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PRIMO & IBBANEZ IL NUOVO PROGETTO “FIN DA BAMBINO” IN USCITA IL 3 LUGLIO

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Uscirà il 3 luglio per Latlantide “Fin Da Bambino”, il nuovo progetto che vede insieme Primo & Ibbanez (Cor Veleno Family) in 10 tracce prodotte e suonate da Ill Grosso (Bling Beatz Music), mixate e “dopate” da Squarta.

Legati da un’amicizia ventennale, i due artisti da sempre collaborano per i progetti dei Cor Veleno fin dalla produzione dei primi lavori (Rock’n’Roll, Heavy Metal, Bomboclat): IBBANEZ, graphic and web designer, fotografo, regista e pittore, è il produttore esecutivo del primo lavoro ufficiale dei Corveleno (Sotto Assedio P&C1999): da allora la loro via creativa è rimasta a stretto contatto e si è diversificata attraverso più sfumature possibili, fino ad arrivare ad oggi.

Primo & Ibbanez si ritrovano a voler condividere l’ispirazione del sound che li accompagna da sempre, celebrando la scoperta continua di sentire addosso il rap come il primo giorno, come qualcosa che può farti ripartire sempre da zero, riconoscendo oramai un percorso che li ha accompagnati da quando erano ragazzi restando con loro fino ad essere uomini, nel panorama dove tutto cambia intorno, ma niente veramente cambia nel profondo.

“Fin da bambino il rap ti dà forza se tu la sai riconoscere e trovare nelle cose che vivi, e tu puoi darne in cambio attraverso la sua potenza espressiva. Fin da bambini siamo stati abituati a stare a tempo, e la musica ha spostato questo necessariamente e spontaneamente in tutte le manifestazioni della vita”.

Nel progetto Ill Grosso ha generato il suono fondamentale a questa celebrazione e a rendere più vivide le visioni di Primo & Ibbanez, dentro il disco c’è l’immaginazione che diventa concreta e tangibile, come solo i bambini possono fare con la fantasia, concedendosi un viaggio che non per forza ha un senso, ma che sicuramente conduce dove c’è un input da seguire, e cioè sul palco, quello che sognavamo fin da bambini.

“Fin da piccoli il rap ci cresce partendo dalla stessa matrice, ma evolvendo stili diversi nel tempo” e il project di Primo & Ibbanez vive proprio di queste differenze stilistiche, e sfida se stesso nel volerle avvicinare nella stessa canzone: il disco contiene 10 tracce, che vedono gli artisti alternarsi su suoni dal gusto personale e riconoscibile e collaborano con grandissima parte della nuova e vecchia scena Hip Hop italiana, feconda mai come ora: questo accade in modo particolare nell’ultimo brano “I Mostri Rmx”, dove Primo e Ibbanez arruolano al loro fianco Gemitaiz, Madman, Nicco Broken Speakers, Joice, Grandi Numeri, Briga, Roc Birken, Dasly, Santiago, Tormento, Nayt, tutti in un’unica traccia, a testimonianza del momento artistico creativo e vario che vive finalmente l’hiphop italiano, dopo anni di preparazione e fatiche.

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Zibba – Come il suono dei passi sulla neve

