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LUCA LOIZZI: in radio con il singolo “QUANDO MENO TE LO ASPETTI”

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“Quando Meno Te Lo Aspetti” è il primo singolo del cantautore pugliese Luca Loizzi estratto dall’omonimo disco d’esordio firmato dalla Tarock Records e promosso con il sostegno di Puglia Sounds

Luca Loizzi, per anni insegnante di lettere a Milano nel 2011 chiede ed ottiene il trasferimento al Sud, ora vive e lavora in Puglia, per quello strano fenomeno che alcuni chiamano “migrazione inversa”.
La sua ricetta musicale è ispirata dal vecchio e nuovo cantautorato francese, da Brel a Brassens, da Benabàr a Vincent Delem fino alla scoperta di Giorgio Gaber e di Nanni Svampa.
Oggi al suo esordio discografico con un disco omonimo in uscita il 30 Maggio per Tarock Records, promosso con il sostegno di Puglia Sounds.
In rotazione radiofonica in questi giorni con il primo singolo estratto dal titolo “Quando Meno Te
Lo Aspetti”, brano che rappresenta al meglio la scrittura dell’autore: una ballad in cui echi folk si intrecciano ad ironiche invettive nello stile tradizionale della canzone d’autore.
Registrato tra gennaio ed aprile del 2012 presso gli Studios LaVilla24 (Biscceglie/Trani) dal produttore Beppe Massara ed arrangiato dal chitarrista Nico Acquaviva, il disco rappresenta il frutto di una lunga collaborazione iniziata già nel 1998. I nove brani di cui si compone l’album, sono ispirati principalmente alla tradizione cantautorale italiana e francese nella sua versione più ironica e satirica, e rappresentano le tante e diverse anime dell’autore: le citazioni colte e letterarie si mescolano a metafore ardite, espressioni gergali, ricercati “non-sense” o idiomi stranieri che estrapolati spesso dal proprio contesto originario, creano così più livelli di comprensione e un “melting-pot” linguistico volutamente sarcastico e provocatorio, raccontando l’Italia di oggi decadente, ambigua, psicotica, ma pur sempre romantica.
La struttura minimale della composizione, pensata principalmente per voce e chitarra, si arricchisce di arrangiamenti diversi per ogni brano e di sonorità internazionali: swing, blues, folk e jazz latino caratterizzano le canzoni conferendo ad ognuna una propria identità, seppure esse trovino elemento di coesione nella peculiare scelta dello scat vocale nei ritornelli come nelle strofe e nel personalissimo stile cantautorale dell’artista.
La presenza di musicisti di primissimo piano non ha implicato necessariamente l’adozione di tecnicismi solistici nella struttura degli arrangiamenti che, al contrario, restano meno elaborati così da sottolineare le sonorità acustiche e favorire l’aspetto lirico dei brani.
Il disco alterna ballads a brani con andature veloci e ritmate e ad altre ancora, lente e cadenzate con improvvise accelerazioni.
L’Artwork del cd in digipack lucido, riproduce una tela di Dario Agrimi e ritrae Luca Loizzi in una posa classica ispirata all’iconografia tipica di “Orfeo” così da favorire l’impressione d’avere un mini-quadro fra le mani.

TAROCK Records – on FaceBook
http://www.facebook.com/associazionetarock

Questo album CD – “LUCA LOIZZI” – è promosso con il sostegno del P.O. FESR PUGLIA 2007/2013 ASSE IV – PUGLIA SOUNDS

ufficio stampa
PROTOSOUND POLYPROJECT – www.protosound.net

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Doriana Legge – La lista di cose belle

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Quando ti arriva da recensire il progetto di una giovane donna, italiana, con l’ambiziosa peculiarità di cantare nella sua lingua e non nel solito inglese posticcio che maschera carenza di contenuti, non puoi che esserne felice. Se musicalmente, poi non ti tocca ascoltare il solito cantautorato femminile poppeggiante, ma qualcosa di più aggressivo e rock (e quindi più nelle tue corde), puoi pensare che sia il tuo giorno fortunato.

Trent’anni, abruzzese, già voce e chitarra dei Queer Dolls (formazione alternative rock attiva del 2005 con alle spalle numerose esibizioni live e un demo autoprodotto intitolato “La sindrome di Cassandra”).

