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TRIESTE SUMMER ROCK FESTIVAL IX Edizione

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Giovedì 26 luglio 2012 nella splendida location del Castello di San Giusto avrà il via il Trieste Summer Rock Festival 2012, la popolare rassegna rock triestina giunta alla nona edizione. Un festival autorevole e prestigioso che, grazie alla direzione artistica di Davide Casali e agli sforzi dell’ Associazione Musica Libera, nel corso degli anni ha portato a Trieste alcuni tra i principali protagonisti del rock internazionale. Van Der Graaf Generator, Glenn Hughes, Gong, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Animals, Caravan e Ray Wilson sono solo alcuni dei numerosi partecipanti al festival, che per l’edizione 2012 conferma la nuova venue del Castello di San Giusto.

La grande musica dei Gentle Giant sarà protagonista della serata inaugurale giovedì 26 luglio. In apertura gli Ibrido Hot Six, l’originale formazione romana guidata da Antonio Apuzzo che rielabora i classici del Gigante Gentile con un organico da camera, composto da fiati e archi. Dopo di loro gli eredi della leggendaria prog band: i Three Friends. Dietro questa sigla si celano due membri originali dei Gentle Giant, il batterista Malcolm Mortimoree il chitarrista Gary Green, ancora oggi amatissimi in Italia proprio come negli anni ’70. Il grande rock dell’epoca d’oro sarà in primo piano anche nella seconda serata: venerdì 27 luglio toccherà al grande Ken Hensley omaggiare la band nella quale ha militato per tanti anni, gli Uriah Heep! Prima dei suoi ForeverHeep si esibiranno i Garden Wall, una delle più audaci e non convenzionali formazioni del nuovo progressive europeo.

A tutto prog le altre due giornate al Castello di San Giusto. Sabato 28 luglio il grande ritorno dei Trip! La seminale band di Joe Vescovi e Furio Chirico, nata nel 1969 e riformata nel 2010, è ancora in pista nonostante la scomparsa del bassista e vocalist Arvid ‘Wegg’ Andersen. Nella stessa serata si esibiranno i vincitori dell’ Opening Band Live Music Festival e i giapponesi Minoke, a conferma del gemellaggio tra Trieste e Giappone sviluppatosi da qualche anno. Gran finale con una giornata tutta dedicata al rock progressivo: dalle ore 15.00 il Prog Day vedrà l’esibizione di quattro formazioni new prog (Don Marcello, Rebus, Altare Thotemico e VIII Strada) prima del Biglietto per l’Inferno.folk, nuova incarnazione della cult band lombarda degli anni ’70. Orario di inizio concerti h. 21.00, domenica 29 h. 15.00.

Biglietti:

16 euro per ogni giornata
5 euro Prog Day
36 euro abbonamento per l’intera rassegna
Prevendite:
http://www.radioattivita.com

Informazioni:

Musica Libera:

homepage

tel: 333.1569663

Synpress44 Ufficio Stampa:
http://www.synpress44.com
E-mail: synpress44@yahoo.it
Tel. 349/4352719 – 328/8665671

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“Diamanti Vintage” Francesco Guccini – Radici

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Uno dei capisaldi della lunghissima discografia di Francesco Guccini, “Radici”, quarto album al centro di cambiamenti sociali e rivoluzioni culturali che rimarranno impressi nella memoria di chi li ha vissuti e cantati, canzoni eterne che dopo il periodo “giovanile” del grande cantautore cominciano ad incanalarsi nel filone espressivo che si potrebbe apparentare con il progressive, lunghe suite, poetiche senza limiti e quella intensità splendidamente provinciale di raccontare storie e favole urbane oramai impresse nella roccia della storia della musica italiana.

Ed è con questo disco che Guccini diventa il sommo poeta scomodo, è qui che la poetica incontra il sogno, metriche, rime in un costante ed infinito filo logico che intreccia e ricama cose di tutti i giorni e cose immaginarie, ed è grossomodo un lavoro che rompe certi schemi sonori, via la protest song e si agli spazi d’anima, tutte ambientazioni di vita che l’artista amplia e riconsidera tra dolci struggente e crude parole inestimabili; non parliamo di qualità ma di storia, melodie e sonorità che si sposano con ricordi e buoni fiaschi di Sangiovese, atmosfere da cantina fumosa, bagnate di amicizie di anni, amori nascosti e nebbie invernali che non vogliono finire mai, ma che forse è stato anche un bene perché quelle nebbie, negli anni, hanno conservate integre le vibrazioni stratificate di “Radici”, la supremazia poetica e rarefatta de “Il vecchio e il bambino”, gli intarsi chitarristici de “Canzone della bambina portoghese” o l’inno generazionale inossidabile che a tutt’oggi viene sempre riproposto nei live a distanza di anni e anni “La locomotiva”. Un continuo dissolversi di fole che riempiono l’album fino a tramutarlo in un libro d’amarcord, libro che il Vate Guccini sfoglia con una sei corde acustica, una erre moscia e un pensiero che non conosce palizzate. Da riscoprire vivamente.

