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Il Sogno Il Veleno – Piccole Catastrofi

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I cassetti delle memorie di Alex Secone, in musica come Il Sogno Il Veleno, cantautore o meglio cronista e sovvertitore di ieri riportati al presente, abruzzese e titolare del progetto musicale “Piccole Catastrofi”, sono spalancati e alla portata di tutti, i suoi smarrimenti, voli, tracciati e criticità mai lineari vanno a rompere il monopolio di quella fantasia finto-indie per tirarsi su, spostarsi  – crescendo – in quei paraggi ideali che dell’oggetto “d’autore” ne fanno qualità ed un insperato “qualcosa da dire” che vale come acqua fresca in un deserto allampanato.

Dieci tracce che profumano di arcobaleni seventies casalinghi, piene di rimandi in bianco e nero, nuvolette e grandi cirri che scorrazzano rincorrendosi per tutta la trackist, amarezze, punti di fuga e le influenze di una forte cinematica di realismo fanno la sintesi, e perché no, il pensiero di un giovane artista che non ha “rinnegato” lo specchietto retrovisore volto verso certe radicalità musicali, anzi ne ha “raddrizzato” la visuale per centrarle meglio, ed il bello che l’intento è un successone che ti riempie orecchio e animo come un vecchio 45 giri moltiplicato per dieci che gira mutevole dentro un “mangiadischi” della Pioneer color carta zucchero.

Disco d’altri tempi insomma, lo-fi, una forma “cantautorale” che forse risulterà incomprensibile alla maggioranza infatuata e refrattaria alle piccole opere artistiche stuzzicanti, vere, ma la qualità di questa proposta è svettante che se distoglie dalla massificazione dell’underground non lo fa per  difetto retrò e dunque di spocchia intellettualoide, lo fa perche gli riesce d’essere “altro” nella sua semplice genuinità e anche di essere poesia appieno e non immagine da fenomeno “indiegesto” come tante; ballate in punta di fiato “Comizi d’amore” dove aleggia il pathos Pasoliniano,un pianoforte che fa ombra intima in “Le cose importanti”, il senso caracollante di una spensieratezza mal filtrata “Favole”, odori Caposseliani che intercettano il dinoccolamento di “Bistrot” o lo scoppio dolce di un rock gentile “Signora in foulard nero” sono alcune di quelle mercanzie mnemoniche contenute in quei cassetti sopracitati che l’artista abruzzese rovista, spaglia e mette all’aria per un posto d’onore tra le cose più belle ed intelligenti che, in questi ultimi mesi, ogni lettore ottico possa mai  aspettarsi.

L’essere umili nella presentazione dei propri sogni messi in musica premia, se poi ci si mette pure la grazia e il contenimento di un talento naif che si fa amare in punta di piedi, tutto assume una luce accecatamente vincente.

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Point break – A Fuoco

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I Point Break sono un quintetto pesarese nato a cavallo fra il 2006 e il 2007 dall’amicizia che lega i fratelli Alessio e Tommaso Nicolini ed Andrea Piga a cui nel tempo si sono aggiunti nel tempo dopo alcuni cambi di formazione Francesco Franzese al basso e Marco Mattei alla chitarra.

Con questa lineup arrangiano, scrivono le musiche, co-producono e registrano le 10 tracce dell’album d’esordio “A fuoco” che vede la produzione artistica di Cristiano Santini (ex leader dei Disciplinatha, gruppo che gravitò nell’orbita del Consorzio Produttori Indipendenti e produttore tra i tanti di C.S.I. e Diathriba).
Durante i loro anni di vita hanno anche avuto occasione di aprire i concerti per bands prestigiose quali Le Vibrazioni e A toys Orchestra.
Il loro è il tipico rock all’italiana (Negrita o Litfiba) ma il loro stile semmai è molto più simile a realtà indipendenti quali Afterhours o Marlene Kuntz.

Questo lavoro si presenta energico e frizzante, molto curato nei dettagli, dai testi alla grafica del booklet interno e ben si presta all’airplay radiofonico.
Il successo insomma potrebbe davvero essere dietro l’angolo, soprattutto se troveranno l’attenzione che meritano da pubblico e massmedia.

