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Tour nei club per il Teatro degli Orrori dal 9 Novembre!

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Ecco tutte le ultime date:
VEN, 9 NOV 2012 CORTEMAGGIORE FILLMORE

SAB, 10 NOV 2012 SANVITTORE DI CESENA VIDIA

VEN, 16 NOV 2012 TRIESTE ETNOBLOG

SAB, 17 NOV 2012 FIRENZE AUD. FLOG

SAB, 24 NOV 2012 PERUGIA URBAN

VEN, 30 NOV 2012 BOLOGNA TPO

SAB, 1 DIC 2012 ROMA ORION

GIO, 6 DIC 2012 TORINO HIROSHIMA

SAB, 8 DIC 2012 MARGHERA LA TEMPESTA

VEN, 14 DIC 2012 VERONA EMPORIO MALKOVICH

SAB, 15 DIC 2012 MILANO LEONCAVALLO

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The Sickle – Get Bigger Last Longer

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Riecco a rodere le orecchie e l’underground quelle simpatiche canaglie dei padovani The Sickle con il nuovo lavoro “Get Bigger Last Longe”, distillato punk-rock che, per l’energia sprigionata e anche per dargli una plausibile classificazione, supera sulla distanza quel già straordinario esordio che fu Hung upto dry del 2011, un “frastuono sonante” che li pose all’attenzione allargata tanto che ora sono di nuovo in giro con un ghigno raddoppiato, laidi, dolci e velenosi e al timone di  una nuova marea di bordate elettriche che lasciano il segno.

Il trio non smette di frequentare le zone caratteristiche dei Novanta del punk’n’roll californiano, riprende l’espressionismo distorto e melodico come un accasamento sicuro e già rifugio dei toni ferrati ma mai violenti di Offspring, Blink 182, Sum 41, ma anche una tracklist che fa intravedere inserti e zeppe blues, hard rock e l’ingresso di una “spiritualità” rokkettara alla Foo Fighters, quella sentimentalità col jack innestato nel cuore “Electricity”, “If I were humble” che li americanizza ancora di più, che ce li strappa virtualmente dal patrio suolo (eufemismo patriottico?); si perché per loro la dimensione nostrana gli va stretta, il loro sound è concepito per  grandi spazi, grandi folle e continenti “incontinenti” di vederli in live forsennati e in preda del sacro fuoco del rock, una di quelle cosi dette “band emergenti” che non avrebbero nulla a che vedere con l’emergenza, nati già grandi e maturi da spaccare il culo a pletore di banderuole armate di cazzate e masturbazioni amplificate.

Dopo aver consumato giri su giri “At a time”, ballata agrodolce che sonorizza il video in circolazione scelto personalmente da Alex Zanardi e che ne racconta le gesta poi si fanno i conti con l’hard rock che invade “C’mon”, con il vacuum di un Billie Joe Armstrong che solfeggia indifferente tra la partiture di “Wake me up break me down” e “My own doom” , uno stupendo sguardo oltre confine sulle orme ritrovate di piacevoli Go Go DollsConfused”, immaginifica ballad strappalacrime per poi stordirsi definitivamente nella bonus track (rilettura acustica della traccia sopra) che senza tanti panegirici, solo un giro mid-acustico, qualche cembalo ad arbitrarne il tempo easy-freak, e la sensazione netta di un mondo che momentaneamente ha staccato la spina da qualsiasi cosa che possa rompere i coglioni “Wake me up break me down acoustic”.

Grandi questi The Sickle, sono di nuovo in giro a suonare ancor più grandi numeri, e magari non sanno interamente che queste undici tracce sono i sintomi reali di un altro piccolo capolavoro del suo genere. Consigliatissimo a tutti.

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Counting Crows – Underwater Sunshine

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Adam Duritz ed i suoi sodali Counting Crows non smentiscono la loro infinita fama di raccounteurs, commissionano solitudini, piccole gioie e trame nascoste al loro modo semplice di essere band eternamente di provincia, senza fronzoli da agitare né urla da espettorare, raccontano i personaggi interiori della strada intesa come mezzo di vita, come tracciato da seguire per viaggiare sui bordi  anche stando fermi.