Si dice che tutto passa e poco rimane, che emerita cazzata.

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Karmamoi – Entre chien et loup

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Entre chien et loup. Tra cane e lupo, come a indicare un meticcio elegante nella sua natura selvaggia, snello e agile come il lupo, ma addomesticato, domato, quieto, affidabile come un cane. Un insieme di caratteristiche che creano un animale piuttosto armonioso nell’aspetto, forte ma allo stesso tempo affabile.
Esattamente come la musica dei Karmamoi: il quartetto romano composto da Daniele Giovannoni (batteria), Alessandro Cefalì (basso), Fabio Tempesta (chitarra), Serena Ciacci (voce) proprone in questo EP di cinque tracce la versione acustica di alcuni brani già presenti nella precedente fatica discografica del 2011, l’omonimo Karmamoi. Cinque canzoni accomunate da un certo sapore pop nostrano, solido tappeto su cui si insinuano, di volta in volta, matrici reggae, andamenti jazz,  melodie mediterranee della chitarra, ritmiche funky, il tutto dominato con una certa prepotenza dalla linea vocale: un timbro spesso, corposo, sfruttato soprattutto al grave, a cui vengono affidate liriche brevi, incisive, spesso ripetitive.
La base pop rende i brani decisamente abbordabili (la vocalità che ricalca molto Marina Rei e Carmen Consoli, con alcune sterzate vero l’acuto piuttosto improvvise che ricordano Irene Grandi, alcuni arrangiamenti, soprattutto in Venere, che sembrano presi da un album dei Negrita, ad esempio), mentre le diverse connotazioni che caratterizzano ogni traccia (puramente lenti pop Il ricordo e Indovino, folk e reggae Venere, quasi jazzato Vivo desiderio e tipicamente rock Stesa) mostrano le abilità della formazione, che è capace di spaziare tra i generi con un certo gusto e una buona competenza tecnica. A mio avviso Stesa è la traccia migliore però, sintomo di una formazione rock radicata a fondo nei quattro elementi: Serena sfrutta tutto il potenziale della sua voce, che non è più contenuta in una gamma di suoni medio-bassi come nelle canzoni precedenti ma può lasciarsi andare a costruzioni melodiche più articolate, il basso finalmente trova soddisfazione in un giro incalzante e piuttosto veloce, l’insieme è armonioso, energico, caldo e coinvolgente. Forse è questa la base su cui dovrebbero modellare i loro brani i Karmamoi. Liberarsi un pochino dei vecchi fasti della musica leggera italiana e lasciarsi andare a qualcosa di più sanguigno.
Non fraintendetemi.  Il quartetto funziona e parecchio, ma sa tutto di già sentito e onestamente l’EP fatica a decollare (c’è molta passione attraverso i cinque brani, ma mancano completamente energia  e groove praticamente fino all’ultima traccia; va bene che i Karmamoi ci presentano un unplugged di loro stessi, ma si poteva fare qualcosa di più in questo senso). Per sguazzare nel già sentito pop nostrano, insomma, tanto vale provare con del rock verso cui i quattro sembrano essere ben più predisposti.

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Scissor Sister – Magic Hour

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Jack Shears, letteralmente prima donna a tutti gli effetti e non perchè sia dichiaratamente gay, al timone dei suoi Scissor  Sister, continua a navigare in acque altamente glam disco, quella macchinazione perfetta – questo agli esordi – che del “micidiale attacco” ne ha fatto un baluardo della sorpresa, dello stupore; questo ad orecchio critico poteva esaltare appunto nella prima vita della band, ma ora con l’arrivo del nuovo “Magic Hour”, tutto comincia ad appiattirsi e legarsi al già sentito di prassi, nonostante gli sculettamenti, gli urletti e le tutine in latex che “evidenziano” pudende e push-up di scena.

Il disco ha il sangue e l’ingordigia di un disco Bee Gees, tanto da sembrare un loro prodotto finito e spacciato sotto falso nome, tutto si coagula intorno a  certe estetiche – anche forzate – che non appartengono a questo molestatori da palcoscenico oltranzisti, ed è duro pagare poi pegno per una creatività che è scesa sotto terra, non più provvidenziale e tantomeno eccentrica come tutt’ora ci vorrebbero far credere Le Sorelle Scissor, qui il plagio non è alle porte ma forse è già entrato in qualche studio di avvocato, ma queste sono storie che non ci devono appartenere, abbiamo già tanti nostri azzi da pelare, come si dice.