Le  ballads presenti nell’album “In Un Solo Minuto” e “Nè Tormento Nè Passione” inframezzano un sound compatto e granitico fatto di vero rock forgiato dalle chitarre dei Nicolini e di Mattei ben coadiuvati da Piga e Franzese ed in alcuni brani anche dalla voce di Sarah Fornito delle Diva Scarlet ai cori che ha accettato di essere ospite del progetto nonostante fosse impegnata nel tour promozionale del loro ultimo album “Non + silenzio” prodotto artisticamente da un altro guru della musica alternativa, Giulio “Ragno” Favero (Il teatro degli orrori, One dimensional man, Zu, etc.).

Il brano più riuscito del disco è sicuramente “Gigante”, ma le liriche di “Fragile” o di “Testa nel cuore” mi hanno conquistato decisamente al primo ascolto (Godano influenced?).
Insomma per essere un disco autoprodotto “A Fuoco” è davvero ben riuscito e non posso che augurare tutto il meglio a questa band che ha dimostrato che cantare in italiano non è poi così limitante negli anni duemila, può essere anzi il vero punto di forza di una realtà emergente quale i Point Break.

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RIO con “Banditi Pirati e Mariachi” in cima alle classifiche

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A pochi giorni dal RADIO DATE già in vetta
alle classifiche radiofoniche e di vendita!!!
Dopo il grande successo di “Gioia Nel Cuore” e “Mediterraneo”
tornano i RIO all’assalto delle chart radiofoniche con un nuovo singolo.

Fabio, Paddo e Bronsky – ovvero i RIO – hanno colto ancora nel segno: a sole 24h dalla sua pubblicazione il nuovo singolo di RIO scala la classifica di itunes segnalandosi tra i più venduti. Ma c’è un altro record: “Banditi Pirati & Mariachi” in meno di un giorno è diventato il singolo più venduto dei RIO. E dire che lo scorso anno con “Gioia Nel Cuore” e “Mediterraneo” erano stati già dei best-sellers. Ma c’è di più! Il Brano dei RIO sta diventando uno dei più trasmessi dalle radio che, all’inizio dell’estate 2012, non si sono fatte sfuggire l’occasione di di offrirlo ai propri ascoltatori come una delle novità più cool ed energiche di questo periodo. Così,il gruppo emiliano, dopo oltre due anni in radio, cinque singoli e una scia di 500 concerti in sette anni, si conferma uno dei beniamini del pubblico della radio e del live in tutta Italia… “e la fiesta continua…”!

I RIO, reduci – come si diceva una volta – da un tour entusiasmante che ha toccato tutte le principali città italiane e con il quale la band ha fatto cantare, ballare ed emozionare decine di migliaia di persone da Milano a Catania, da Napoli a Cagliari, da Firenze a Verona; torneranno a calcare i palchi di tutta Italia – e per la gioia degli oltre 100.000 fans che li seguono con affetto e passione – in un estate 2012 all’insegna del live… e la “fiesta” continua.
I RIO (inizialmente “Del Rio”) si formano alla fine del 2001. L’esordio discografico risale al 2004.

ufficio stampa
PROTOSOUND POLYPROJECT – ufficiostampa@protosound.it
DCOD COMMUNICATION – radio@dcod.it

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Kelly Joyce & The Fourcrackers: “Wake Up” new release e nuovo tour estivo

Written by Senza categoria

Wake Up è il nuovo singolo di Kelly Joyce per l’estate 2012 che, per l’occasione, si presenta con un quartetto di musicisti
davvero esplosivo: i Fourcrackers.
Una miscela pop-funk raffinata ed elegante
ma anche ad alto tasso energetico

Un brano fatto apposta per essere ascoltato su una bella spider rossa in direzione mare. Se volevate, insomma, un pezzo per rinfrescare l’estate 2012 l’avete trovato… Wake Up.
Kelly Joyce, la cantante Italo-franco-senegalese che è stato più volte in cima alle chart internazionali con hit come “Rendez Vouz”, “Vivre La Vie”, “Little Kaigé” non finisce di stupirci con la sua classe e la sua versatilità. Dopo aver lavorato quest’inverno a un progetto jazz ( che sarà pubblicato nel prossimo autunno) con star mondiali del calibro di Fabrizio Bosso e Javier Girotto, per l’estate 2012 ci ha preparato un progetto a metà strada tra il pop e il funk, di cui il primo singolo è “Wake Up”. Un brano raffinato ed elegante ma caratterizzato anche da un alto tasso energetico. Energia positiva che si avvale dell’ottimo supporto dei Fourcrackers che, a dispetto del loro nome, sono italianissimi. Kelly Joyce, Fabio Nobile, Massi Rocchetta, Matta Dallara e Marcy Sutera si sono incontrati in sala e, come spesso succede, è scoccata la scintilla.