Ecco Doriana Legge alle prese col suo progetto solista, un Ep di cinque tracce tutte rigorosamente cantate in italiano, con arrangiamenti che spaziano dall’elettronica al rock.
La realizzazione tecnica dei brani è assolutamente impeccabile: si può dissentire sulla scelta di lasciare indietro la voce, completamente sovrastata dagli strumenti, ma questa è, a mio avviso, la primissima cifra stilistica che si palesa all’ascoltatore. Altro elemento assolutamente distintivo che emerge è il timbro. Personale, per quanto rischi sempre di rasentare il già sentito, caratterizzato da un mix di calore e glacialità, di distacco e freddezza, ma anche di carezze avvolgenti.
Doriana non ha una grande estensione (o se ce l’ha, sicuramente non punta su quella in La lista di cose belle), né si lascia andare a vocalizzi o momenti di virtuosismo: le linee melodiche sono semplici e molto spesso rasentano il parlato. Le tematiche affrontate, purtroppo in modo neppure tanto originale, sono le solite: l’amore in primo luogo, naturalmente malato o per lo meno causa di dolore e l’incertezza dei nostri giorni.
Palinsesti, in apertura, è forse la canzone più particolare sul piano musicale: dissonanze piuttosto forti che sembrano accoglierci nel mondo della cantautrice, mostrandoci ambienti fumosi e colori desaturati, su un tappeto musicale insistente, ipnotico, di matrice elettronica, che continua ideologicamente anche in Scambisti alla deriva. Decisamente più scura è Frank, con distorsioni piene e calde che troviamo anche nella successiva Per un nuovo ecosistema. Chiude l’Ep La memorabile resa (dei conti), che sin dalle prime note dichiara il suo debito fortissimo con Carmen Consoli: la cantantessa è sicuramente la stella polare di Doriana, come si poteva notare anche nei brani precedenti, soprattutto per la costruzione delle linee melodiche della voce, ma in questa brano anche la costruzione testuale, certi termini impiegati, la dirompente femminilità vendicativa rievocano prepotentemente la catanese.
Non mancano spunti vocali imputabili più a Paola Turci (soprattutto la strofa di Palinsesti) o a Irene Grandi (Frank e Per un nuovo ecosistema), in un’alternanza di trasparente pulizia vocale e graffiante incisività.

Doriana Legge ha una bella voce, lontana dagli stilemi del belcanto leggero della musica italiana, e vanta ottime intuizioni per quanto riguarda gli arrangiamenti, ma si sente la mancanza in ogni traccia di un elemento orecchiabile, che comunichi direttamente con la componente più intima e pulsionale dell’ascoltatore e che non richieda di essere filtrato, capito, metabolizzato. Manca un vero ritornello insomma. E manca, soprattutto, un po’ di originalità, il quid che renda le sue canzoni capaci di comunicarci davvero qualcosa che non sia già stato detto da altri.

 

 

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Time to react – Goodbye romantics

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Questi quattro ragazzi hanno davvero energia e cuore da vendere e come dei novelli The Strokes mettono subito in chiaro che con la musica ci sanno fare, emulandoli in uno stile che a volte ricorda pure un po’ il Bruce Springsteen dei tempi migliori (quello di “The river” o di “Nebraska” per capirsi).

Tuttavia nel disco ci mettono molta farina del loro sacco ed ecco quindi che l’opening “The most important thing” impressiona già dalle prime note per la qualità dei suoni e l’originalità degli arrangiamenti (potrebbe persino a tratti farvi scatenare mentre l’ascoltate!).
Sicuramente meno intensa ma non per questo meno valida è “Play the game” che rievoca i fasti anni ottanta dei The Alarm pur essendo caratterizzata da una voce che però differisce molto in stile e timbro da quella di Mike Peters.

“Back in wight” (errore nel titolo?) inizia invece in maniera pacata per poi animarsi grazie a tastiere trascinanti che sovrastano il resto degli strumenti (ma diciamocelo, la cosa non è spiacevole, anzi!e chi lo dice che nel rock le tastiere debbano sempre essere sottotono?)e per poi concludersi con un’aggraziante chitarra.

“Damn me” è un vero e proprio inno alla gioia al contrario del titolo e a mio parere è forse l’episodio migliore di questo lavoro.

“Human falls” andrebbe forse un po’ ritoccata nei cori all’inizio ma per il resto funziona abbastanza bene, soprattutto nel ritornello in cui vi sembrerà che a cantarla sia Chris Martin dei Coldplay.

“Somebody left” è l’asso nella manica, che come farebbe un buon allenatore di calcio che gioca il suo jolly a metà partita, appare a far da spartiacque a questo disco.

La seguente “Dark in my soul” infatti è molto più calma delle altre tracce, una vera e propria ballad oscura, che sembra essere uscita dalla penna di Eddie Vedder dei Pearl Jam o addirittura dal padrino del grunge Neil Young, che sembra influenzarli molto anche nella successiva “Cry no more”, dal sapore a tratti anche country.

“Happiness” (felicità) è un titolo molto indovinato per una canzone che se fosse uscita ai tempi di “Mmm mmm mmm mmm” dei Crash Test Dummies avrebbe potuto tranquillamente potuto dare filo da torcere al gruppo canadese folk-rock originario di Winnipeg.

“Untitled” avvia l’ascolto quasi alla conclusione coi suoi quattro minuti dolci e malinconici, ma “Disarmed” è la giusta e degna fine di questo album che potrebbe avere fatto scovare gli eredi di Coldplay e Gomez.