La loro arte ce l’hanno confermata in splendidi album, ma ora vogliono cantare canzoni d’altri, non come un banale coveraggio di transizione, ma per dare voce a pezzi sconosciuti di altre band o minori di qualche grande discografia, per dare vita ad altri spiritelli interiori che agitano e si aggirano implacabili su differenti stati appassionati, tra dolcezza e passione; “Underwater Sunshine” è il lavoro che i californiani estraggono dal loro cilindro magico, diciassette rivisitazioni che, con movimenti di sapienza e autenticità sonora confondono circa la realtà esecutiva, tanto è forte e personalizzata la memorabilia esposta sul piatto stereo.

Disco bello e soprattutto a sole pieno in fronte, felice e giuggiolone come un gatto sornione, tutto porta ad un ascolto incontenibile, vibrante che – tolta qualche song del loro repertorio –  si avvicina al Dylan disilluso “You ain’t going nowhere”, la ballatina dubbiosa dei FacesOoh La la”, il plettro di mandolino che il grande David Immergluck che fa grandi numeri su “Return of the grevious angel” di Gram Parson, il rock nebbioso di “Hospital” o il country.field da accendino acceso che accarezza le visioni di un Duritz sempre più poeta dal versante intimo “The ballad of El Goodo”; i Counting Crows vogliono tornare giovani, vogliono reinserirsi in quei filoni libertari dove suonare e cantare non faccia parte dei tentacoli calcolati del mainstream, ma sia parte integrante di un contenuto che valorizzi, dia fiato e cuore ad un qualcosa che suoni per suonare, e con amore.

In questi frangenti sociali e di polifoniche drammaturgie Kafkiane, questo ottimo registrato arriva con la temporalità di un rapporto uditivo con la bellezza.

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Luca Loizzi – Luca Loizzi

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Luca Loizzi è un cantautore che per anni è stato insegnante di lettere a Milano e che nel 2011 chiede ed ottiene il trasferimento al Sud, ora vive e lavora in Puglia (migrazione inversa?) che trae ispirazione dal vecchio e nuovo cantautorato francese, da Brel a Brassens, da Benabàr a Vincent Delem fino alla scoperta di Giorgio Gaber e di Nanni Svampa.
Il suo stile eclettico lo fa passare attraverso generi diversi riuscendo nell’impresa di essere sempre originale nel risultato.

Il primo singolo estratto, “Quando Meno Te Lo Aspetti”, in rotazione radiofonica proprio in questi giorni, lancia e promuove un disco che porta semplicemente il suo nome e che contiene nove tracce davvero interessanti e ben suonate  in cui è accompagnato da Nico Acquaviva alle chitarre, Alessio Campanozzi.al contrabbasso e al basso elettrico e da Walter Forestiere alla batteria e ale percussioni.
Lontano anni luce dai “colleghi” indie Bruno S.a.s. e Dente, “Luca Loizzi” è stato registrato tra gennaio ed aprile del 2012 presso gli Studios LaVilla24 (Bisceglie/Trani) dal produttore Beppe Massara ed arrangiato dal chitarrista Nico Acquaviva (già menzionato precedentemente).

Un lavoro semplice (ben rappresentato anche dall’artwork ad opera di Dario Agrimi con il progetto grafico di Stefano Ciannamea e Giovanni Albore) che non taglia le radici con le sue origini, con la dichiarazione finale d’amore “Milano” che descrive la normale vita monotona della grande metropoli e che si contrappone a “Taglio La Corda”. fotografia dell’Italia irreale contemporanea “priva di ogni scrupolo e dignità”.
Tutti quelli” è un brano a metà fra lo swing e il jazz con un testo scherzoso ma gradevole, mentre “Che Fastidio” è sicuramente la traccia più “dance” (passatemi la definizione!) con i suoi riff accattivanti di basso che ricordano un po’ quelli di Bernard Edwards degli Chic (senza però fare uso esagerato del thumb slap).