Dalla collaborazione è nata questa miscela pop funk che sembra attingere, citandoli, ad alcuni stilemi della dance anni ’80 più raffinata ed elegante . Lisa Stansfield è il riferimento che ci sembra più azzeccato, ma anche un pizzico di Simply Red: non a caso abbiamo citato due nomi che con l’Italia hanno profondi punti di contatto con l’Italia proprio come Kelly. Lisa Stansfield si era addirittura sposata in Italia e viveva a Genzano nei pressi di Roma; Mick “Red” Hucknall oramai – come spesso lui stesso dice ironicamente – è “un contadino siciliano” che vive producendo vino alle pendici dell’Etna.

“Wake Up” rientra nel novero di quei pezzi fatti apposta per essere ascoltati d’estate con i finestrini abbassati o, meglio ancora, su una bella spider rossa in direzione mare. Quella che gli americani definiscono “high-way music”. Se volevate insomma un pezzo per l’estate 2012 l’avete trovato.

Kelly Joyce & The Fourcrackers saranno in tour durante l’estate 2012 con Wake Up e tutti gli altri brani che proprio in questi giorni stanno ritoccando in sala e che, secondo le previsioni faranno parte di un album di prossima pubblicazione.

Ufficio stampa
PROTOSOUND POLYPROJECT – ufficiostampa@protosound.it
DCOD COMMUNICATION – promoradio@dcod.it

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“Diamanti Vintage” Lucio Battisti – Anima latina

Written by Articoli

Malandrino fu quel viaggio in Brasile e Sudamerica che portò il Lucio Battisti nazionale ad un travagliato parto di questo bel disco Anima Latina, un lavoro intenso, amalgamato in due contrapposti generi musicali, un antesignano lavoro world che comprende le influenze latine – poi assottigliate al minimo – e le vibrazioni personalizzate di tutto quello che dalla Canterbury del Nord arrivava come vento oltre i nostri confini.

Un disco possiamo dire sperimentale, ricco e nutrito di ELP, Genesis e quant’altro faceva Progressive; ma la fama di Battisti è stata anche quella di fagocitare nello spirito che lo pervadeva in quel dato periodo enormi patrimoni di stilemi e sonorità quali new-wave, disco, il prog stesso, molto di beat e abbastanza di R’N’B’ che, una volta rielaborati dalla sua fervida immaginazione, fuoriuscivano in un continuo gioco di sfumature capaci di scavare un solco pieno d’agio e novità stupefacenti per il tempo che correva.

Un Battisti più spirituale e meno cantante? Sì certamente, a pieno titolo, ed è qui che infatti l’artista lascia da parte la forma canzone strofa/ritornello/strofa per abbracciare il cantos senza paramenti, il volo libero del “cante jondo” che si libra su percussioni, cesellamenti armonici e sensibilità estrema fino allora – nella sua odiernità – mai adottate per quello che discograficamente conosciamo.

Al contrario però anche un lavoro poco accessibile – per chi non abituato a vedere e sentire il cantante di Poggio Bustone in queste vesti “alternative”,  per la stesura a tratti criptica dei testi, quell’oscurità che fievolmente affiora nelle sottotracce espressive, ma che una volta chiusi gli occhi, ti faceva immaginare e sognare cose distanti dal tran tran festivaliero che becchettava l’Italia della canzonetta; gli ortodossi drizzarono il pelo, gli innovatori lo acclamarono a tal punto che rimase in classifica per ben 65 settimane di cui 13 al primo posto della Hit Parade.

Non era poco per quel 1974 musicale che oramai si rivolgeva solamente all’esterofilismo d’avanguardia, il progressive d’oltremanica arrembava tutto il resto d’Europa e formazioni come King Crimson, ELP, Gentle Giant e vari erano gli alati eroi altolocati del nuovo rock e dettavano legge ovunque, ma questo grande capolavoro si conficcò in mezzo a loro come una spina nel fianco, e i dolori dei Golia – in un certo modo –  si piegarono al cospetto di questo Davide della storia sonora del nostro Paese.