Magic Hour è un disco iconografico, che guarda più alla frivolezza che alla sostanza, da ballare senza nemmeno pensare chi lo suoni se non i citati Gibbs Brothers, nulla che possa dimostrare una minima evoluzione o carattere che Shears e soci almeno potrebbero giocarsi – in angolo – come bsiders tra un vero disco e l’altro, ma nulla, e allora definire che questa formazione sia giunta al capolinea è d’obbligo dirlo per non prenderci e farci prendere in giro; una sbirciatina tra la tracklist? Benissimo prendiamo con le molle tutto quello che faceva pippone negli Ottanta “Somewhere”,  “Shady love”, “F*** yeah”, la Minogue che viene depredata magistralmente tra le righe di “Only the horses”, una pattinata sui floor del fu Studio 54 NewyorkeseSelf control” e, salvando per un capello la bella ballatona confidenziale “The secret life of letters”, tralasciamo il resto tra effluvi electropop e profumi agrumati di Dolce & Gabbana.

Il disco è già campione di incassi, adulato dalle comunità omosex e preso di mira da ortodossi benpensanti, ma le sorelle se ne fregano del mondo che le sta a guardare ed ascoltare, loro vivono in un mondo a parte, ma vivono dentro anche la sensazione che le loro mossette gay-friendly hanno fatto già il tempo e non incantano più nessuno.

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EMILIA ROMAGNA FESTIVAL XII edizione

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Inaugurazione sotto le stelle del cinema con le musiche di Michael Nyman

Dal 3 luglio al 13 settembre tornano gli esclusivi appuntamenti estivi
all’insegna dell’eccellenza musicale e dell’incanto dei luoghi

Sarà Michael Nyman e la sua Band ad inaugurare la XII edizione dell’Emilia Romagna Festival (ERF), martedì 3 luglio 2012 (ore 21.15) a Forlì. Il grande compositore e pianista inglese, fondatore e principale esponente della corrente del minimalismo, di cui quest’anno il Festival celebra i cinquant’anni, aprirà la stagione 2012 con un programma speciale dove accanto alle colonne sonore che lo hanno reso celebre nel mondo, presenterà in prima e unica data italiana Cine Opera, un minuzioso intreccio di immagini reali, raccolte come in un diario durante decenni di tournée a contatto con le più diverse culture.

Emilia Romagna Festival è dunque un festival che risponde alla crisi, e che dal 3 luglio al 13 settembre, offrirà 40 appuntamenti pensati per un pubblico diversificato nei gusti e nelle sensibilità, ma in generale desideroso di occasioni di cultura. Perché in questi momenti bui di crisi, la cultura è necessaria, fonte di inesauribili ricchezze nonché investimento sicuro. Ed è in questo contesto che Emilia Romagna Festival raccoglie la sfida e dimostra la voglia di combattere e di difendere un patrimonio di valori e competenze comuni all’ umanità, siglando il suo cartellone con una frase che non lascia dubbi ai propositi: ‘Il concerto si farà’.

Sotto l’attenta e competente direzione artistica di Massimo Mercelli, sarà un’edizione caratterizzata come di consueto da un orizzonte molto particolare: attenzione al sacro, al classico, alla musica di oggi e ai compositori di domani. Distribuito tra le province di Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì – Cesena il Festival alternerà grandi interpreti della musica internazionale a giovani promesse, imponenti orchestre sinfoniche a pregiate formazioni di musica da camera, prime esecuzioni assolute di autori contemporanei ai più ricercati brani del repertorio classico.

E nel segno di una programmazione di straordinaria eterogeneità, sarà anche il concerto di chiusura che vedrà giovedì 13 settembre nella suggestiva e centrale Piazza della Molinella a Faenza, la Filarmonica Arturo Toscanini diretta dalla prestigiosa bacchetta di Israel Yinon esibirsi in un repertorio sinfonico e concertistico di Otto e Novecento, affidato a grandi solisti, con una nuova composizione in prima nazionale di Ennio Morricone. L’evento segna inoltre l’apertura della versione ‘invernale’ di ERF, che si svolgerà da settembre 2012 a primavera 2013, nello storico Teatro Masini di Faenza.

Altro fiore all’occhiello del festival sono certamente le location selezionate per ospitare i concerti, angoli di Emilia Romagna spesso poco conosciuti o aperti al pubblico unicamente in queste occasioni, capaci di lasciare un ricordo indelebile: dal Cardello, casa museo del poeta Oriani ai luoghi dell’infanzia di Rossini, dal Palazzo Fantini di Tredozio all’Abbazia di Pomposa, dall’Abbazia di San Mercuriale alle tante rocche della regione, la maestosa Rocca di Imola, o i piccoli gioielli come le Rocche di Riolo Terme o di Bagnara di Romagna fino all’Arena delle balle di paglia di Cotignola.

Da non dimenticare infine che anche quest’anno quasi tutti i concerti, anche i più prestigiosi, saranno ad ingresso libero o ad un prezzo agevolato: questo il contributo di Emilia Romagna Festival ad una concreta diffusione della cultura musicale.