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Antidoto Alla Noia – S/T

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Dalla bergamasca il suono arrogante e carnivoro degli Antidoto Alla Noia, combo molto versato alla sincerità del “motherfuckers” e agli arrembaggi sonici del loro – così definito – Busty  Pov Rap Core, una forma di rap-metal dai ritmi sincopati e schizofrenici nel quale si riversano tutte le rabbie e le convulsioni riottose degli anni 90 grind e le assenze alterate delle destrutturazioni armoniche Los Angelesiane del tempo.

Dieci tracce – in lingua ed in inglese – che spaccano devote soluzioni e mistificazioni, tutto è diretto come un’ upper-cut sui denti, un diretto ripartito che suggerisce disgusto, disillusione, bava e sangue, tutta la “metallocopea” che ancora impera in maniera forzosa e sfarzosa a tutti i livelli “incazzati veramente” del rock sopra le righe e, con tutta sincerità gli AAN ci vanno giù sul serio, fuori dalle approssimazioni modaiole, dentro uno spessore amplificato che riesce nel suo intento di far tremare e sudare come tante realtà metalliche sopra il parallelo della Uppsala Svedese; indubbiamente belva da palcoscenico, la band vive in un estremismo sonoro che tra RATM e psicologiche deviazioni d’attacco alla Urban Dance Squad, concentra tutta la “rozzezza” in un manifesto artistico di apocalittica realtà, in quella infernalia ossessa di mid-impegno e riscatto che disturba – per linea diretta come un grumo di sangue razziale – il bempensante orco della società da sottomettere, fregare e intontire.

Il disco omonimo di questa formazione-panzer è viscerale e senza mediazioni, un pogo continuo di urlo, screamo e vene spappolate che inveisce col rap-funk molto RHCP di “Dalla roccia”, si fa forte e in collisione frontale con l’acid-metal dei PanteraSuonano a morto”, “I lupi sono in città”, arranca nell’epicità del doppio pedale “Che il vento vi disperda” fino a spanciarsi nel basso che ulula la sua forma negligente di semplice ricamo sonoro “33 Giri graffiato”; un disco che imposta molto bene la propria personalità, la propria visione immediata di innalzare il nichilismo a livello di battaglia e che comunicare – a bombardamento serrato –  la sua analisi sui nostri maledetti giorni, non è altro che il vivere, morire e rinascere attraverso l’arte del loud anarchico, magnificamente fuori regola.

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“Diamonds Vintage” Eugenio Finardi – Sugo

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Sugo di Eugenio Finardi è stato l’album della giusta carica  in un anno teso e difficile. Un 1976 insanguinato dalle Brigate Rosse, sporcato dallo scandalo Lockead e bloccato da una crisi petrolifera che opprimeva  una già deleteria situazione sociale di conflitto sindacale. Un giovane capellone italo-americano munito di una voce di grazia gentilizia impugna la sua chitarra e, dopo un album già edito dalla Cramps nell’anno prima “Non gettate alcun oggetto dal finestrino” e prodotto dall’amico Alberto Camerini, riversa nelle piazze e nelle allora Radio Libere questo disco di rock e filettature jazz-prog che oscura per un lungo periodo tutte le scremature cantautorali che in quel dato momento si rifacevano alle poetiche esterofile e lontano dalla realtà contingente. Finalmente qualcosa di lotta scorrevole e testualità aderente, che riporta in vita la necessità di sognare e nel contempo di svegliarsi dal torpore fatalistico. Inno della gioventù con la sua Musica Ribelle, Finardi con le tastiere, il basso e chitarra del trio Fariselli, Tavolazzi e Tofani degli Area e due amici della sua band giovanile Il Pacco cioè Camerini alla chitarra e Walter Calloni alla batteria, denunciava con il sorriso di “un nuovo cantautore” l’urgenza di far sapere a tutti quello che a tutti era nascosto, la voce di una generazione che non voleva stare al gioco; e la cosa funzionò a dovere e una sorta di manifesto liberatorio cominciò a girare tra gli sconfitti del sistema  che rialzarono la testa per guardare negli occhi il demone da combattere. Non canzoni di lotta, ma canzoni alla portata di tutti, cantabilissime, gioviali e pensierose, ma con tutta la sostanza di colore in un buio pesto. Contraddistinto da una loquacità inverosimile, Sugo è una linea di confine tra rock, canzoni di amore e per l’appunto dettagli tecnici progressive che in quell’anno di grazia – sull’onda dei grandi suoni che arrivavano dall’Inghilterra – cominciavano a volare di moto proprio Quasar . La creavità , la “Fantasia al potere” bussava forte in quei frangenti e canzoni come La radio, La C.I.A. e Sulla strada aprirono un varco di novità assoluta, un nuovo progetto di “cantautorare” la vita reale senza ricorrere – come era stato fatto fino allora – ad impeti di prolissicità testuale politicizzata né slogan d’arrembaggio. Ma è purtroppo una carica questa di Sugo destinata ad esaurirsi già con il successivo album Diesel, dove Finardi non saprà più replicare, se non cedendo alle lusinghe del pop, la voglia di esserci e contare tutte “quelle facce da bambino e i loro cuori infranti”.