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Ray Manzarek e Robby Krieger

Written by Live Report

Credetemi: sembrava di essere in un vero rito di sciamanesimo mentre ascoltavo Ray Manzarek e Robby Krieger che ripercorrevano il viaggio sonoro dei The Doors, di cui furono rispettivamente tastierista e chitarrista.
Tante le persone accorse da fuori regione, qualcuna persino dall’estero, per ammirare questi due colossi della storia del rock mondiale.
Introdotti da un membro della crew con il solito “Ladies and gentlemen from Los Angeles, California”, alle 21.50 iniziano il concerto con la indimenticabile hit “Roadhouse blues”.
L’assenza di Jim Morrison, che come tutti saprete perì a soli 27 anni nel 1971 a Parigi in circostanze ancora misteriose alimentando così la leggenda che sia ancora vivo (qualcuno dice che sia nell’Oregon dove svolge rodei, Ray Manzarek stesso dichiarò anni fa che era alle Seychelles a godersi la vita, qualcuno dice di averlo visto a Parigi negli anni ottanta e ci ha scritto persino un libro!, qualcuno invece ipotizza persino che oggi si faccia chiamare Barry Manilow e sia una rockstar giunta al successo anni fa con la hit “Sandy”…) ma ovviamente nessuno sa quale sia la verità.
Oggi però è possibile visitare la sua tomba al cimitero di Père-Lachaise a Parigi (Ray e Robby l’hanno fatto l’anno scorso in occasione dei 40 anni dalla morte del loro amico).
Tuttavia non chiamate Dave Brock “sostituto” del leader dei The Doors, potrebbe sembrare fin troppo offensivo in quanto il suo lavoro lo svolge davvero egregiamente.
Il suo timbro vocale infatti richiama molto da vicino quello di Morrison ma come presenza scenica forse gli è addirittura superiore (no, non sto esagerando!).
L’unico vero grande assente sembra quindi essere John Densmore, sostituito però egregiamente da Ty Dennis.
Sul palco oltre loro c’era anche Phil Chen (Rod Stewart, Pete Townshend, Eric, Clapton, Ray Charles) al basso che spesso si è esibito in duetti con Krieger.
Fra i pezzi eseguiti “Touch me” (unico scivolone dell’intero live), “People are strange”, “Riders on the storm”, “Five to one”, “Love me two times” ed “L.A. Woman”.
Trovano spazio anche le cover di “Alabama Song” di Bertolt Brecht e Kurt Weill (una delle preferite da Morrison come dice Manzarek al microfono) e di “Backdoor Man” di Willie Dixon.
La conclusione ovviamente è stata assegnata a “Light my fire”, primo grande successo mondiale del gruppo.
Peccato solo che non abbiano eseguito “Spanish Caravan” (durante la quale Krieger dimostra tutta la sua maestria nello stile latino), “Piece Frog” e “The end”…
E quando la musica finisce dopo quasi cento minuti (“When the music is over” per dirla in inglese citando una delle canzoni da loro eseguite) tutti a casa pensando di essere stati davvero parte di una grande ed irripetibile cerimonia…
Un piccolo aneddoto: i più fortunati (fra cui il sottoscritto) hanno potuto anche assistere ad un brevissimo soundcheck che Robbie ha effettuato verso le 20.30 durante il quale ha accennato il riff iniziale di “Love me two times”…

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Pollyrock – Ruspante

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Soprattutto in questo periodo, l’estate semi inoltrata, mi capita di andare alle più svariate feste di paese dove il panino con la salamella è sempre accompagnato non solo dalla birretta ma anche dalle classiche cover bands che ripropongono le versioni più svariate di pezzi tra i più conosciuti.

Tutte le volte mi chiedo quale sia il motivo per cui non cercano di fare qualcosa di loro e, spesso, la risposta non tarda ad arrivare.
Tra quei pochi che decidono di superare il “limite” della scopiazzatura dei “grandi”, ci sono anche i Pollyrock: Antonio (chitarra e voce), Enrico (basso) e Federico (batteria), tre ragazzi della provincia di Pesaro-Urbino.