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Probabilmente quando Zibba ha presentato al Teatro Gassman di Borgio (Sv) il mese scorso avrà esordito con un “benvenuti alla premiere” proprio come nei versi di “Sei metri sotto la città”.
Dopo la breve introduzione “Martino Rebowski” (che altro non è che un breve recitato di Enzo Paci), il disco si apre con “Nancy”, singolo a tratti reggae e a tratti malinconico a cui Roy Paci regala un vestito da cerimonia.
L’omonima traccia invece è molto tranquilla e fu scritta nella stanza di un albergo di Albenga alle cinque del mattino di un inizio dicembre tormentato ispirandosi ad una bellissima frase di Michele Serra.
“Asti est” è un omaggio alla musica di Stevie Wonder, ma ricorda da vicino anche il nostro Vinicio Capossela, mentre “Prima di partire” è una hit electro inframezzata da un violino in cui le voci di Zibba e Carlot-ta si alternano.
E che dire di “Aria di levante”? Basterebbe dirvi che è stata scritta su commissione del Club Tenco per il doppio album de “la leva” per sapere già tutto.
In realtà è proprio in questo brano che Zibba dà il meglio di sé, perché la vena cantautoriale si fonde con spaccati di saxmolto raffinati ed intensi.
“La musica lo sa” è un brevissimo interludio che fa da spartiacque al disco e se fosse incluso in un vinile presenterebbe il lato b di questo lavoro.
“Almeno il tempo” inizia con una chitarra che ricorda i blues dei primi anni ’20 (Robert Johnson in primis) ma si evolve pian piano con una sezione ritmica e un sax che impartiscono il tempo.
“Essere il mare” è un altro breve recitato ad opera di Adolfo Margiotta che introduce “O Mæ Mâ”, cantata parzialmente in dialetto ligure in duetto con Vittorio De Scalzi dei New Trolls.
“Anche di lunedì” è stata scritta da Zibba mentre era in viaggio per Chieti ed è stata anche premiata con il Premio Bindi 2011.
“Dove i sognatori son librai” è una canzone che fa veramente sognare con i violoncelli curati da Giovanni Ricciardi e liriche molto intense.
“Poesia d’amore” è un altro breve interludio narrato dalla voce di Silvia Giulia Mendola che introduce “Salva”, ballad che nei suoi cinque minuti di durata rende omaggio al grande cantautore ed attore americano Tom Waits.
Conclude il disco la voce di Adolfo Margiotta, con una breve poesia che porta il titolo del disco, interamente registrato in un forno per mattoni a Moie (An).
Sedici tracce a testimonianza della maturità artistica raggiunta da Zibba qui con la sua rinnovata band di sei elementi.

Un album consigliato a tutte le generazioni, davvero molto delicato, insomma… proprio “come il suono dei passi sulla neve”.

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Beeside – Mood Spirals

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Federico Pazzona in arte Beeside mette dentro la sua musica l’inconfondibile timbro degli elementi impalpabili dell’ossigeno, dell’elio, e di tutto quello che fa galleggiare tra abbandoni e virate, accenti folk come fatti di pasta di vetro, solo da ascoltare e mai toccare, come se si rischiasse il “pouf” che disintegra le bolle di sapone; “Mood Spirals” è l’uscita al grande ascolto di questo artista sassarese, metà cantautore, metà aviatore di grandi spazi onirici, adagiato ad un certo nu-folk di terra d’Albione e fuori dai giri viziosi dello stesso.

Tutto è eseguito con classe sopraffina, tratteggi ancient, sguardi Donovaniani e interrogativi alla Drake, delicatessen armoniche che svolazzano alternativamente divertite e pensierose sopra accordi di chitarra acustica, sopra territori intimi e meccanismi confessori; dodici tracce che hanno un umore istintivo cangiante, variegato di giornate tra autunno ed inverno come sottolineate dagli archi di “Keep your mouth shut” o dagli intrecci di corde che sovvengono lontani ricordi di Zeppelin bucolici “Take a breath and swim”, poi se andiamo a captare fino in fondo l’essenza della scrittura minimalista di questo ottimo cantautore si avvertono le influenze fascinose del Drake sopracitato, di quella solitudine agrette che trema come una foglia di sera “Migraine”, la titletrack, “Connection”, solitudine che fa raggomitolare l’ascolto come se si fosse davanti ad un camino acceso mentre fuori piove fitto, mentre fuori i pensieri prendono a correre senza meta.

Straordinario debutto per questa penna sarda che non solo ci comunica il suo stato interiore voltato ai suoni dolci e melanconici di un amazing revue , ma anche un insieme di trasfigurazioni intuitive che lo portano a brillare in un disco dove caracollare con gli occhi lucidi ed il magone in gola “Sunken cheeks” fa parte di un mondo, il suo mondo, capace di sganciarsi libero da qualsiasi vincolo.