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NoMoreSpeech

Written by Interviste

Ecco che sulle pagine di Rockambula approdano anche i NoMoreSpeech, la nuova band di Alteria, l’ affascinante conduttrice di programmi in onda su Rock TV, Rai 5 e Rock’n’Roll Radio, nonché membro dei Rezophonic. Nella seguente intervista conosceremo meglio il gruppo mettendo a fuoco anche alcuni interessanti retroscena.

Ciao Alteria e benvenuta su Rockambula. Anzitutto perché non ci dici come è nato il progetto NoMoreSpeech?

Alteria: Ciao, ci siamo formati tra il 2006 e il 2007. Io e il bassista suonavamo già insieme e in poco tempo abbiamo trovato batterista e chitarrista per andare in giro a fare serate. E infatti abbiamo iniziato subito con tanti concerti. Poi durante una prova in sala è saltato fuori il nostro primo pezzo composto da noi (Picture of Gold) quasi per caso da una ritmica jungle che il batterista stava provando…e da lì è partito il tutto.

Riguardo al vostro omonimo cosa ci dici, dove è stato registrato e soprattutto come si sono svolte le varie fasi di mixaggio e registrazione?

Alteria: Il disco lo abbiamo registrato, mixato e fatto il mastering ai Massive Arts Studios di Milano nel quale abbiamo passato 15 giorni praticamente giorno e notte a registrare prima e a fare il mix poi….una specie di tour de force piuttosto impegnativo ma che ci ha dato tante soddisfazioni!!! Il disco abbiamo cercato di farlo suonare piuttosto live e caldo e “di pancia” senza trastullarlo e editarlo troppo in post produzione…e ci piace assai così… L’unico pezzo che non abbiamo fatto al Massive è Picture of Gold che avevamo registrato in precedenza da altre parti e poi mixato al Massive e fatto il mastering a Los Angeles.

Chi si occupa dei testi e di cosa trattano?

Alteria: Dei testi mi occupo interamente io. Parlo di esperienze e riflessioni personali in modo piuttosto diretto cercando di renderle condivisibili e universali.

Sei una ragazza dalle mille risorse  oltre che super attiva ma riesci a dividerti il lavoro tra i NomoreSpeech, i Rezophonic, Rock TV e la radio?

Alteria: Diciamo che sono sempre iper attiva….tra i tanti concerti fortunatamente, la televisione (Rock TV e RAI5) e la radio (rocknrollradio) sono sempre in giro! La mia prima e più forte passione è la musica e ovviamente cantare e stare su un palco…in tv ci sono finita quasi per caso…

A tuo parere Rock TV ha influito sul vostro successo?

Alteria: Intanto non parlerei di successo…non facendo un genere così commerciale e non essendo un gruppo mainstream i canali sono pochi e la visibilità è ridotta. Diciamo che di concerti ne abbiamo sempre fatti tanti e speriamo sia sempre così, ormai i live sono quasi l’unica risorsa per una band che vuol promuovere la propria musica. Il mio lavoro a Rock TV mi ha sicuramente dato una certa visibilità anche se alla fine essendo un canale a pagamento è diffuso fino a un certo punto. E spesso questa cosa è un’arma a doppio taglio per chi ascolta rock…è facile dire “ah, è quella di rock tv…si è messa pure a cantare…” e magari sei più conosciuta in un certo ambiente come “quella che lavora in tv” quando è il contrario, nel senso che canto e giro i palchi di tutta Italia da una decina di anni e la tv è arrivata molto dopo. Quindi ci possono essere pregiudizi rispetto al mio lavoro di cantante che magari è visto come secondario o un qualcosa che faccio solo per hobby…

Che emozione provaste quando suonaste sul palco dell’ Heineken Jammin Festival?

Alteria: Tanta. A parte la cornice e la vetrina importante, era la prima volta che suonavamo dal vivo molti brani che poi sono finiti sul disco quindi ci tenevamo particolarmente. E direi che non poteva avvenire in un posto e in un momento migliore!

Un po’ di tempo fa vidi un vostro show a Napoli, al Sea Legend di Pozzuoli. Un grande show veramente ma tu ti aspettavi tutte quelle persone?  Nel vostro minitour, in quale città siete stati accolti con più “calore”?

Alteria: Diciamo che ci sono delle realtà, dei locali e dei festival che sono vivi e interessati alla musica dal vivo ed è sempre un piacere, anzi una goduria…., esserci e parteciparvi! Al Sea Legend ci siamo divertiti molto, la gente ha reagito alla grande e speriamo di tornarci presto…magari quest’inverno! In questa tranche di date ci siamo sempre divertiti e ovunque la gente ci ha accolti alla grande, che è la cosa più importante quando sei in giro, sentirti a tuo agio sopra e sotto il palco! Al sud per ora abbiamo girato poco (Latina, Napoli, Bari) ma vorremmo quest’inverno tornare e girare un po’ di più, il calore è tanto!

E invece del video “Think or Feel” cosa ci dici, chi si cela dietro questo lavoro? Infine avete intenzione di girarne un altro?