Bello anche il booklet incluso all’interno del digipack rigorosamente bianco in cui troverete appunti sull’esecuzione e sulla registrazione delle canzoni (idea davvero insolita in una produzione tutta italiana!).
Da segnalare che l’album è promosso con il sostegno del P.O. Fesr Puglia 2007/2013 Asse IV – Puglia Sounds.
E citando “Via Ripamonti”, quarta traccia del cd, “non ci rimane che affidarci a del buon vino” (senza ubriacarsi mi raccomando!) e goderci l’ascolto!

 

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“Perso In Campagna” è il primo video dei Dainocova

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Dainocova è il progetto solista di Nicola Porceddu, cantautore, batterista e sperimentatore .

Dopo aver suonato e collaborato con svariate band della scena indie sarda tra cui Trees of mint, Malatroxia, Diverting Duo, nel 2003 Nicola decide di allontanarsi temporaneamente dalle altre band ed inizia ad esibirsi sotto il nome d’arte Dainocova. Fino al 2008 viaggia per l’Europa dai Paesi dell’est fino a Parigi, passando per Vienna e la Germania. Successivamente si trasferisce per un anno in Australia, per due ad Atene e infine a Torino, continuando a comporre, affinando le tecniche e dedicandosi anche alla pittura per completare il proprio immaginario.

““Fuga Da Scuola” è il suo primo disco in studio, è stato registrato presso lo Sleepwalkers studio, ex location storica dell’Here I Stay festival e locale che in Sardegna per anni ha ospitato alcuni tra i migliori nomi nell’ambito indipendente sia a livello nazionale che estero.

Prodotto da Dainocova e registrato da Gabriele Boi (ex Rippers, Mojomatics) il disco è stato successivamente missato al Natural Head Quarter di Manuel Fusaroli (Max Stirner).

Tracklist: 1 Sirene e acciughe/ 2. Inverno contro tutti / 3. Stessa Compagnia / 4. Perso In Campagna/ 5. Proprio strani/ 6. Occhi da minatore/. 7. Caccia alle farfalle/ 8. Il tempo di un toast/ 9. Sulla Luna

Link: www.dainocova.it

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Dan Sartain – Too tough to live

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Il pazzo allampanato d’Alabama, Dan Sartain,  non riesce a stare un minuto fermo dentro le quadrature di un suono che lo faccia riconoscere al primo istante, una ne fa cento ne pensa, un artista schizzato d’argento vivo che odia i vuoti pneumatici della musica, e appena può (sempre) s’inerpica come un muflone in cerca di compagnia sulle carreggiate impervie d’altri suoni e tensioni.

In questo giro si ripulisce la faccina vissuta canagliescamente dentro i suoni laceri del rockabilly a zonzo nei far west Morriconiani e abbraccia la dottrina del taglione garage-punk, comprime in un quarto d’ora tredici urli lamettati in un cd, gli mette un titolo “Too tough to live” e via, nemmeno il tempo di renderci conto, che la nuova creatura di Sartain ha già colpito con velocità inaudita il lettore stereo.

Il Ramones thing  e gli anni Settanta – inconfessati amori tenuti stretti dentro ma forse già captati nel 2006 con l’album Join – esplodono come un bubbone elettrico inarrestabile, un caotico bailamme punk.garage, fragore, pogo e sangue caldo che fa festa e nervi tesi, un disco secco, nevrastenico e diretto come tradizione Dee Dee and brothers vuole; la chitarra elettrica di Sartain s’infervora nei tre accordi chiave in maggiore che hanno rivoluzionato una porzione di storia rock che fu, la giugulare gonfia d’invettive e la velocità dell’urgenza fanno il resto a partire dalla traccia 2 “Now now now”che vede al fianco dell’artista americano Jane Wiedlin delle Go Go’s, poi il pulse totale degli anni Settanta prende tutto il corpo sonoro dell’album, senza distinzione di toni e timbriche, un sabbath indiavolato d’ampere e diavoli crestati che a dispetto delle tantissime mode che arrivano a ripetizione, rimane unico e inconfondibile.