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RADIOINDIE MUSIC LIKE: SIMONE CRISTICCHI tra gli ospiti dell’ultima puntata

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Per l’ultima grande puntata di questa stagione,
RADIOINDIE MUSIC LIKE incontra SIMONE CRISTICCHI, VALENTINO CORVINO
e GIORDANO SANGIORGI, il presidente del MEI
Da Venerdì 29 Giugno su tutto il circuito radiofonico.

LINK – PROTOSOUND
http://www.protosound.net/index.php?option=com_content&view=article&id=464:radioindie-music-like-simone-cristicchi-tra-gli-ospiti-dellultima-puntata&catid=58:comunicati-stampa&Itemid=406

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Tom Williams & the Boat – Teenage blood

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Sono in sei, provengono dal nebbioso Kent inglese e suonano una buona Americana come differenza catalizzatrice, Americana dall’altra parte della polvere delle Harley Davidson e dalle parti dei Grant Lee Phillips e ancor più vicini alle atmosfere dilanianti dei Counting Crows; sono i Tom Williamson & the Boat e non sono neofiti in cerca di spazi eclatanti, sono sulla scena da dieci anni e sul gobbone portano ben cinque ep ed una uscita ufficiale, ma è con questo Teenage Blood che vogliono affermarsi in qualche parte dell’ascolto generale, anche perché – come dice il leader Williams – il tempo scorre è la pensione è da guadagnare alla svelta.

Dodici brani di schitarrate vigorose, quel grasso sonoro che inchioda l’orecchio ad un anti-folk colorato fatto di ballatone e sospensioni radiofoniche lontane dagli assordamenti gratuiti e vicine alla piacevolezza di provincia dove non succede mai nulla: certo l’originalità qui non diventa tendenza, è musica con il perfetto aspetto della passione per lo stile che maneggia e basta, ma che riesce a tirarsi fuori per la semplicità e l’aggiunta di quella “stagionatura” poetica che un lontano Tom Petty ed i suoi violini impassibili hanno disegnato come via principale per raggiungere la piena espressività loner.

C’è molto di Duritz  tra le vocali e le inflessioni grammaticali, un misto di ingenuità ed intuizione esibita col senso della misura, un ottimo crossing che parte dalla cavalcata della titletrack per sorvolare il lato oscuro di un attimo intimo vissuto male e con un Cash come divinità superiore “Trouble with the truth”, riparte dalle parti della Omaha dei Counting Crows “Neckbrace (Big Wave),Misery”, per atterrare nelle arie libere e terse che “Pulling lines”, bel stop & go di chitarra, rilascia come una coscienza ripulita da brutti pensieri.

Questo sarebbe il loro il sesto ed ufficiale work in studio e con grande sorpresa vale molto di più della notazione statistica, lo dimostra quel sentore visionario e confidenziale che vi si struscia all’orecchio e che vi fa sentire vivi verso voi stessi “Like you”.

Cercatelo, ne vale la pena.

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Atterraggio Alieno – Il disgelo

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Qualche abitante del globo pare essere un simpatico omino verde con gli occhi curiosi. Dall’alto della sua presuntuosa nave spaziale ogni mattina mette piede sulla nostra crosta terreste “per la prima volta” e si lascia andare ad emozioni primordiali che forse noi da schifosi abitudinari non riusciamo più a raggiungere. E allora si limita semplicemente a “vedere” e “dire” (“Ho visto cose”) molto prima di “osservare” e “parlare”. Senza attivare meccanismi matematici e cervellotici che ci portano così vicini ai boriosi e faziosi talk show televisivi sulla crisi economica o alle chiacchiere da bar che elogiano lo strapotere della superficie.