Alteria: L’idea è nata da me e Nando (bassista) l’estate scorsa in spiaggia…Lui aveva visto la location (piuttosto particolare, un albergo in disuso piuttosto vintage e rimasto come 40 anni fa) e da lì siamo partiti a scrivere il soggetto e poi la sceneggiatura. Anche la produzione, anche esecutiva, anche è opera nostra. Il lavoro è stato poi svolto in una intera giornata da ottimi professionisti e  grandi amici che si sono prestati alla causa! Ora stiamo valutando se girare un altro video (piuttosto informale e un po’ “fuori” dagli schemi sta volta….) solo per diffusione virale su web senza promuovere il brano come singolo quest’estate oppure aspettare settembre-ottobre e uscire con altro signolo e video…si vedrà!

Nei prossimi giorni dove suonerete?

Alteria: Ora siamo una attimo fermi, abbiamo qualche data sparsa ma non un vero e proprio tour. Per quello riprenderemo probabilmente a Novembre, per adesso in ballo abbiamo qualche progettino e impegno.

Bene Alteria, l’intervista si chiude qui, concludi come meglio ti pare…

Alteria: Intanto grazie mille per l’intervista e un saluto a tutti i ROCKAMBULARI….e speriamo di tornare dalle vostre parti live! Vi faremo sapere, come nei colloqui!!!! STAY ROCK

 

 

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GREENPEACE con ADRIANO BONO E I MEGANOIDI

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“UN SINGOLO DI DENUNCIA AL CARBONE DI ENEL”

ROMA, 29.05.12 – Un concentrato di ska, rock e reggae, frasi di denuncia e un killer del clima dall’anima nera come il carbone. Sono gli ingredienti di “È nell’aria”, l’ultimo lavoro musicale di Adriano Bono nato dalla collaborazione con la campagna www.Facciamolucesuenel.org di Greenpeace. Il singolo, prodotto insieme alla Torpedo Sound Machine e che vede la partecipazione dei Meganoidi, lancia in musica un messaggio inequivocabile: Enel è la prima azienda in Italia responsabile dell’uso del carbone, la fonte più dannosa per il clima e la salute dell’uomo.

«La musica è un megafono potente, e una singola canzone può superare le censure e arrivare molto lontano. Quando Greenpeace mi ha chiesto di dare un contributo alla sua campagna per la salvaguardia dell’ambiente e della nostra salute, ho subito accettato con entusiasmo. – spiega Adriano Bono – Forte dell’esperienza di ‘Artisti Contro il Nucleare’, sono convinto che gli artisti debbano essere in prima linea in queste battaglie di civiltà e democrazia. Venerdì primo giugno al Piazzale del Verano a Roma, ci sarà un grande spettacolo live con la Torpedo Sound Machine e molti altri ospiti. Gireremo le riprese per la realizzazione del video-clip della canzone. Chiunque è interessato può partecipare e farne parte».

La campagna www.FacciamoLucesuEnel.org, partita lo scorso 29 marzo, vede Greenpeace impegnata in un’investigazione a trecentosessanta gradi sui danni e i costi che il business del carbone di Enel infligge al nostro Paese. Gli impatti ambientali, climatici e sanitari dell’energia prodotta dall’azienda utilizzando il carbone sono altissimi: 366 morti premature nel 2009 e danni stimabili dell’ordine di quasi 1,8 miliardi di euro in quello stesso anno. E questa è solo una parte dei risultati pubblicati da Greenpeace nel rapporto “Enel, il carbone costa un morto al giorno” [1].

«La canzone di Adriano Bono è un modo molto coinvolgente per esprimere un atto di denuncia chiaro e forte: il carbone uccide il clima, distrugge l’ambiente, fa ammalare le persone. Enel usa quella fonte killer per produrre, in Italia, quasi metà della propria elettricità. Dire basta a tutto questo è un atto di coraggio imprescindibile, anche in musica. Per questo Greenpeace è davvero grata a Bono e ai Meganoidi che l’hanno affiancato» – afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Con i suoi piani di investimento nel carbone, Enel rappresenta un ostacolo alla rivoluzione energetica di cui l’Italia ha bisogno. Per questo Greenpeace chiede all’azienda la progressiva eliminazione della produzione elettrica da carbone entro il 2030 e la sua sostituzione con energie rinnovabili.

Adriano Bono e Greenpeace presenteranno live il singolo “È nell’aria” al concerto del 1 giugno a Roma. Ore 21, piazzale del Verano – zona San Lorenzo.

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FASANO JAZZ ’12 – XV EDIZIONE

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Entra nel vivo lunedì 4 giugno 2012 il Fasano Jazz 2012: dopo le prime due serate all’aperto si passa al Teatro Kennedy, storica e amata location del festival. Annunciato da tempo e atteso con grande curiosità per la sua prima partecipazione fasanese, Paolo Fresu purtroppo non sarà presente: il popolare trombettista ha annullato numerosi concerti per motivi di salute e sarà in convalescenza presumibilmente fino all’8 giugno. La terza serata del Fasano Jazz è comunque confermata, il Teatro Kennedy sarà la sede di uno splendido concerto all’insegna del giovane jazz italiano.