I GRANDI INTERPRETI E LE MOLTEPLICI DIMENSIONI DELLA MUSICA

Star di questa edizione sarà Michael Nyman che, oltre a inaugurare il festival con la sua band, si esibirà in anteprima in un Concerto di Beneficenza, ‘The Piano Sings’, organizzato in collaborazione con la Città di Imola, il cui ricavato sarà interamente devoluto alla popolazione emiliana colpita dal sisma (Imola, 2/07). Emilia Romagna Festival celebra così i cinquant’anni dalla nascita del minimalismo, con una prima italiana dell’amico Michael Nyman (Forlì, 3/07), e con altri concerti, sparsi nel cartellone 2012, con musiche sue e di un altro amico dell’ERF, Philip Glass, che a sua volta compie 75 anni e a cui sarà dedicato il concerto ‘Glass 75’ con una serata speciale che vedrà interpreti tre solisti d’eccezione, Claudio Astronio all’organo, Allar Kaasik al violoncello e Massimo Mercelli al flauto (Imola, 20/08).
Tra gli altri artisti internazionali della stagione 2012 si segnalano: la grande musica dell’orchestra da camera residente nel Festival 2012 de I Solisti di Perugia, protagonista il 5 luglio con il violino solista di Massimo Quarta nel concerto che celebra con musiche di Corelli e Vivaldi i cinquant’anni della fondazione del Museo Diocesano (Imola 05/07) e il 10 settembre, diretta da Alberto Batisti, in un programma tutto dedicato a Johann Sebastian Bach in coproduzione con la Sagra Musicale Umbra (Forlì, 10/09); la prima italiana de ‘Il Flauto di Bach’ produzione ERF che vede il celebre pianista Ramin Bahrami, considerato internazionalmente tra i più interessanti interpreti bachiani viventi, esibirsi insieme al flauto di Massimo Mercelli (Abbazia di Pomposa, 18/07); sempre nel segno di Bach, il concerto della Cappella Augustana, noto ensemble diretto da Matteo Messori, con la presenza del soprano Olga Lehmann Balashova (Abbazia di Pomposa, 24/07); il concerto ‘Musica in Villa’ con protagonisti due affermati virtuosi internazionali, Alexander Hülschoff al violoncello e Andreas Frölich al pianoforte (Casola Valsenio, 02/09); e la grande Noa accompagnata dal suo storico chitarrista Gil Dor, insieme alla prestigiosa Filarmonica Arturo Toscanini, sotto la direzione di Ilian Mochiach, in un concerto speciale per festeggiare i primi 100 anni della celebre località balneare della costa romagnola, Milano Marittima (14/08).
Non può mancare, in un così intenso percorso nelle molteplici dimensioni della musica, un tratto dedicato al bel canto, nella regione italiana da sempre culla dell’opera lirica: nella splendida cornice di Villa La Babina due affermate protagoniste del panorama lirico, il soprano Paola Antonucci e il mezzo soprano Marianna Vinci, accompagnate dai Solisti del Teatro Regio di Parma, in ‘Donne all’opera’ (Sasso Morelli, 1/09); e ancora spazio alle voci con il Coro Costanzo Porta in un programma raffinatissimo dedicato al coro da camera tra ‘800 e ‘900 (Forlì, 04/09).

NON SOLO MUSICA

Anche quest’anno l’ERF propone dei percorsi intrecciati tra musica, teatro e immagini. Storia e tradizione vanno in scena con i testi di Pino Aprile e le musiche di Eugenio Bennato, nello spettacolo “A sud”, dove la questione meridionale è trattata sfidando i luoghi comuni, in una ricerca storica sul passato e sul presente del Mezzogiorno italiano (Imola, 06/07). Il mondo chassidico sarà invece al centro de ”Il registro dei peccati” il recital-reading per racconti, melopee, narrazioni e storielle ideato e interpretato da Moni Ovadia (Imola, 11/07). La musica prende colore, il colore diventa composizione musicale con la pianista-pittrice Keren Hanan, che suonerà in occasione dell’inaugurazione della sua mostra di dipinti “Music in Colours” (12/07 Castel Guelfo). Torna il violoncellista Ramon Jaffé, artista poliedrico, affiancato da Arturo “El Polaco”alla chitarra flamenca e dalla danza di Miguelete in uno spettacolo di flamenco che mescola classico, tradizione popolare e contemporaneo, con una seconda parte dedicata all’improvvisazione e al colloquio con il pubblico, nella scenografica Arena delle balle di paglia (Cotignola, 29/07). Dopo anni di recital e di “fatti evéri”, Ivano Marescotti tira le somme in “Nessun attore può venire da Bagnacavallo”, una storia incredibile ma vera: il viaggio da Villanova di Bagnacavallo, lavorando in segheria a fare fondi per le cassette della frutta, a Hollywood con Ridley Scott (Castel San Pietro, 02/09).