Disco non basilare se si vuole, ma importante per  tenere viva la fiamma di un momento dove tutti noi, almeno una volta, abbiamo sputato contro qualcosa che ci voleva in silenzio e sottomessi “Rona”, “Fuck friday”.

 

 

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The Lemonheads – Hotel Session

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Un bel momento per ricapitalizzare l’anima, specie in questi tempi stracciati dall’ansia – ci vuole proprio, e allora non rimane altro che sedersi e amplificare il suono di questo stupendo Lo-Fi contenuto in “Hotel Session” del nucleo vitale dei The Lemonheads, Mister Evan Dando, quattordici tracce registrate in un assoluto acustico dentro una camera di hotel di Bondi Beach in Australia, takes e sfiziosità senza prezzo per ingordi di sopraffino.

Voce e chitarra acustica per raccontare il già tutto raccontato, ma anche per viaggiare stabilmente ancorati al divano del salotto, e andare via con queste canzoni prese qua e la dal precedente “It’s a shame about ray” e da altro e rielaborate in solitaria  tristezza, ma rigate di una dolce intensità che t’incolla l’orecchio al centro di uno stato di calma e riflessioni; non c’è da stupirsi, Dando è abituato a fare come gli pare e piace, fa e disfa le sue cose con un amore interiorizzato, solo un mese e mezzo fa era uscito con un greatest hits “Laughing all the way the cleaners”, ed ora con questo disco di diamantini grezzi in cui parla, canta e sogna alto cercando di saziarsi con quel qualcosa in più, lo fa con “Into your arms”, “Paid to smile”, appende le disillusioni al filo della notte “Great big no”, sorride all’ottimismo “I’ll do it anyway”, prende in mano decisioni sulla strada da percorrere “Down about it”, sorride schitarrando “Superhero” per poi ritornare ad imbronciarsi delicatamente in “And so the story goes”.

Un “piccolo” disco che lambisce i territori mai segnati dell’emozione, che cita con ballate e momenti sospesi la reinterpretazione di pezzi già interpretati, quei b-sides che messi sotto questo cono d’ombra rinascono e ritornano a vivere nel loro grezzo respiro. 

Mister Dando colpisce di nuovo.   

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“Diamanti Vintage” Juri Camisasca – La Finestra Dentro

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Anche l’affezione del pubblico, sempre più fitto, giovane, curioso confermò questo giovanissimo e introspettivo capellone milanese, Juri Camisasca, come una vera cometa oscura in quella scena contemporanea ed alternativa che poi erano i roventi anni Settanta; oramai la protest song, la canzone di protesta politicizzata, stava quasi per chiudere le ali, tanti erano gli eventi e le rivolte da indurla a smarrirsi da sola, avanzavano nuove necessità ma soprattutto nuove idee sonore e nuovi carotaggi interiori che si presero – a lato di un cantautorato visionario – una parte consistente della scena progressive imperante.

E appunto un eroe oscuro, delirante, sui borders dell’esistenzialismo minimale, si palesò in Camisasca con questo esordio discografico “La Finestra Dentro” – introvabile oramai – prodotto da Franco Battiato, allora filiforme sperimentatore metafisico, un disco che definire ossessivo è ben poca cosa, ricco, venato e svenato di pads atmosferici al limite della claustrofobia, interiore oltre le viscere, ma anche un profondo sguardo in tralice sulla fragilità dell’uomo e della sua precarietà di rapporti, tracce in cui sembra passeggiare un Kafka al limite di se stesso “Metamorfosi” fino a straziarsi “Scavando col badile” sul concetto che prima o poi l’animale (in primo piano sempre topi) avrà la dominazione sull’uomo; certo un disco per allora rivoluzionario nel senso stretto del contenuto, ma non di facile approccio se non dopo attenti ascolti, acustica ed elettronica si fanno la corte, poesia e analisi psicologica si contendono la tracklist come del resto l’intensità rovesciata di questo artista contende forse con sé stesso quella quadratura allucinata informale che si trasformerà in una nuova tendenza espressiva unica nella sua storia.