Dopo le prime due serate all’insegna di varie proposte blues, rock e jazz, arriva al Teatro Kennedy l’inarrestabile performer vocale Boris Savoldelli. Già ospite di successo nell’edizione 2009, il bresciano è uno dei più affermati sperimentatori della voce internazionali degli ultimi anni: autore di fortunati tour stranieri, aprirà la terza serata con i brani dei suoi album Insanology e Biocosmopol itan, pubblicati dall’americana Moonjune e orientati alla fusione jazz, pop, funk e soul, con gli inconfondibili giochi vocali ai loop.

In chiusura Fasano ospita il nuovo progetto di due “young lions” del jazz nostrano: Giovanni Guidi e Gianluca Petrella. Il primo, giovanissimo pianista di Foligno, è diventato un nuovo punto di riferimento per il pianoforte in Italia. Classe 1985, Giovanni Guidi ha guadagnato grande notorietà grazie alla collaborazione con Enrico Rava, che dice di lui: “Quando intuisco le doti di un giovane,lo coopto subito. Ma non è altruismo, mi diverto molto a suonarci. Vivendo in divenire ho bisogno di essere sorpreso e Giovanni Guidi è come Bollani e Petrella: mi stupisce ogni volta”. Guidi è anche membro della Cosmic Band di Gianluca Petrella, una delle compagini più originali e autorevoli del jazz europeo, vincintrice più volte del Top Jazzcome formazione dell’anno. Il leader Gianluca Petrella non ha certo bisogno di presentazioni: il trombonista barese (1975) in poco tempo è diventato uno dei protagonisti del panorama jazz mondiale grazie a una notevole discografia e a collaborazioni importanti anche al di fuori del jazz. A Fasano i due proporranno uno spettacolo per pianoforte e trombone che desterà stupore e sorpresa.

Dall’1 al 9 giugno 2012 lo storico appuntamento di Fasano Jazz propone il meglio del jazz italiano e internazionale con un’attenzione speciale a contaminazioni varie. Per festeggiare 15 anni di attività la direzione artistica guidata da Domenico De Mola (con la preziosa collaborazione tecnica e amministrativa dell’Associazione Le Nove Muse) punta a una durata più lunga: Fasano Jazz 2012 presenta ben sei appuntamenti, fortemente voluti dall’Amministrazione Comunale – Assessorato alle Attività Culturali. Per la quarta serata, mercoledì 6 giugno, l’atteso tributo ai Pink Floyd con i FluidoRosa.

Gli altri appuntamenti:

Mercoledì 6 giugno 2012
Teatro Kennedy
ore 21.00
5 Euro

FLUIDO ROSA: ‘A HOMAGE TO PINK FLOYD’

Gabriele Marciano: voce & chitarra acustica
Maurizio Perfetto: chitarre
Danilo Cherni: tastiere, programmazione, cori
Adriano Lo Giudice: basso
Derek Wilson: batteria
Roberta Lombardini: voce
Cristiana Polegri: sassofono & voce

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Giovedì 7 giugno 2012
Nuovo Teatro Sociale
ore 21.00
5 Euro

MICHIEL BORSTLAP solo

feat. ROBERTO GATTO
– esclusiva per Fasano Jazz 2012: unica data internazionale –

first set
Michiel Borstlap: pianoforte

second set
Michiel Borstlap: pianoforte
Roberto Gatto: batteria

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Sabato 9 giugno 2012
Teatro Kennedy
ore 21.00
10 Euro

AREA INTERNATIONAL POPULAR GROUP

feat. MARIA PIA DE VITO

Patrizio Fariselli: tastiere
Paolo Tofani: chitarra
Ares Tavolazzi: contrabbasso & basso elettrico
Walter Paoli: batteria
Maria Pia De Vito: voce

Direzione artistica:
Domenico De Mola

Mediapartners:

JAM: http://www.jamonline.it
Drumset Mag: http://www.drumsetmag.com
Dusk: http://www.dusk.it
L’Isola della Musica Italiana: http://www. lisolachenoncera.it
Jazzitalia: http://www. jazzitalia.net
MovimentiProg: http://www. movimentiprog.net
SpazioRock: http://www. spaziorock.it

Informazioni:

cultura@comune.fasano.br.it
Tel. 080-4394123

Fasano Jazz:

Fasano Jazz 2017

Synpress44 Ufficio Stampa:
http://www.synpress44.com
E-mail: synpress44@yahoo.it
Tel. 349/4352719 – 328/8665671

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Titor – Rock Is Back

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Una bella DeLorean d’epoca, flussi canalizzatori e scienziati spettinati che sudano in laboratorio per infrangere la barriera spazio tempo. Un bel trip alla Marty McFly per vedere cosa capita nel 2036. Sforzo neanche esagerato, solo una ventina d’anni. Per vedere se davvero un gruppo di disadattati, neanche troppo giovani, con un logo da b-movie horror e la pretesa di riportare (anzi addirittura la convinzione di aver già riportato) in vita il rock’n’roll potrebbe essere considerato la nuova icona per orde di ragazzini neo-punk in licei sempre più ammuffiti e decadenti.