PREMIO ERF ALLA CARRIERA

Il Premio alla Carriera Emilia Romagna Festival 2012, assegnato nelle precedenti edizioni al leggendario Maxence Larrieu e a Quirino Principe, andrà quest’anno a Catherine Spaak. Con questo riconoscimento, istituito nel 2010, Emilia Romagna Festival intende omaggiare i grandi protagonisti della scena artistica internazionale, che con il loro genio onorano la musica e le arti. Il premio sarà consegnato in una speciale serata in musica, con il pianoforte del giovane e talentuoso Martin Kasik (Tredozio, 26/08). La bellissima Catherine Spaak sarà anche protagonista de Il Piccolo Principe, nuova versione del poema musicale in Prima Nazionale. Il capolavoro di Saint-Exupéry sarà raccontato come una fiaba della sera, seguendo le piccole orme del Principe sui pentagrammi per flauto e pianoforte con le musiche di compositori contemporanei fra i più noti e amati: Bacalov, Glass e Penderecki (Cesenatico, 24/08).

GIOVANI TALENTI CRESCONO

Non mancheranno infine i giovani talenti. La selezione di jazz band emergenti di “Porsche Live. Giovani e Jazz” 2011 promossa da Porsche Italia, presenta quest’anno il gruppo Marta Del Grandi Quartet (Abbazia di Pomposa 09/08), scelto proprio dal grande Lucio Dalla (presidente di giuria di “Porsche Live. Giovani e Jazz 2011”). Per la sezione Primo Premio!, che dà spazio a nuovi talenti premiati nei più importanti concorsi nazionali ed esteri, ricordiamo i quattro appuntamenti con il Calidore String Quartet, vincitore del Fischoff Chamber Music Competition 2011 di South Bend (USA), che debutterà in Italia proprio all’Emilia Romagna Festival (Forlì 27/08, Budrio 28/08, Imola 29/08, Rocca San Casciano 30/08) nonché i premiati al Concorso Internazionale di Musica da Camera “Salieri-Zinetti” 2011 di Verona, Il Duo sassofono – pianoforte Arakelyan – Korolev (Imola 26/07) e il Sonic.Art – Saxofone Quartet (Varignana 04/08).

www.erfestival.org

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Mike Scheidt – Stay Awake

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E a sentire questo bel disco tutto viene da pensare meno che dietro le quinte ci sia uno spacca suoni e distorsori di grande rilevanza come Mike Scheidt fondatore e membro principale del trio metal americano degli YOB, e ancor meno viene da pensare il lato tenerissimo che l’artista Oregoniano riesce perfettamente a nascondere quando, da Thor dei palcoscenici hardcore, urlava, dilaniava e istigava folle di adepti ipnotizzati.

Stay Awake”, è un sei tracce che esce per la Sub Pop e interamente registrato al mitico Witch Ape Studio di Seattle, pare essere la transizione tra tempeste e miraggi, tra fuochi e fresche acque, ma forse anche un preludio a redenzione intima, per un artista che di redenzioni non ne ha mai proclamate se non cambiando aria, fatto sta che questa tracklist è una straniante dolcezza amara, un non so che di messianico che si cela sotto atmosfere acustiche, lunghe ombre fluttuanti su spennate epiche di chitarra e una voce rotta da pensieri e riflessioni che si specchiano nella solitudine, una profonda solitudine.

Sono brani semplici e ariosi, intermezzi che esplorano viscere ed anime di un qualcosa che Scheidt aveva da tempo dentro e solo ora si è deciso di tirarli fuori e portarli all’attenzione, un dolciastro set di arpeggi e giri con delle flebili variazioni progressive che non rubano molto tempo per farsi capire come spesso capita in ben più grandi occasioni, sono  alla portata dei sogni di tutti; è fenomenale rimanere fermi, addirittura inerti quando transita la passione eterea e stregata di “When time forgets time”, la strizzata di cuore che ti prende mentre affondi l’ascolto su “In your light”, respiri il vento di “Breathe” fino a scomparire nel pathos orientale che la magica “Stay awake” ti inietta come una strepitosa maledizione. Si parlava di redenzione per questo artista, ora con questa prova ci si può credere.

Una magnifica “scappatoia sonora” mentre il mondo intorno sta andando in malora.

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“TO THE TREMENDOUS ROAD”: su i.Tunes l’esordio di DOLA J. CHAPLIN

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Da oggi disponibile su i.TUNES e su tutti i principali store digitali
Un singolo in rotazione su oltre 400 radio italiane.
Anteprime video, interviste e recensioni.
Ottimi riscontri di critica e di pubblico
Un diario di viaggio ricco di emozioni, silenzi e una inevitabile
ricerca di se.