Nella penna di Camisasca gira molta disaffezione e non manca quell’autodistruzione morale tipica del disagio artistico, umano e sociale dei Settanta specie in “John” storia di un amico ritrovato e che la vita lo ha costretto a fare il travestito, in “Galantuomo” si cerca la negazione della vita e più sotto, nella finale “Il regno dell’Eden”, l’autore si “reincarna” in Dio, in un vero delirium tremens tra cori infantili, chitarre ed effetti elettronici che chiudono questo disco trasversale che già allora anticipava i tremendi tempi moderni della nostra mostruosa società. Un disco premonitore e a suo modo, esemplare, stupendo, che concede uno spicchio di sole in “Un fiume di luce”, unica traccia che ti fa alzare lo sguardo, lo stesso che appena finita ti ricade come ad un manichino senza più fili tesi

Amanti degli sconvolgimenti d’anima, spasimanti degli spiriti maledetti, fatevi avanti, questo disco è merce rara per chi è profondo.

 

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GIÀ SOLD OUT IL CONCERTO DI RYUICHI SAKAMOTO & ALVA NOTO A CHIETI IL 24 SETTEMBRE ORGANIZZATO NELL’AMBITO DEL PROGETTO HUMANI

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Chieti – È già sold out il concerto di Ryuichi Sakamoto & Alva Noto previsto per il 24 settembre al Teatro Marrucino di Chieti, organizzato nell’ambito del progetto Humani.
Affascinante già in partenza l’incontro tra due diverse espressioni artistiche così apparentemente diverse fra loro, se poi ci si mette che la cornice sarà uno di più bei teatri d’Abruzzo il gioco è fatto: il successo era dunque pressoché scontato.
L’eclettico musicista giapponese si esibirà in compagnia dell’artista tedesco attivo nell’ambito delle arti sonore e visive: due background dunque sulla carta molto lontani fra loro, si integrano alla perfezione realizzando una delle realtà più intriganti della musica contemporanea.
Sono cinque gli album insieme finora alle spalle, legati da un filone concettuale tra loro, ma soprattutto da un’intensa attività live che rappresenta una vera perla fondata sull’improvvisazione pura e parti scritte che si fondono senza soluzione di continuità.
Il primo esperimento di questa sinergia perfetta fra Sakamoto e Noto fu l’album Vrioon realizzato nel 2003, a cui ha fatto seguito nel 2005 Insen: in quello stesso ebbe inizio una serie di concerti in teatro caratterizzata dall’accostamento fra musica e istallazioni visive.
In questo nuovo tour 2012 sul palco non ci sarà solo il pianoforte, ma anche il banco di Alva Noto con due laptop e strumentazioni elettroniche e sullo sfondo immagini che sembreranno seguire ciò che Sakamoto suonerà.
Evidente l’essenzialità visiva all’ascolto di questa musica, così inafferrabile e precisa ma allo stesso tempo viva e non esclusivamente metafisica.
I paesaggi descritti dall’incontro artistico fra Ryuichi Sakamoto e Alva Noto riescono ad essere la fotografia delle dualità del nostro tempo e dei contrasti che creano un mondo.
Dall’essenzialità giapponese alla ricerca visionaria tedesca, la fragilità del passato viene contrapposta alla durezza del nuovo mondo, creando nel nostro tempo un momento travolgente nel preciso istante d’incontro. Il tutto sembra condurre in un viaggio nella possibilità paranormale che ci lega contemporaneamente a questo mondo e a all’altro, per vederne un altro ancora.
L’evento a Chieti è organizzato dal progetto Humani, prodotto da Gianmarco Pescara (Rea.Pro.Gi.srl) con la direzione artistica di Arturo Capone, in collaborazione con il Comune di Chieti e con il Teatro Marrucino. Con la mediapartnership di Mola Mola webzine.
Humani ha lo scopo di sviluppare eventi musicali in cui si restituisca centralità alla figura dell’artista, in un’epoca nella quale, invece, tutta l’attenzione del mercato si è spostata sulla commercialità e l’attenzione del pubblico.
