nuovo video del brano “8 Orangutan”, tratto dal loro ultimo album “Vecchio Mondo” uscito ad Aprile per la torinese Felmay Records.

Il brano prende spunto da un celebre racconto di Edgar Allan Poe dal titolo “Hop-Frog” (o “Gli otto orangutan incatenati”) che narra della vendetta del giullare di corte Hop Frog nei confronti del re tiranno e dei suoi sette altezzosi ministri; complice è Trippetta, la sua amata, ballerina e animatrice della corte, offesa pubblicamente dal re.

Hop Frog organizzerà una grande festa in maschera facendo travestire il re ed i ministri da oranghi – bestie spaventose e sconosciute – che si presenteranno agli invitati incatenati, sbraitanti e urlanti, creando scompiglio e terrore e per il divertimento dello stesso re e dei suoi ministri.

Nessuno immagina che il giullare si presenterà con tanto di torcia infuocata e, saltellando e ballando grottescamente, arderà vivi pubblicamente gli otto oranghi mettendo fine alla tirannia e andandosene poi per sempre con la sua Trippetta.

Il racconto è quindi una storia d’amore e di ribellione verso la tirannia e la sua boriosa arroganza.

I Gattamolesta si sono allontanati dall’oscurità di Poe e hanno girato il video con la luce del giorno d’estate, in un campo di grano nelle campagne di Santarcangelo di Romagna, con un’ atmosfera agreste e festosa: positività ed energia sono infatti caratteristiche tipiche della musica e delle performance live della band romagnola.

I personaggi umani si alternano con i burattini, creati appositamente dal maestro burattinaio Jacopo Orsolini.

La scena si apre proprio con il burattino Hop Frog e ripercorre la trama del racconto, la band suona, circondata dalle comparse, in una sorta di danza tribale intorno al fuoco, festeggiando con musica e vino.

Dal teatrino dei burattini che mettono in scena Hop Frog, alla festa e rivolta in mezzo alle fiamme, i Gattamolesta trascinano la folla imbracciando gli strumenti, incitando i partecipanti in una danza dionisiaca che si concluderà con la distruzione di una baracca a opera dell’Uomo Torcia, Ivan Gobbi, mentre Andrea Gatta, il frontman della band, sollevato da una benna, renderà la scena ancora più incendiaria.

Il video termina poeticamente con il burattinaio che, una volta distrutta la sua baracca, si allontana tra il grano in compagnia dei suoi burattini.

Il video riassume in sé tutti gli elementi tipici dei Gattamolesta: il richiamo alla tradizione agreste, l’allegra furia dissacratrice, la festa vista come momento di condivisione e di catarsi, la malinconia, la poesia e un pizzico di trash.

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“PANNA, FRAGOLE E CIPOLLE” è il nuovo disco di Viola Valentino

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Dopo il grande successo del sinolo “STRONZA”, Viola Valentino torna con il nuovo Ep “PANNA, FRAGOLE E CIPOLLE” (Cama Records/Edel), in uscita il 9 ottobre.

Un disco pop, fresco e pieno di sorprese interamente con 7 brani inediti e 2 bonus track “instrumental”, prodotto ed arrangiato da Giovanni Germanelli, Francesco Mignogna (entrambi autori di tutti i brani ad eccezione di “Via Toledo”) ed Alex Marton.

Tra le collaborazioni, Scialpi co-autore dello splendido brano “C’est la vie” ed il bravissimo Andrea Gallo, autore di “Ahimè”. Mix e mastering: Firstline Studio di Alex Marton.

In radio a partire dal 28 settembre il secondo singolo, “L’unica donna”, brano intenso dove Viola racconta un’altra storia tormentata, finita con “..dicevi: tu sei l’unica donna…ma niente è per sempre..”.

Questa la tracklist di “Panna, Fragole e Cipolle” : “Stronza”; “Ancora un’ora”; “C’est la vie”; “L’occidentale del Kashmir”; “L’unica donna”; “Ahimè”; “Via Toledo”; bonus tracks: “Stronza” (instrumental); “L’unica donna” (instrumental).