Firmato dalla VOLUME! Records esce “TO THE TREMENDOUS ROAD” il tanto atteso esordio di DOLA J. CHAPLIN

Prodotto da Protosound Polyproject, firmato dalla VOLUME! Records e CRAMPS Music, distribuito dalla EDEL esce “TO THE TREMENDOUS ROAD” il disco d’esordio di DOLA J. CHAPLIN.
Un lavoro promosso e celebrato dalla critica e dal pubblico sin dalle prime battute, numerose pubblicazioni, interviste, anteprime video e ottime recensioni.
Primo video teaser “Nothing To Say” – brano registrato live in una vecchia cucina, tra le rovine di un antico borgo lontano dal tempo.
A seguire una release non ufficiale del singolo radiofonico “WHAT I CARE”, brano già colonna sonora del lungometraggio di Enrico Bernard dal titolo “The Last Capitalist” – tratto dalla sua commedia “Holy Money” con Martin Kushner, Ava Mihaljevic e Andre Vanmarteen.
Oggi il disco: disponibile su i.TUNES e a breve in tutti i negozi di dischi, 11 tracce, 11 racconti di viaggio e di spiritualità, intima evasione alla ricerca delle origini attraverso un linguaggio musicale che trova ispirazioni dalle più recenti scuole di singe songwriters, folk, blues, dall’America alla nostra Italia.

Il viaggio. Un tema caro a DOLA J. CHAPLIN che sceglie in arte un nome ricco di immagini e di storia. Un esordio di grande qualità tecnica e artistica.

Un disco dai sapori intimi e crudi, aspri e taglienti che a tratti lasciano commuovere ma che vogliono sottolineare l’assoluto bisogno di emozioni e di semplicità, caratteristiche che oggi sono ormai quasi fuori moda.
Da un passato di chitarrista e bassista punk (con un disco molto programmato da alcune tra le più famose radio californiane tra cui la famosa RADIO RANCID di TIM ARMSTRONG e LARS FREDERIKSEN) ad oggi nei panni di un artista BOHEMIEN, chitarrista, autore, poeta esteta in continuo divenire vivendo a pieno le più randagie emozioni dell’essere: go wild!!!

WHAT I CARE (Reprise) – on YouTube

NOTHING TO SAY – Video Teaser

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I Cosi – Canti bellicosi

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Quando Morgan li presentò con questo nickname I cosi erano già molto bravi, ma col tempo hanno saputo anche migliorarsi nello stile e negli arrangiamenti.
Dentro il disco certo ci sono ancora richiami ai Bluvertigo e ai Lunapop, ma se lo ascoltate con attenzione troverete anche riferimenti alla new wave anni ottanta e al rock all’italiana.
Già dal primo riff di chitarra e batteria della title track è evidente che questo progetto sonoro sta acquistando sempre più valenza e che si affaccia anche alla psichedelia anni sessanta con “Dentro me”.

“Universo” è una canzone davvero molto romantica dalle liriche molto incisive e chiare (“saprò darti un bacio lungo quanto tutto l’universo”) durante il quale gli assoli di chitarra si sovrappongono al cantato.
“Settimana enigmistica” forse è meno complessa delle altre tracce ma il moog e il vocoder di Megaerz danno quel tocco magico che la rendono a mio parere l’episodio migliore del disco (provate a sentire come finisce…).
“Romanticamore” è la prova di quanto scritto nelle note interne, ovvero che “la musica è frutto di una ricerca di equilibrio tra il tributo ai grandi autori del passato e il desiderio di novità”.

E così continuando a citarle con “L’assedio” si entra nella seconda parte dei Canti Bellicosi, con riferimenti al mai troppo poco compianto Piero Ciampi.
“Le ragioni degli altri” sembra essere uscito dalla penna di Alex Kapranos dei Franz Ferdinand, ma cantata pure in italiano assumeun gusto davvero intenso.
Ascoltando “Se non” invece vi sembrerà di essere in un sogno con l’uomo o la donna che amate, e la tromba e il flicorno di Giovanni Satta lo renderanno ancora più seducente.
“Fotografia” è interamente cantata e suonata da Marco Carusino ed appare come una sequenza di ricordi di una storia d’amore passata.

Conclude il disco “Quello che so” la cui linea di basso ricorda un po’ quella di “Breathe” dei Pink Floyd.
Consigliatissimo a tutti, soprattutto a chi non ama seguire le mode del momento ma che ama i grandi classici del passato immerso in melodie soffuse grazie all’apporto di vari strumenti analogici, in un perfetto incontro fra musica e poesia.
E citando il ritornello della title track: “Canti bellicosi è tutto quello che sento quando rimane il silenzio dentro di me”…

 

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Daniele Faraotti Band – Canzoni in salita

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E’ senza mezzi termini una sinfonia visionaria quella che Daniele Faraotti Band descrive nel nuovissimo “Canzoni in salita”, una sincronia di stati vitali che fluttuano nei loro tentativi riusciti di relazionare progressive, classic-pop e sintomatologie rock con suggestioni minimaliste, contemporanee, il tutto in un corpo sonoro che si allunga in dieci tracce, una messinscena ambiziosa e rappresentativa che va oltre, supera,  le elaborazioni semplici della percezione d’impatto.