Il gruppo nasce, appunto, come cover band anni ’70 e successivamente decide di produrre un proprio album con proprie canzoni, Ruspante, nel quale l’influenza della decade rock per eccellenza si avverte già dal primo giro di basso della prima traccia.
Il loro è un rock genuino ed indisciplinato nel quale, però, non manca quella musicalità che rende il lavoro piacevole anche per chi questo genere musicale non lo ascolta volentieri, basta solo pensare alla presenza di alcuni strumenti musicali che, con il rock degli anni ‘70, non c’azzeccavano niente quali, ad esempio, il flauto traverso.

L’album conta di otto tracce nelle quali la voce Antonio si fonde, quasi a confondersi, con la musica creando un organico che risulta difficile scindere. I testi, di denuncia, sono di forte impatto e rimarcano ancora di più l’autenticità con cui è stato compiuto il lavoro da parte di questi ragazzi.

Ruspante è uno di quegli album senza troppe pretese che non ti stancano facilmente e che potrebbe far venire voglia, alle cover bands delle feste di paese, di provare a scrivere qualcosa anche loro perché, se il risultato fosse come quello che stanno ottenendo i Pollyrock, avrebbero solo da guadagnarci.

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Fausto Mesolella – Suonerò fino a farti fiorire

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Va bene, scrivo per Rockambula neanche da un anno. Ma penso che in generale se si collabora con una webzine rock possa capitare rarissime volte di dover recensire un disco di chitarra pura e pulita, quando di solito si è abituati ad affrontante un marasma di feedback, strilla e overdrive zanzarosi. E forse capita ancora più raramente di trovare scritto in una buffa copertina naif il nome Fausto Masolella. Un sunto della sua biografia? Casertano classe 1953, chitarrista degli Avion Travel da 30 anni e collaboratore di: Nada, Andrea Bocelli, Gianna Nannini, Tricarico, Samuele Bersani e Paolo Conte.

Puo’ bastare per sentirsi un po’ in difficoltà? O devo aggiungere anche che lo strumentale puro mi è sempre stato leggermente indigesto? Cercando sempre rifugio in facili melodie spruzzate da frontman cool o in grida di ribellione incastonate nelle mura delle grandi label. Sintomi di grande ignoranza, é vero! Ma ormai questo disco solita dell’artista campano è partito nel mio stereo e non mi tirerò di certo indietro. Chiudo gli occhi e provo semplicemente a sentire (non ascoltare, sentire!).

Già dalle prime pizzicate “Suonerò fino a farti fiorire” non tradisce lo splendido titolo ricolmo di amore e speranza che porta con sé. L’opener è infatti affidata a una intensissima interpretazione di “Pavane” del compositore francese Gabriel Fauré. Si giace in un prato che sancisce la fine dell’inverno e un venticello tiepido che porta armonia, primavera e serenità. E i primi fiori iniziano a mostrarsi alla luce del sole, con miriadi di colori e sfaccettature che obbediscono all’incanto della chitarra di Fausto. In “Principessa” il bluesaccio (che si sa, in Campania è di casa) spodesta prepotentemente la calma e la pace delle lente pizzicate per creare un po’ di brio e vitalità, come un buon vino rosso spregiudicato. Il piacere dei sapori forti e intensi. La sensualità della musica del diavolo convive bene con la dolcezza e l’armonia “classica” del corpo della bella fanciulla.

Non mancano poi le ospitate. Raiz spadroneggia nel classicone “O sole mio”, i gorgheggi del cantante degli Almamegretta colorano ancora più di rosso una canzone popolare già calda e focosa. La band partenopea luccica anche nella splendida rivisitazione da film on the road di “Nun te scurdà”. La pianista jazz Rita Marcotulli invece fornisce preziose dita snodate nella profetica “La mia musica” accompagnata persino da un testo talmente armonioso che si lega a braccetto i tasti del pianoforte, in una lenta camminata nell’immenso verde.

“Sonatina improvvisata di inizio estate” spara invece un ritmo spaventosamente caliente e mediterraneo. Un vecchio marinaio sorridente che rema ondeggiando in levare, un mercato del pesce fresco e un vestito di cotone leggero, scoperto appena da un caldo e timido soffio di vento. In questo episodio Fausto si lancia pure in una spregiudicata distorsione, facendo il verso al miglior Joe Satriani d’annata. Carattere, gioia, Napoli e chitarrismo (un po’ tamarro diciamolo pure) nella migliore “fioritura” dell’album.