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A OTTOBRE IL TOUR ITALIANO DI MARTIN HAGFORS

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Ecco le prime 3 date confermate per Martin Hagfors, uno degli artisti norvegesi più influenti.
In passato ha girato l’Italia in lungo e in largo, in tour con gli Hagfors Gebhardt Hello (HGH), la sua band trash grass fondata insieme a HÂkon Gebhardt, storico batterista dei Motorpsycho.
Nel 2012 pubblica il suo secondo album solo, “I like you”, prodotto da Lars Horntveth (Jaga Jazzist), che ha suscitato critiche entusiastiche come quella del The Evening Post di Oslo che lo ha definito il suo lavoro migliore: niente male dopo ben 17 album già acclamati dalla critica.
Hagfors è un musicista brillante che riesce facilmente a trascinare il suo pubblico nei suoi brani caleidoscopici grazie alla sua presenza carismatica, le sue eccentriche presentazioni ed il suo umorismo sarcastico.
ECCO LE DATE:
04 ott – BREGANZE (VI) @ Pomopero 05 ott – PADOVA @ La Mela di Newton 06 ott – CASAL MONFERRATO (AL) @ Pantagruel
07 ott – FIRENZE @ tbc
09 ott – ROMA @ tbc
Official Site – http://www.martinhagfors.com/ FB – http://www.facebook.com/mhagforsmusic TW – http://twitter.com/martinhagfors YT – http://www.youtube.com/watch?v=HsOGv_Dfjgs
Per info e contatti booking / info@damigianobooking.com press / ele.devito@gmail.com

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Le Carte – 100

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Formalmente “100”, il nuovo disco della band Le Carte, è un disco impeccabile, tutto giocato sul filo di lana di un rock dinamico, asciutto dai colori bronzati, scuri, sgolato a giugulare gonfia, ma che anche dopo svariati laps d’ascolto convince a metà, troppo ancora legato ad un suono e ad una movenza di vecchio stampo, vengono a mancare le emozioni fresche, in poche parole e senza girarci intorno, quasi un porridge riscaldato che può salvarsi in qualche circostanza annidata nella tracklist, ma sostanzialmente sì, un insieme di rock già sentito milioni di volte e che quindi scorre sotto il lettore ottico come una ventata in cerca di uno sfogo qualunque.

Il trio pugliese, Lorenzo Forte voce/basso, Eleonora De Luca voci/batteria e Roberto Mangialardo alla chitarra, nel corto giro di undici tracce, ci da sensazioni epiche e melodiche che scrutano nel buio di una umanità alla frutta, dei baratri sociali e di rapporto logori, sfilacciati, a tratti paranoici, uno scroscio costante di elettricità e vigore che si aggrappa a dolori e domande “L’ultimo giorno sulla terra”, strappa pelle agli anni Settanta tricolori della Formula Tre nell’ottima “100”, fa shuffle convulso e molto shaker’s “Vinili e dischi”, si avvicina pericolosamente ai Marlene tanto da farne una collisione vera e propria “L’aria qui intorno” mentre – e può sembrare un caso? – la traccia che porta al top questo disco de Le Carte è proprio una traccia non scritta da loro, una traccia stupendamente rivisitata che è poi “Mio fratello è figlio unico” del divino Rino Gaetano, traccia che accoppiata alla intimità agrodolce e bella di “Periferia” fanno urlare Peccato, si poteva fare di più, veramente fare di più e uscire dall’impasse – dal momento che le armi soniche la band ne ha e molte – che li incastra a cose che, distaccatamente testate, oramai fanno ricordo al quadrato.

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RAGGI ULTRAVIOLENTI È TUTTO UN FAKE!

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Direttamente dalle colline del Monferrato arrivano i Raggi Ultraviolenti, gruppo Punk in pista dal 2009.

Il fil rouge di tutto il progetto è l’ipocrisia di una società corrotta in cui più importante è l’apparire, lo si intuisce fin dal primo pezzo, Intro, in cui il parlato sottolinea l’idea del disco illustrando l’etimologia del termine FAKE!
Seguono pezzi come Fake! in cui le chitarre graffianti giocano con il cantato di Andrea in modo acuto e dirompente. Si passa poi a Carriera da Velina: mid-tempo, riff movimentati e sincopati che spostano l’attenzione sulle voci alternate.
Tra gli 11 pezzi spiccano Rabbia Chiusa e Skandre, che si discostano dal punk più nervoso inserendo pure sonorità ska.
In ultimo La Mia Sbronza e Clitoride, due pezzi già presenti nel primo lavoro dei Raggi Ultraviolenti, riadattati e rimasterizzati per l’occasione.