E così nel 2012 a Torino arriva un disco dal futuro, intitolato profeticamente “Rock Is Back” e firmato da una band che sembra proiettata al passato e pare sfogarsi con tutto ciò che gli sta attorno, partendo da se stessi per passare ai disagi che accomunano gli abitanti dello stivale: mass-media, società, economia e a questo punto perché non sfogarsi anche un pochino sul tempo tiranno che sta cambiando. Frivoli e strafottenti. Menefreghisti nel contorno ma attenti al contenuto, molto attuale (e amplificato nel loro futuro prossimo).
Echeggia un nome imponente e granitico come la loro musica: signore e signori questi sono i Titor. Paradossali, proprio come la loro principale fonte di ispirazione: John Titor, che qualche anno fa spopolò sul web per i suoi racconti di viaggi avanti e indietro nel tempo (un suo racconto narra appunto di epiche catastrofi nel 2036).

La storia si ripete già dal riff “sega-elettrica” del primo pezzo di questo album, che giusto per iniziare a metter i paletti si chiama proprio “Dal 2036”. Ma altro che 20 anni avanti, qui veniamo buttati 20 anni indietro. La DeLoreoan sbaglia marcia e mette la retro: sembra di tornare nei gloriosi anni 90. Gli anni in cui giravano cassette dei Derozer o dei Persiana Jones, o addirittura gli 80 in cui impazzavano Negazione e Raw Power nei primi centri sociali. L’anima della musica di strada è sempre quella. Effettivamente questo rock’n’roll tiratissimo puzza di Italia più della maggior parte del pop in circolazione. Se poi andiamo a guardare i protagonisti di questa furiosa e divertente banda si ha la convinzione di aver proprio sbagliato il verso della rotta: Sabino Pace, voce ed ex-Belli Cosi (per altro tastiere dei “folk destroyers” Treni all’Alba), la chitarra di Sandro Serra e la batteria di Giuseppe Azzariti direttamente dai Distruzione e il basso di Francesco Vittori dei Sickhead. Insomma un supergruppo hard-core, citiamo pure gli Audioslave, ma affogati in un bagno di barbera.

La differenza da tutti i supergruppi (costruiti?) che fino ad ora ho sentito è però una sola: la spaventosa unione. Il sound di questi quattro è coeso, duro e roccioso, una formazione devastante che sfonda il muro tra rock e punk hard-core. Nulla di nuovo certo e per alcuni versi anche ripetitivo, ma creato con grande maestria, esperienza ed con l’onestà di chi ha ancora qualcosa di concreto da dire. La propensione alle sonorità oltre oceano di Danko Jones e At The Drive In è ben tenuta a bada da un forte guinzaglio e da piedi ben puntati in terra sabauda, e qui brillano i nomi di Linea 77 (produzione e promozione dell’album sono a cura di INRI, etichetta discografica di Paolo e Davide Pavanello, chitarra e basso della storica band crossover piemontese), oltre ad una magistrale (ed ennesima) prova in regia dell’ex-“casasonico” Gianni Condina, già dietro al banco con Subsonica e Velvet.

I brani hanno il sapore di apocalisse e di profezie come in Duel (“tanto vi estinguerete, attenderò il disastro”) di rabbia proletaria (e non giovanile per fortuna data l’anagrafe dei quattro) in Generazioni (“non credo ai vostri inganni, non voglio più risposte, ingoio la mia rabbia tra viscere nascoste”) musica per disadattati veri in Titor Is Dead (“su Rai1 c’è la Miss, io tra poco ascolto i Kiss”). Immediatezza e spontaneità che racchiudono in modo un po’ naif e sempliciotto il senso di aver perso anche gli ultimi sogni, a cui ci aggrappavamo così saldamente.
La voce di Sabino ti perfora i timpani e esplode in aggressione pura e non sfigura quando viene affiancata al collega Nitto (Linea 77) nella furente Calvario. Qui i due si fondono tipo Super Sayan e nel ritornello ti sbraitano contro: “non è facile spingersi oltre, non è facile crederci ancora”; martellante come il peggior incubo ricorrente.
Da quanto ci dice il primo gruppo venuto dallo spazio, le cose non miglioreranno proprio. La profetica Generazioni ci sega le gambe: “nel tempo e nello spazio santifico il dolore”. Altro che musica per le future generazioni, in questo mondo il tempo è fermo, ghiacciato e non garantisce nessuna ma proprio nessuna speranza a noi e tanto meno a loro. Se non gridare più forte e fare del gran rock’n’roll.