Chiaro il richiamo alle ambizioni dell’Umanesimo per l’importanza dell’uomo come individuo e per la capacità di fondere diverse suggestioni e molteplici linguaggi artistici: ecco dunque l’originalità dell’idea che prevede il coinvolgimento di musicisti e dj di fama mondiale che si sono distinti per aver apportato grandi innovazioni alla musica elettronica degli ultimi anni, in un continuo confronto con influenze jazz e classiche.
Gli eventi Humani si svolgono tutti in Parchi Archeologici, Musei, Castellie Teatri: gli spazi sono infatti scelti proprio per il loro interesse storico e la riqualificazione nell’uso moderno.
Il progetto ha uno sviluppo itinerante: coinvolte varie cittadine per favorire una nuova forma di turismo giovanile in cui la partecipazione fa da richiamo dando un tocco di internazionalità al pubblico coinvolto che sarà rieducato alla conoscenza dei luoghi ospitanti attraverso la fruibilità degli stessi. Oltre a dare visibilità e profitto ai territori interessati, sarà anche prodotto ed offerto un merchandising specifico per ogni evento.
L’obiettivo di Humani è, in prospettiva pluriennale, di affermarsi nell’ambito di quel nuovo turismo internazionale che ha preso piede da alcuni anni, basato proprio attorno a grandi eventi musicali (da ricordare ad esempio il Sonar a Barcellona che ha registrato la cifra record di oltre 900000 presenze) come tappa di questo circuito internazionale.
Da segnalare che per il concerto di Sakamoto & Noto a Chieti, a proposito di questo, sono arrivate molte prenotazioni da fuori Abruzzo e dall’estero.
Nella terza edizione Humani ha proposto tre eventi: il primo con il berlinese Dixon, uno fra i dj house più importanti al mondo, presso il Centro Agroalimentare di Cepagatti a maggio; il secondo con Francesco Tristano, genio del pianismo moderno che ha reinterpretato le musiche della techno di Detroit in chiave classica (primo concerto in assoluto di musica elettronica inserito nell’ambito della Settimana Mozartiana a Chieti); il terzo quello del prossimo 24 settembre con Ryuichi Sakamoto & Alva Noto al Teatro Marrucino di Chieti.
Humani rappresenta una vera novità nel panorama dell’intrattenimento artistico-musicale: l’intenzione pluriennale degli organizzatori è espandere il proprio raggio di azione coinvolgendo un pubblico sempre più vasto.
Dal punto di vista sociale punta la sua attenzione sulla sensibilizzazione dei giovani per quanto riguarda l’assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti, nonché ai trasporti: si fornirà materiale cartaceo e video sui rischi provocati dall’uso di queste sostanze ed inoltre si disporranno specifici trasporti dalle zone limitrofe alla location degli eventi, in collaborazione con le Istituzioni comunali, provinciali e regionali e con le associazioni che si adoperano per conseguire questi obiettivi.
“Humani rappresenta un punto di riferimento per la musica elettronica in Abruzzo – spiega Arturo Capone, direttore artistico dell’intero progetto – siamo gli unici a valorizzare le più belle strutture della regione quali parchi archeologici, musei, castelli medievali e teatri, organizzando performances audio visive dei migliori artisti internazionali, quelli che hanno più di tutti sperimentato nei rispettivi generi di appartenenza. L’evento Ryuichi Sakamoto & Alva Noto si colloca perfettamente nel nostro percorso, segnando un altro storico traguardo: la prima volta (come lo è stato anche per l’Aurum a Pescara e il Castello Aragonese a Ortona) che il Teatro Marrucino apre ad un concerto di musica elettronica, a cui parteciperà una marea di giovani affamati di cultura che verranno dalla Spagna, dall’Inghilterra, dalla Germania e da molte regioni della nostra penisola. Viste le tante richieste di biglietti arrivate e l’immediato sold out registrato, stiamo pensando di allestire uno spazio nel teatro per permettere l’ascolto anche a chi è rimasto senza il tagliando per il concerto. A breve si saprà se sarà possibile realizzare l’idea”.