Questo cantante e il suo disco sono una vera e propria battaglia a mani nude alla banalità, una toccata e fuga nel profondo, un trapano che buca e toglie subito la punta. Si chiama Francesco Falorni ma si fa chiamare Atterraggio Alieno, aggiungerei: mai nome d’arte è stato più azzeccato. Il suo nuovo disco è “Il disgelo”, aggiungerei: mai un processo di riscaldamento è stato più lento. Si perché il dobro del ragazzo fiorentino suona freddo, la sua voce pare lontana. La sua musica è un piccolo accendino in un deserto di ghiaccio e il suo disgelo è eterno, un continuo crescendo, di grado in grado. Non c’è nessuna fretta dopotutto “c’è un fuoco che aspetta” ci dice “Al sole di giugno”, ma che ci farà aprire gli occhi oltre che toglierci un po’ di brina.
Certo a valutare la cornice ci aspettavamo più esuberanza, più foga, un bel sole ignorante di Agosto, che però manca già dalle prime note strappate con meticolosa irrazionalità. E allora che cos’è che ci sta scaldando? Cosa ci porta ad abbassare la guardia e far entrare questo simpatico capellone straniero nei nostri più intimi pensieri? La facilità nell’agire in modo così ingenuo ma spietato, parole feroci e divertenti da clown sobrio e pacato, un viaggiatore poco interessato ai nostri futili discorsi da mettersi a disegnare il panorama nudo e crudo fuori dal finestrino. Un atterraggio di fortuna, poco razionale ma impeccabile ed efficace, così morbido per il passeggero in questione ma così pesante per la terra su cui si appoggia.

Le parole di Francesco sono un macigno, vento caldo e costante sulla nostra schiena che dona un po’ di tepore e rilassa quando camminiamo in questa distesa invernale. Tra non-sense e frecciate di pura lucidità, senza mai far troppo sforzo cerebrale.

La poesia minimale di “Saremo ricchi amore” apre “Il disgelo” e dona da subito una timida speranza a tutti i precari, sottile ma più corale di un inno generazionale. “Nero petrolio” sfodera un dobro danzante che pare mettere in testa dei Perturbazione un bel cappello di paglia per farli suonare gonfi di whisky nelle immense strade di campagna americane. Poi la disarmante melodia di “Cervello Lo-Fi”, giusto per farci capire come stare in equilibrio, per far risuonare la frequenza dei battiti cardiaci e delle scariche neuronali. Pianoforte, violino e una timida chitarra acustica stracciano a pezzi il dolore, prendendolo a morsi nell’episodio più intenso del disco: “I tuo male tra i denti”, violenza, rabbia, dolcezza ed eleganza in 4 minuti. Potere della musica pop.

Il disco è immensamente arrangiato, semplicissimo, ma mai scontato, proprio come le fantastiche ritmiche ballerine che ogni tanto appaiono come fantasmi di vitalità, giusto a fomentare un pelo la fiamma e a combattere i desolanti paesaggi di “Alaska” e “Vorkuta”. Non sia mai che il ghiaccio guadagni un po’ di terreno.
A fine ascolto abbiamo capito: il calore non è l’estate a Riccione, non è la discoteca all’aperto in Costa Brava, non è l’aridità del deserto, nemmeno l’umidità delle risaie padane o il bikini in California. E’ piuttosto una profumata tisana sorseggiata seduti su un prato innevato a guardare le stelle. E disegnare con la mente; sensazioni e colori, anche lontani.
Certo, sono strani questi alieni. E’ proprio vero che lontano dal sole bastano pochi raggi e pochi gradi centigradi per sentire un brivido di calore.

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Dealma – 13 Toads OF Positivity

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Solo i più fortunati di noi riusciranno a fare delle proprie passioni un lavoro con il quale arrivare a fine mese.
Se poi, accanto alla fortuna ci mettiamo la bravura, il gioco è davvero fatto!
Loro bravi lo sono, eccome!

Sto parlando dei Dealma, quattro ragazzi sardi (Giuseppe, Andrea, Claudio e Manuel) con la passione per la buona musica e l’abilità di rendere questa passione un lavoro riuscito ottimamente!
Il loro primo album, 13 Toads OF Positivity, è un lavoro ben fatto che combina un’infinità di diversi generi musicali che catturano subito l’attenzione di chi l’ascolta.
Conta dieci brani, tutti perfettamente registrati ed eseguiti, marcando in maniera netta la bravura tecnica di questi ragazzi (basta dare un occhio a tutti i contest a cui hanno partecipato, vincendo).
La loro musica ricorda, in alcuni brani come ad esempio Just In Time, traccia numero uno, la musica dei The Rapture con la dance punk che li caratterizza; ma non solo..
addirittura il pezzo successivo, Contact, ci catapulta nel pieno degli anni Ottanta , durante la quale il corpo non può fare a meno di ondeggiare al suo ritmo.