Timbri a tratti essenziali, altri schizzati nelle forme metafisiche, sperimentazioni, funk, retrogusti di Zappa, Di Giacomo, AreaGentle Giant, Reich, tutto un cosmogonico formulario che impegna la formazione ed il suo “trascinatore” a repentini sbalzi d’umori sonici e in mille combinazioni sequenziali per poi confluire in un ascolto sorprendente e mai scontato; è un bellissimo meccanismo di musica e delle sue possibilità d’uso, niente simulacri innamorati dell’estetica free, ma una sincera e calibratissima fusione di rimbalzi e fantasie smembrate che ingurgitano una, cento, mille perfezioni apparentemente squinternate ma – legandone i fili a specchio – traspaiono una fitta amalgama empirica, assoluta e pericolosamente cool, anarchica.

Un bel suono di derive e approdi, deragliamenti e viaggi fuori gittata, sempre difficilmente etichettabile, magari avant-garde retro-futurista, ma meglio lasciare scorrere questi magma irresistibili che conquistano l’ascoltatore dentro una “giocattolosa” esibizione di razza, meglio lasciare splendere queste gemme immaginarie collettive nel loro ritrovato radicale spazio squadrato; dai sentori latini di “Melanconia”, alle stratificazioni Wishbone  Ash di “Tram Golem”, alla magnificenza folkly-jazz de “Carmencita in Kawasaki” passando per le ancie di tromba che borbottano lucide in “Le cose” fino alla quadrature storte di “Sakura”, jazz-rock sperimentale vertiginoso che chiude e da il risentirci alla prossima pubblicazione di questo artista poliedrico, pazzo, con band annessa.

Daniele Faraotti Band è al suo secondo disco, ma sembra una vita di ascolti, il suo/loro genio non poteva che regalare questo “bailamme” di eccellenze, magari avaro di effetti speciali, ma succulento di emozioni forti e autentiche.

Della serie, sporco, autentico e subito.

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PFM IN CLASSIC da Mozart a Celebration

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Venerdì 20 luglio e sabato 21 luglio 2012 Vulcano Project presenta la Prima Edizione di Le Radici del Rock, festival ideato da Marco Naldi e dedicato al meglio del rock progressivo italiano. A Viterbo due giornate interamente dedicate al prog italiano con concerti, iniziative parallele e una imperdibile apertura: PFM In Classic – da Mozart a Celebration conESO – Ensemble Symphony Orchestra diretta da Bruno Santori. I linguaggi contemporanei e la musica classica. Un incontro di mondi apparentemente agli antipodi che, grazie alla continua voglia di sperimentare strade nuove della PFM, è diventato realtà. Franz Di Cioccio, Patrick Djivas e Franco Mussida saranno accompagnati da ESO, Ensemble Symphony Orchestra diretta dal Maestro Bruno Santori.

“Il progetto vuole lanciare un ponte tra culture musicali distinte e solo apparentemente distanti”, dichiara PFM. “Avvicinarle è una sfida e suonare perché ciò accada è la passione che ha alimentato la nostra creatività. Pensiamo che, ascoltare la musica classica da un punto di vista diverso, possa aprire un grandangolo emotivo nella sensibilità degli ascoltatori. Vogliamo stimolare il pubblico ad essere curioso verso un’azione che sappia abbracciare il suono corposo dell’orchestra, interprete del respiro artistico dei compositori classici, e il suono elettrico, interprete dei linguaggi della musica contemporanea. Non una esecuzione ad effetto ma l’effetto di una esecuzione multi sensoriale”.

La ESO – Ensemble Symphony Orchestra nasce in seno all’Orchestra Sinfonica di Massa e Carrara grazie alla fusione delle esperienze classiche e liriche di alcuni tra i migliori strumentisti italiani provenienti da importanti teatri nazionali. Il coinvolgimento in molti progetti musicali al fianco di solisti del jazz, del pop, del gospel, rende l’Ensemble Symphony Orchestra straordinariamente versatile e capace di interpretare linguaggi e strutture diverse da quelle classiche. Grazie ad una potente scenografia sonora, gli spettatori verranno condotti attraverso un viaggio che va oltre la musica classica, che abbraccia linguaggi diversi allo scopo di avvicinare un nuovo pubblico ai grandi compositori italiani ed europei tra cui Verdi, Rossini, Mozart, Prokofiev e molti altri. Naturalmente non mancheranno i più grandi successi di PFM.

Sabato 21 il Golf Club si animerà con Le Radici del Rock, seconda parte del progetto con sei storici protagonisti delprogressive italiano e la presentazione del popolare giornalista Carlo Massarini. Dalle 18.00 il ‘village’ presenterà la mostra di Paul Whitehead e i concerti di Analogy, Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, UT – L’anima prog dei New Trolls, Osanna & Gianni Leone, Trip, Banco del Mutuo Soccorso.