La chiusura è sancita da “Guardando in uno specchio il 12 luglio”: dilatata in un semplice minuto e forte nonostante la solitaria presenza della chitarra di Mesolella. Un breve attimo per descrivere la finale fioritura e ammirare prima di riprendere il giro.

Questo album è una serie di dipinti nella mente, un viaggio incredibile che tocca i nostri sensi, avvinghiandoli in una sola e strabordante chitarra. E’ un punto di arrivo incredibile per l’artista, un sunto della sua eclettica carriera. Ma anche un punto di passaggio. Perché di fiori sbocciati con questa passione speriamo di ascoltarne molti altri ancora.

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dEUS – Following Sea

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E’ fuori dubbio che l’eclettismo che Tom Barman ed i suoi dEUS avevano negli anni novanta della loro genesi si sia molto diluito man mano che la loro discografia sciorinava suoni e metamorfosi cangianti – tra i tanti The Ideal CrashPocket Revolution – ma poi la band belga, dal 2005 in poi – vedi il penultimo Keep Your Close del 2011 – mostra i denti ed una fiacca sonora che esalta solamente la disfatta totale di un’era, e “Following Sea”, numero sette della storia musicale della formazione belga,  ne è la conferma ufficiale non tanto per una certa ripetitività della sloganistica sonora che da sempre contempla un mix di generi che vanno da  Velvet Underground, filamenti jazzati, blues, rock, un po di Captain Beefheart e poesia interlocutoria, piuttosto per una mancanza vera e cronica di idee nuove, quel quid necessario per trasformarsi senza diventare sterili.

Si viene a sapere che la tracklist è composta da tapes in surplus derivate da session precedenti, ritagli di prove che fanno di questo disco quasi un outtake work da digerire in poco tempo e magari fosse così,  ritorna l’asprigno elettronico e i suoni si fanno orpello per una coreografia d’insieme che latita e che fa rimpiangere con lacrime amare il fasto alternativo che fu; difficile dire dove i dEUS abbiamo cominciato a mancare quel fluido mitteleuropeo che ben rappresentava una certa qual via per i vicinali e prossimi a venire anni zero, o perlomeno dove abbiamo svenduto la consapevolezza artistica di non avere più davanti i margini di una seconda crescita, tutto si riduce ad un ascolto passivo, ovvio e rattoppato, la leggerezza pop, troppo pop di “Sirens”, il funky sconnesso che vorrebbe saltare come i RHCP ma inciampa clamorosamente “Girls keep drinking”, la wave appassita di “The soft fall” e gli Afghan Whigs che si accasano compiaciuti dentro le architetture di “Fire up the Google algorithm”, un disco che si fa urticante per la stizza che procura a chi li ha amati e sostenuti come una fondamentalità ottima per aprire le branchie ed il respiro ad un nuovo rock.

Peccato davvero, i riverberi sfocati degli dEUS fanno male, ascoltarli ora è come un dopo sbronza andata a male, ti gira tutto,l mondo e testicoli inclusi.

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Goriano DiVino Festival vol. 4

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Il Goriano DiVino Festival quest’anno prende vita il 28 Luglio, come sempre a Goriano Sicoli AQ, come sempre con tanta musica bella, indipendente e bagnata dal vino.
Sul palco quest’anno toccherà ai fedelissimi Christine Plays Viola, ai tanto punk Digos Goat e al garage female delle Wide Hips 69.
Tanto vino, arte e dj set spacca orecchie fino all’alba con la musica dei 3d3.

per info: riccardomerolli@katamail.com

Chi non viene è perduto, per sempre.

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Mario Venuti – L’ultimo romantico

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L’ultimo romantico” del cantautorato dei tagli differenti potrebbe veramente essere il siracusano Mario Venuti, non solo perché l’amore inteso come liberazione o più che altro fondamento apparentemente inconsistente potrebbe rientrare tra la stesura di questo nuovo album, ma piuttosto perché le canzoni dell’artista di questo amore ne esaltano le funzioni emotive, fuori dalle consuete simbologie appiccicose, bensì strette come fosse roba di tutti i giorni da conquistare, arraffare o alla fine barattare per un pugno di libertà individuale.