Avanzando nell’ascolto del disco ci troviamo in ambienti indie rock d’oltremanica, negli ambienti del grunge statunitense più puro, in quelli dello stoner rock californiano, tutti comunque caratterizzati dalla forte incisività della voce di Giuseppe che diventa quasi un ulteriore strumento musicale, sembrando il filo conduttore dei brani stessi.
Questa mescolanza di generi tutti condensati in dieci tracce di un unico album, risulta tutt’altro che fuorviante e confusionario; anzi, fa emergere il grande e ben riuscito sforzo da parte della band di non voler sottostare ai classici stereotipi che caratterizzano un genere musicale piuttosto che un altro.
Mi auguro davvero che i Dealma facciano la strada che si meritano di fare, perché di bravura ne hanno.

Spero che possano rientrare ne “i più fortunati di noi” di cui dicevo prima.

Perché se lo meriterebbero.

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UN FESTIVAL (ANTI) ALIENO ALTRE FORME DI VITA A SPAZIALE 2012 – TORINO

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L’alienazione è un tema forte in questi giorni su Rockambula (vedi la recensione di “Atterraggio Alieno” nell’apposita sezione) e dunque non poteva certo sfuggirci una delle principali rassegne di musica indipendente del Nord Italia che utilizza come slogan: “Io non alieno!” Ma attenzione a non cadere nel tranello: gli alieni non siamo noi che sosteniamo la musica, ma voi che vi alienate. Chiamateci pure presuntuosi e ridete pure di noi se volete, ma il cartellone di Era…sPAZIALE/EMERSIONE FESTIVAL 2012 (Spazio 211- Torino, dal 5 al 10 Luglio) non ha paura e non teme di certo la pigrizia e l’astensionismo.
Ecco i nomi on stage: Nouvelle Vague, The Cribs, Linea 77, Breton, Kurt Vile & The Violator, The Answer, Tre Allegri Ragazzi Morti, Perfume Genius, Fine Before You Came, 2:54, Lo Stato Sociale, Citizens, Titor, Foxhound, Venus In Furs (questi ultimi tre recensiti su Rockambula! andateli a cercare che meritano) e altri ancora.
L’edizione 2012 sarà caratterizzata inoltre dalla presenza di un palco B con programmazione pomeridiana, dove si esibiranno altre band e dj a cura del collettivo VOODU?. Ma il vero affare è la possibilità di accedere all’area concerti già dal tardo pomeriggio con uno sconto sul prezzo del biglietto. Segui gli artisti emergenti e hai pure una riduzione sull’headliner, cose dell’altro mondo!

Per il cast completo e informazioni: www.spazio211.com
Corri a Spaziale 2012 e non fare l’alieno!

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“Diamonds Vintage” Francesco De Gregori – Bufalo Bill

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A dispetto d’ogni re che ha il suo oro, d’ogni regina che ha il suo diadema,  il nostro “Principe” Francesco De Gregori, dopo Rimmel, vanta un suo secondo gioiello, Bufalo Bill, il disco della sua completezza e trasformazione nella maturità, che sebbene sempre refrattaria ad ogni confronto col mondo fuori, splende come un dispetto conto terzi fatto all’ingranaggio discografico mai come allora delineato al sensazionalismo della leggerezza commerciale di un “pop per tutti”.

E appunto  il successo commerciale di Rimmel trova un De Gregori spiazzato, sdoganato nelle classifiche modaiole, il mondo che lui ha sempre rifuggito a gambe levate, e da lì che vediamo il cantautore “rintanarsi” di nuovo nelle sue cripte espressive, culle di purezze e fecondità.