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“Diamanti Vintage” Violent Femmes – Violent Femmes

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Tre  storditi intellettualoidi di Milwaukee, Gordon Gano, Brian Ricthie e Victor De Lorenzo, per la gente del posto tre fancazzisti drogati di tutto, si incontrano e senza nemmeno guardarsi negli occhi, condividendo solamente la passione storta per il rock libero da complicazioni, decidono di formare una band e in due giorni, prendendo in prestito il nome di una nota marca di assorbenti decidono di chiamarsi Violent Femmes, e mischiando i loro gusti spalmati dal gospel, al folk, trucioli jazz, punk e gli albori di una timida new-vave cominciano la loro avventura che si dipana tra suoni acustici ed elettrici, un insieme di stimolazioni e novità che in poco tempo prendono la curiosità di pubblico e addetti ai lavori

Con Faulkner, Cash, Richman ed i suoi Modern Lovers, Pastorius ed altri geni in circolazione tra i neuroni, i VF diventano subito idoli di folle di nerd, intraprendono con l’aiuto del chitarrista dei Pretenders, James Honeymann, un tour che finalmente li sbarca nella Grande Mela ed è proprio lì che il fenomeno Violent Femmes deflagra in tutta la sua potenza, in tutta la sua grazia maledettamente sgraziata, ed è il trionfo.

Tra Modern Lovers e Talking Head, il loro sound infatua tutta l’America underground, e questo loro album omonimo pieno di cori ubriachi, attitudini punk, melodie radiofoniche, cabaret, ed improvvisazioni ritmiche utilizzando anche bidoni, pentolacce, lamiere ecc, va a colpire il segno e li porta a generare una scia di ascolti paurosa; dieci tracce gettonatissime e stilose che prevedono cambi d’aria e di gusto immediati alla giovane America che ne rimane sconvolta, lo shake avvitante “Kiss off”, lo slogamento punk con un giro di basso e cordame di chitarra folli “Add it up”, il pop-surfer che ondeggia simpaticamente tra le rime di “Promise”, lo stuzzicante xilofono che viene suonato come dentro una jam session alcolica “Gone  Daddy gone”  e la lenta ballata dal pad sausalito “Good feeling”, un lungo addio di violino e  piano che vanno a chiudere il cerchio di una band che lungo i dorsali degli anni Ottanta generò un equilibrio tra stranezza ed bellezza tutt’ora mai superata.

Lester Bangs disse che questo disco era un piacere per le orecchie e che difficilmente poteva suonare meglio, ma aveva solamente scoperto l’acqua bollente!

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Shide – Between These Walls

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Ci sono nuove speranze per mantenere in vita il rock a 100 pistoni, non il metal ortodosso, ma  quello metallizzato da grandi occasioni. La prima dimostrazione ce la danno i Baresi Shide e la controprova “Between These Walls”, il loro esordio in pompa magna, undici inediti e due strabilianti cover (Anybody seen my baby degli Stones e la mitica Born to be wildBonfire Mars)  che – grazie alla produzione di Micael C Ross e Stefano Giungato (chitarrista della band) –  riescono a trovare uno splendido compromesso tra la scena Nu-metal di Little Rock (Evanescence tanto per interderci) e le scorribande tutte rose e lame di Sandra Nasic ed i suoi Guano Apes, la dolcezza appuntita di Anouk ed i battiti primordiali degli Skunk Anansie, ed il tutto riuscendo a non fare prevalere un elemento sull’altro, un giusto equilibrio tra sonorità dure e melodiche che non mostrano mai ruffianeria e tantomeno inesperienza.

Il quartetto pugliese, capitanato dalla voce di rosa ribelle di Red – al secolo Renata Morizio – esprime ancora nei retrogusti i micidiali attacchi sonici che l’anima e lo spirito di chi per anni ha suonato il suono degli Dei, quel rock bastonante e guerriero che vuole fondersi con gli epici atmosferici del progressive, ma la svolta vincente appunto è quella che hanno saputo conferire nella loro musica, fondersi con una certa melodia e “scendere finalmente in terra” per ancorarsi alle stimmate distorte della primordialità del rock, ed è questo che fa dell’album una bomba di straordinaria e deflagrante ghiottoneria elettrica.

Ovvio, che qui dentro la spensieratezza poppy è fuori prerogativa, qui si fa sul serio, gli Shide diventano un vero e proprio progetto di gruppo che arriva per amplificare un convincente stare sulla scena che da ampio respiro al rock nazionale, quella scena che si guadagnano subito senza cedere invischiati nella prevedibilità dello stile proposto, ma che con quel “giocattolo esplosivo” sanno cosa farne, come modificarlo e alla fine come farlo “scoppiare” in tutte le sue traiettorie e dissolvenze; divino il cardiopalma amministrato in “The price of the stake”, lo wah wah grunge che morde in “Wake up”, fenomenale il sussulto agguerrito e dolce di “Sir and master”, autentiche le fasi doommate che perseguono Words” prima di perdersi nei gorghi in cui scivolare, abbandonarsi e morire per rinascere è una summa di libidine disumana “New era”.

I nostri forse non rimarranno scolpiti nella storia come tanti loro colleghi “maggiori”, non smusseranno le vette acuminate dell’Olimpo degli dei del furore, ma una tosta e tenace scalfittura –  a sentire da questa bestiale prima volta – alle buone asperità metallifere tricolori ci sta tutta.

Comunque buona la prima!

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