Humani:
Info: www.humani.eu – info@humani.eu
Ufficio stampa: press@humani.eu (Roberta D’Orazio, Marco Vittoria, Piero Vittoria)

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IDavoli – Greatest hits

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Dalla Pistoia del grande blues, il progetto “fuori dalle righe” della band IDavoli, quartetto che muore dalla voglia di aprire il proprio cuore ad una fucina amplificata che ingloba psichedelica quadrata, robotismi dance e una funkadelica agitata che non fa star fermi un attimo chi presta loro orecchio, tracce con gli anni Ottanta dietro l’angolo cariche dei virtuosismi elettro di Talking Heads, Devo, Television per dirne alcuni ma pure con quell’immediatezza dilatata nel tempo fragile all’apparenza solida invece nelle radici.

Greatest Hits” è il sunto della loro frequentazione nella discografia indipendente, dopo due Ep il disco della “ragione di gruppo” e punto fermo da dove partire alla grande per quel cosmo ben più alto dell’underground, una fedeltà tradotta in tredici episodi intensi e allucinati che fantasticano e producono sensazioni a livello industriale, melodie a raggiera e sconnesse che fanno ascolto e trip mentali di gamma; il ritmo è convulso, l’elettronica di echi, riverberi, feedback si sdoppiano con i richiami funk che imperversano come argento vivo e con lontanissimi pulviscoli di Sly & Family Stone, ma sono appunto lontanissimi assemblamenti di ricordi che passano nei limits atmosferici del disco, il resto è tutto un “ballo di San Vito” dal quale non puoi far finta di nulla e tantomeno ritenerti esonerato dai suoi stimoli effervescenti.

Richard Davoli voce e chitarra, Frank Davoli chitarra e tastiere, Tom Davoli basso e Jonny Davoli alle pelli sono una forza della musica, e anche se mettono ancora più a fuoco il punto “ricordano altri”, perlomeno hanno carattere e stile personalizzato, certo i riferimenti ci sono ma chi è che non li ha, tuttavia Greatest Hits è un album che lascia molto spazio a germogli creativi di tutto rispetto ed il quartetto toscano “le suona a molti” senza lasciarsi doppiare nella loro rutilante avventura sonica; una piccola abbuffata di groove che si riassume nei frenetismi dance di “Switch on pleasure”, “White tape”, attraverso le pulsioni kraut alla DevoSomething else”, “Show me”, dietro strani epilettismi latin “Saturday night”, con il funk alla BeckJojo rulez” per arrivare a sentori Motown nel corpo madido di “Purple pills”. A fine estate Greatest Hits ci fa ballare alla grande, ci fa muovere senza titubanze, ce n’era bisogno tra tanto abbiocco sonoro, e con un grazie collettivo salutiamo questi frastornanti musici che per tenere fede ai proverbi d’un tempo fanno proprio “ IDavoli a quattro”.

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Radioclone -Velia

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Come non notare in questo power trio (si autodefiniscono così e ci azzeccano alla grande) lo spirito di Kurt. Ennesima dimostrazione che il biondino maledetto ha lasciato un segno indelebile dagli anni 90 ad oggi. In miriadi di band italiche spara ancora le sue cartucce, esplodendo come una bomba nello stomaco di ragazzi pronti a sfoderare gli strumenti con la sua faccia stampata negli occhi. Ci sono ancora nelle sale prove e nei concorsi regionali i sintomi di quella ribellione angosciante che ci ha insegnato il maestro del grunge? Pare proprio di si, anche se questa volta i musicanti in questione non sono proprio dei pischelli. L’esempio che vi riporto non è forse dei più “freschi”, perché a vedere le facce del trio in questione è possibile che Kurt se lo siano visto negli anni d’oro in diretta su MTV.Radioclone è un progetto che parte da Biella nel 2004 ed è al terzo episodio: “Velia”, un EP dal carattere altalenante, instabile come l’icona bionda e decadente che rivive dentro il “clone” a vent’anni di distanza. La sua ombra pare onnipresente. Si guadagna subito il suo spazio nelle chitarre dilatate della title track, e tramite i feedback sfumati a fine canzone imposta la data 1992 sulla macchina del tempo.