Il mondo di De Gregori è sempre una meravigliosa strana favola a parte, un ricco vocabolario di metafore, sillogismi e “mezze parole” che introducono nella profondità  – scambiata sempre per assurdità ermetica – dei personaggi, storie e scene che a grandi passi o gattonando, fanno andirivieni nelle sue straordinarie canzoni, nei suoi spaccati di sogno “fissati” in cristalli di poesia.

Con quel cantato anarchico, che non segue metrica o contrappunti, l’artista romano stria di venature agrodolci, amare e gigione le composizioni del suo spirito, le capovolge e le passa al setaccio del significato in cui mirare, fino ad estrarne solo il preciso distillato che occorre per ammaliare e avvelenare, di  piacere armonico, un qualsiasi palato in cerca di schietti aromi lirici.

Pulito da ogni retorica decadentista, il disco è una vera rivoluzione di parole e assemblaggi, sempre girovago nella buona semplicità e con quel pianoforte che viene a trovare casa tra le tracce per arrotondarne le curve e per stilizzare ancor più le direttrici sognanti dei cantos, delle immaginazioni e degli orizzonti, nuovi, che si vanno a definire.

Una lotta continua il dover scegliere la traccia o le tracce da mettere in un’ipotetica lista graduata di emozioni, veramente impossibile sacrificarne una per l’altra per decifrarne una linea d’arrivo diretta al cuore, tutto si amalgama nell’insieme e niente si stacca dal corpo caldo di queste dieci gemme d’autore; ci sono dischi ove è possibile, ma questo non è un disco, ma un poema gentile e malinconico di velluto e carta paglia senza prezzo, dove non ci sono avanzi o fondi di tessitura e dove la fantasia cede il passo alla realtà delle cose.

Quello che si può fare è un azzardato assaggio di infinitesimali gocce di rugiada poetica, come nelle illusioni borghesi dell’infanzia L’uccisione di Babbo Natale, nella metafora amarognola sull’espansione maledetta dell’America verso l’Ovest degli indiani Bufalo Bill, ispirata da “La ballata di Cable Hogue” film di Sam Peckinpah  o sulla “profezia” dei legami politici sporchi Disastro aereo sul canale di Sicilia, magari fermarsi nella coscienza che fa preghiera nella dolcissima Santa Lucia oppure riflettere sul dramma festivaliero del suicidio di Luigi Tenco Festival; ma un’avvertenza è d’obbligo, prima di assaggiare in pieno questo disco è sempre bene chiudere gli occhi e scordarsi di essere pesanti sulla terra, perchè il Principe non ama ritornare sui suoi passi una volta distribuiti con garbo ed eleganza i semi giusti per il germoglio di questi autentici “fiori di campo”, ha un carattere che non concede bis ma un cuore immenso come le note del suo filtro tra realtà e i poveri eroi di essa

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Black Capricorn – S/T

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Se qualcuno si salverà da questo ipnotico delirio non sarà certamente più lo stesso, welcome to the hell, benvenuti nel mondo oscuro, laido e sciamanicamente brutale dei sardi Black Capricorn, formazione mefistofelica che con le loro otto tracce che compongono l’omonimo lavoro, avanzano come una invasione aliena imperterrita a  risucchiare tutto e tutti, una macchina subdola che si lega a doom, stoner psichedelico e anni settanta ottenebrati da metedrina e simbologie sconsacrate, un album che degli inni oscuri su altari devastati ne fa panacea per i suoi rituali sonici, di sabbath e compressed loud.

Non è facile accontentare tutti gli aficionados del genere, specie in un settore sonico come il doom metal che è affollatissimo come una tangenziale all’ora di punta, ma il quintetto in questione si stacca dall’ondata continua per quella stranissima ossessione litanica che si espande e si ritira come un mantice sulfureo,  atmosfere dilatate tra Black Sabbath e Kyuss, Gream Reaper e Blitzkrieg che rappresentano meglio la forza, l’impatto di testa che questo caprone nero comunque lascia impronte e ferite prima, durante e dopo il suo passaggio sotto il lettore ottico.