Un disco autoprodotto, incazzato al punto giusto che inserisce a pieno i Raggi Ultraviolenti nel panorama Punk nazionale!!! USCITA IN DIGITALE IL 9 OTTOBRE 2012!!!!

Punti di interesse:
– ottime scelte armoniche
– testi in italiano
– tematiche sociali

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IRREVERSIBILE è il nuovo video del Management del Dolore Post-Operatorio

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“Quando il mondo attorno a noi è sordo e marcio, la soluzione è un dialogo cortese o un pugno diretto in faccia? A dire il vero, se i fatti corrispondono alle parole, ci si ricorda vagamente di un Dio pronto a distruggere intere popolazioni che non volevano starlo a sentire. Il punto è questo, spesso la misericordia non può prescindere dalla giustizia. Allora ben vengano i guerrieri dell’apocalisse a distruggere i monumenti all’egoismo dell’uomo contemporaneo”

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“Diamanti Vintage” The Cure – Three Imaginary Boys

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É storia appurata, se non ci fosse stato in giro in quegli anni, tra le masserizie squarciate del dopo punk, lo spirito allucinato degli Joy Division, di loro non ne avremmo saputo mai nulla, o forse non sarebbero mai esistiti.
Prima Easy Cure con il naso dell’istinto, poi Robert Smith alla chitarra e voce, Michael Dempsey al basso e Lol Tolhurst alla batteria fondano il nocciolo primitivo della più grande leggenda oscura del rock che prenderà il nome The Cure, l’emblema notturno del buio.

Ma qui siamo alle origini della loro novella, e sebbene Smith e soci si vestono di nero e si bistrano gli occhi di nerofumo, siamo lontani da come li conosciamo oggi; è l’esordio di una band che vuol fare ballare, divertire, saltare tra ritmi punk-reggae e baldorie beat anni 60, dove la malinconia fondamentale dell’epoca sale in gola solo in sparuti episodi disseminati nella tracklist.
Three imaginary boys” arriva come a far pace – dopo il singolo dell’anno prima Killing an Arab che tanto aveva fatto infuriare le comunità islamiche per via del suo contenuto oltraggioso – col mondo intero, e colpisce subito nel segno per la vivace stravaganza ed eccentricità surreale di cui si colora.

I “giocherelloni del Sussex”, come saranno chiamati scherzosamente i The Cure, guadagnano le prime pagine delle riviste rock, fra i protagonisti della nuova corrente post-punk guidata appunto dai Joy Division e Siouxie & The Banshees. Il resto lo fa la bizzarria della proposta musicale: un suono magro, con la chitarra di Smith in primo piano e atmosfere diafane che prendono spunto dalla psichedelia Endrixiana quanto al glam di Bowie.

I ragazzi hanno vent’anni e il suono può sembrare ancora immaturo, abbozzato, ma fresco e irriverente 10.15 Saturday night, Object e So what, emozionante nella rivisitazione distorta e ubriaca di Foxy Lady di Endrix, terribile nell’urlo lancinante di Subway song e allucinato nello swing che si scalda per poi prendere fuoco in uno stranissimo reggae-free jazz Meat hook; il romanticismo nebbioso, che poi cova nel carattere dei musicisti, trapela nel gioiello del disco, quel Fire in Cairo dal ritornello lento e imbambolante in cui sono cantate le lettere in inglese dell’alfabeto – i, erre, effe ecc -, che lascia presagire – col senno di poi – la via maestra della band verso la “linea gotica” che li incoronerà – nel giro di due/tre album – portavoce ufficiali della nuova generazione di sconfitti.
Tuttavia rimane un esordio allegro e pimpante, ancora vergine e immacolato rispetto al  tetro dark che abbracceranno in futuro, dove prenderanno coscienza che l’essere depressi è la vera realtà,. se non l’unica, per essere felici senza un sorriso e per sorridere senza una smorfia di viso. Disco essenziale come un’arcobaleno prima – e non dopo – la tempesta no-future che bussa all’uscio.

 

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