In più Venuti considera gli ultimi romantici – titolo tratto da una felice riesumazione di un successo di quarant’anni orsono di un duo che funzionò come una trappola per hit e classifiche da juke box ovvero Pallavicini/Donaggio – anche tutti i personaggi dell’umanità dietro l’angolo che reagiscono a tanti status quo con un sorriso, una pacca sulle spalle, fantasia e colore, ed è allora che perlomeno se la vita poi rimane la stessa però viene maneggiata con più leggerezza, più divertimento; dodici canzoni d cui dieci scritte con Kaballà che non hanno una unica direzione, girano, impazziscono e a loro modo incantano il ritorno di questo poeta storto a tre anni da quel fortunato Recidivo, album fradicio di amarezze settembrine e marrone come colorito di pelle, un ritorno di tutt’altro graffio, felice ed inquieto come una emozione alle quattro della mattina al centro di un sogno scuro.

In questo disco il senso di rinascita e di contrattacco è forte, solido e friabile insieme, si guarda al futuro con speranza e curiosità   allegrotta, e reagisce con infinitesimali rivoluzioni – intime e a fior di pelle –  che azzardano, trasgrediscono e sciorinano poetami e dance sopra un piatto d’argento di ottimo eclettismo; punteggiando qua e la lungo lo scheletro dell’album troviamo il pathos etnico che scorre in “Rosa porporina”, il ritmo in levare che ondeggia in “Con qualsiasi cosa”, l’azzardo appunto che stuzzica e disturba il Sir. Mozart di “Là ci darem la mano”, il pastiches borioso eseguito con il coro Doulce Mamoire e diretto da Bruna D’AmicoGaudeamus Igitur” o più in la il Battiato che fa capolino in “Quello che mi manca”. E sì,  e questo l’amore che intende Venuti. gli piacciono tutte quelle quadrature giocose ed eccitanti che va a ritrovare pure nel fondo di bottiglia della dance Settantiana di “Fammi il piacere”, in cui …”…fammi il piacere prova  a mettere da un’altra parte il tuo bel sedere, fammi il piacere forse è meglio che torni a fare l’antico mestiere…” è il lascito di una presa di coscienza o la presa d’atto per preservare un posto di lavoro in questi tempi di magra e depressione.

Da ascoltare tra una pausa e una voglia di ristoro.

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Isole di ceramica – Hey you

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Dopo due cd registrati nell’estate 2006 e 2007, rispettivamente “Fiori&miraggi” e “Melephone“, con una formazione leggermente differente rispetto a quella attuale, tornano le Isole di ceramica, gruppo formato da Alberto Dalla Zuanna (chitarra e voce), Alessandro Zuanon ( chitarra), Davide Basso (basso) e dal recente acquisto Giacomo Zangoni(batteria).
Il loro è un genere che mescola abilmente rock, grunge con qualche influenza metal, anche se il breve  strumentale psichedelico “Sleeping pulse” fa tornare alla mente i migliori Pink Floyd.
Poi è un susseguirsi di riff abbastanza complicati con numerosi cambi di tempo (che dimostrano che comunque i quattro ragazzi sono tutti abili musicisti), soprattutto in quella che può essere considerata la vera opening del disco, “Nothing” che come già mi hanno chiesto in molti non è una cover della famosa hit degli Anthrax!

La cosa che mi ha stupito di più ascoltando questo lavoro è la facilità con cui riescono a legare riffs alla Kyuss con altri che rimandano ad esempio ai Rage against the Machine di Tom Morello o ai Pearl Jam.
Azzeccatissimo quindi un titolo come “Spacetrip” che potrebbe davvero mandarvi in orbita ascoltandola!
Tuttavia se non avete un orecchio molto ben allenato potreste avere difficoltà quando sarà il turno di “Critical” o di “Tales” che attenuano le atmosfere ma che appaiono molto più complesse negli arrangiamenti.
Il consiglio quindi è di metterlo in loop, perché solo così riuscirete ad apprezzare anche perle come “Blue-Fire Bar Mitzvah”, un lungo strumentale in cui il synth e la chitarra giocano ad incastonarsi fra di loro o “The Clouds Hold Up the Sky”.
Concludono il lavoro “It’s up to yourself” e “Awakening with eyes closed” altro strumentale che forse avrei messo prima nella tracklist per non lasciare un senso di vuoto alla sua fine.

Per il resto che dire…
Bentornati Isole di ceramica e continuate così!

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