Un disco dal passo rettile, lento, trascinato come una maledizione desertica dai riflessi black, un martellare lento e metodico di pelli e basso infinito, riff di chitarre pesanti e una voce che arriva come un eco dalle viscere intestinali del Balzebù di turno, queste le eccellenze che incedono nella tracklist, più che un ottimo biglietto da visita per una band luciferina al cubo che dal buio, cerca un posto al sole per poter finalmente vomitare contro tutti la sua magnetica rabbia e presentare i suoi demoni incompresi; otto masse laviche che con il riverbero mugghioso della Bestia per eccellenza “Perpetual eclipse”, la paranoia che cavalca l’onda nera degli amplificatori roventi “Il tamburo del demonio”, i pipistrelli Ousbourneiani che intrecciano voli maniacali in “10000 tons of Lava”, le abrasioni gotich-doom “The Maelmhaedhoc O’Morgair prophecy” e lo stupendo finale, meglio dire il cameo nero, di “Liquid universe”, ci fanno stimare un resoconto critico buono, dove non ci stancheremo di sottolineare una band che dal colore nero tira fuori una inestimabile classe di tonalità e distruzione come pochi.

Fatevi un giretto dentro questo disco, e buona permanenza nel vostro incubo migliore!

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Lamalora – S/T

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Fenoglio ed il post-rock gassoso, le langhe e le sovrapposizioni dirompenti dei Lamalora, band del cuneese che del silenzio rumoroso e delle sue emanazioni stilistiche alimentate da una certa psichedelica come carburante ne fa gioco forte del suo istinto musicale, della sua espressione fagocitante, come un buco nero che assorbe, istiga e mette in mostra un mondo capovolto dalla consistenza della fuliggine.

Non solo giri post-rock ma anche soprassalti progressive che vanno a gestire una dinamica totale che non stanca l’ascolto, otto tracce in sequenza infettate da quella volontà di sperimentare, smaniare e da fare confluire in una dimensione rigogliosa di suoni, atmosfere e logiche intrecciate, ma con il comune denominatore di non rimanere – per quello che è possibile – derivative dagli imprescindibili “giretti d’attingimento” che molti usano e abusano; il lavoro dei piemontesi è calibrato, ben definito dentro un’estetica fluttuante che disegna certi ologrammi immaginari di Zawinul o Curved Air, quei pads sensoriali che avanzano per sottoporre l’ascolto al rito dell’ipnosi “Le grandi M”, nelle liquidità placentari “Masticare con lentezza” o magari nei landscape organici di una latinità embrionale “Cosa ti ha ridotto a un colabrodo”, tutto gira come una macchina rifinita tra essenzialità e dispersioni programmate, un disegno e scrittura che si ritagliano una propria identità precisa che va ben oltre i suoni di nicchia, avvicinandosi verso quegli ambiti artistici molto più abitati dagli ascolti.

Bassi compressi, chitarre slogate, pelli tremule che coronano una predilezione di gruppo per l’arte ora dissonante, ora rettilinea dai mille cromatismi e dalle altrettante indulgenze verso quel “cosmique” settantiano che dalla Germania degli acidi neri o micro punte arrivava a lambire i deliri di un oriente a portata di mano “Il fiume Yassin (Fine della fiera)”; i quattro magnifici quattro dei Lamalora e Fenoglio come formulario di base per questo stupendo trip, compaiono meravigliosamente illogici e spaventosamente intellettivi dentro un piccolo capolavoro quasi quasi da collezionare. Ghost  track compresa!

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LUMINAL guarda il video di Grande madre Russia

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Dopo “Canzoni di tattica e discipina” (2008) e “Io non credo” (2011) si avvicina il nuovo album per la band romana, anticipato da un video live: “Grande madre Russia”, in cui vengono sbeffeggiati con un colpo solo il turismo sessuale e l’ideologia approssimativa radical chic da centro sociale, appannaggio anche di una buona fetta della cultura alternativa italiana.

Il nuovo album segnerà anche una svolta per la band, che in seguito ad un cambio di formazione radicale diventa un trio composto da basso batteria e voce, abbandonando completamente le chitarre. I testi da visionari ed ermetici diventano crudi ed immediati.

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