Il disco è protetto dalle sante chitarre taglienti (ottimo Stefano Buttiglieri alla 6 corde), che sebbene siano “sicure” non sono mai scontate, registrate magistralmente e ben intersecate con la sezione ritmica in cui spicca la rocciosa presenza di un basso Rickenbacker da schiaffi in faccia.

In bilico tra buoni spunti e banali linee è invece la melodia, in “Valle dei no” la ricerca della semplicità anni 60 (la chitarra ululante e slabbrata fa scempio di un esile beat-spensierato) vince sui contorti e scontati biascichi alla Manuel Agnelli di “Terre emerse”, salvata solo dalla solita chitarra sufficientemente fuori dagli schemi e da un buon testo incazzoso.Le sonorità poi prendono una sbandata oltre oceano e le ombre grunge vengono offuscate dalla nebbia di Sheffield. Ma tutto rimane nei binari, quando parte “La Falce” il frenetismo Artic Monkeys si sposa bene con l’attitudine da maglione sgualcito dei ragazzi. Attenzione però, questo non è il brano più deviato, “Batta” è un po’ Tiromancino un po’ Radiohead e le parole strisciate e solitarie accompagnano una struggente ballata acustica cadenzata da un riff di chitarra (di nuovo lei?) sensuale. Gran contrasto e miglior brano del disco. I ragazzi avessero rischiato un po’ di più in questa direzione invece di insistere in polverosi feedback avrebbero tirato fuori un bel gioiellino. Il resto è invece pura scuola, prendere appunti, riportare in bella copia e con nuova calligrafia preziosi insegnamenti. L’ombra riprende la sua forma madre e il clone ritorna più simile all’originale fino all’ultimo goccio: “III” ricorda tanto i Verdena ed elogia la maestria dei ragazzi in incastri ritmici e dinamica.Come in copertina, il bicchiere rimane un po’ mezzo vuoto. Una buona metà è già stata bevuta 20 anni fa dall’ombra e da tutti i suoi soci.

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Viper Venom – In Venom Veritas

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“In Venom Veritas”, questo il titolo del secondo disco dei pugliesi Viper Venom, band che si rifà a sonorità Thrash e Nu Metal, attiva dal 2005 e con alle spalle un EP ed un disco intitolato “Reborn From Lies”. Vi dirò subito che non appena ho inserito il loro disco nel lettore, la voglia di scuotersi e pogare è stata istintiva. Questo loro secondo disco è energetico, casinista e c’è un certo equilibrio tra melodia e aggressività. Potrete constatarlo con la traccia d’ apertura “Dirt In Veins”, che a parer di chi scrive è la migliore di tutti. Vi direte che vi ho rovinato la sorpresa, invece no, perché al di fuori dei gusti personali, c’è da dire che il disco viaggia tutto sulla stessa lunghezza d’ onda, nel senso che a tratti è un po’ ripetitivo. Ma è un problema che in questo caso passa in secondo piano in quanto la band ha dimostrato doti tecniche non indifferenti. E’ anche vero che il fiore all’ occhiello è la cantante, Miriam In Chains, che riesce a passare da uno Screaming ad una voce pulita con una facilità invidiabile, ascoltate “Distress” e “Veneral Disease” per avere conferma. Il resto della band anche ha svolto uno straordinario lavoro, tutti i riff presenti in “IN Venom Veritas” sono di una limpidezza e di una tecnica impressionabile, insomma, il seguito di “Reborn From Lies” non è affatto deludente, anzi ha mantenuto le aspettative se non superate. Il consiglio è di dare un opportunità ai Viper Venom, sono ragazzi talentuosi e di sacrifici ne hanno fatti tanti e “In Venom Veritas” è il loro risultato.

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