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Devocka – La morte del sole

Written by Recensioni

Sempre perfetti – ultimamente prendono distanze dal loro animo da caos  – nel cristallizzare la loro natura assolutamente unica, i ferraresi Devocka  – mai gregari a nessuno  – in questo momento di morte apparente di molta musica pesante che seguita ad accecarsi per guardarsi l’ombelico e ripescare il ripescabile, escono con un nuovo squarcio sanguinante sugli scaffali della bella ossessione, “La morte del sole”, undici tracce che hanno controllo su tutto e specialmente su quei territori umidi e malati del post-rock, tra le melme della new-vave sui quali favoriscono il ribollio di un malessere doc che gioca il suo gusto sadico e apicale di firmare la dovuta distanza qualitativa da tutta la merda sonora che c’è in giro.

Un tempaggio d’ascolto che respira anni di musica ansiogena riassemblata eccellentemente, sottesa da una paranoia scura ed una poetica claustrofobica che Peter Greenway assoggetterebbe volentieri alla sua causa estrema, non da meno a certe riletture sferraglianti di Jesus Lizard che emergono nell’angoscia intellettuale di questa ottima tracklist;  hanno molti biglietti da visita sonori i Devocka, una caratteristica imprescindibile che li vede da sempre innescare una reazione a catena tra chi li segua da tempo, ovvero concettualizzare l’urlo e la gogna dell’anima non in un piegare la testa, bensì in un gonfiare di vene riscattanti e impegnate a sobillare la ripresa di una coscienza umana dal disumano pensiero, e credete, sono ed è musica che ti coagula il sangue per poi scioglierlo in uno schizzo senza ritegno.

Il disco è un teatro fosco, dove ombre e lampi strapazzano tribalità elettriche, quelle sensazioni da incubo indotto in cui le performance del vocalist Igor sono giaculatorie verticali di un Carmelo Bene ancor più allucinato nelle verità seminate, quel freddo torpore infernale dal sapor misticheggiante e noise che partendo dal basso de “Ultimo istante” e risalendo a random questa scala di peccati e tormenti, ti gela la schiena con i “magnificat” subdoli di “Morte annunciata dell’io”, ti schiaffeggia col senso parallelo dell’utopia sgolata “L’amore”, l’escalation di corde elettriche che si aggrovigliano nei sogni disturbati di “Questa distanza”, quel Robert Smith che fa capolino insieme a lontani CCCP in “Carne” per poi chiudere e sentirsi “poveri Christi schiacciati” tra i fendenti svisati e le pedaliere sgomitanti che “Tecnologici” ci regala come beffa sublime da subire, di rabbia da riscuotere.

Oltre Igor, Ivan e Bonus, i Devocka al completo, rimane lo spazio costante di un musicare l’allucinazione con tutti i crismi occorrenti, ed è un musicare da fuoriclasse, hanno tutto quello che ci vuole per portare noi in fondo all’abisso e loro per salire in cima ad un Olimpo maledetto.

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I Dinosaur Jr. al Neapolis Festival

Written by Senza categoria

Ritorna il Neapolis Festival, che per la sua sedicesima edizione ha deciso di macinare una manciata di chilometri extra per unire le forze con il Giffoni Film Festival, rassegna cinematografica giovanile di respiro internazionale
Il palco dello storico festival del sud Italia, ripropone ancora una volta un eccellente compromesso tra la storia del rock e le nuove promesse indipendenti, con un cast colorato ed internazionale.
Tra leggende del panorama rock mondiale (Patti Smith, Joan as Police Woman, Dinosaur Jr.), eroi nostrani (Caparezza, Il Teatro Degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti, Pino Daniele) ed eccellenti artistiindipendenti ( Is Tropical, I Used To Be A Sparrow, A Toys Orchestra, Giardini di Miro…)

ecco il cast!

Immagine Bloccata

14 Luglio
BRADIPOS IV + dj set cinematico
ingresso gratuito – inizio ore 21.30
15 Luglio
PINO DANIELE
ingresso € 15 + d.p. – inizio ore 22.00
16 LUGLIO
GIARDINI DI MIRO’ + TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
ingresso gratuito – inizio ore 21.30
17 LUGLIO
CAPAREZZA + CAPONE & BUNGTBANGT
ingresso € 15 + d.p. – inizio ore 21.30
18 LUGLIO
DINOSAUR JR. + IL TEATRO DEGLI ORRORI + AZARI&III
+ 2 gruppi selezionati dal contest Destinazione Neapolis
ingresso € 25 +d.p. – inizio ore 18.00
19 LUGLIO
PATTI SMITH + JOAN AS POLICE WOMAN + IS TROPICAL + I USED TO BE A SPARROW
+ 2 gruppi selezionati dal contest Destinazione Neapolis
ingresso € 25 +d.p. – inizio ore 18.00
20 LUGLIO
CLUB DOGO +
…A TOYS ORCHESTRA + EPO + YES DADDY YES
ingresso gratuito – inizio ore 21.30
www.neapolis.it

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IN FONDO A FRANCESCO-C

Written by Interviste

Tra i tanti ritorni del 2012 non poteva di certo scapparci questo.
Francesco Cieri, in arte Francesco-C, classe 1974, aostano (ma di origini marchigiane) è uno dei cantautori italiani più strampalati, più originali e indubbiamente più rock’n’roll di questo inizio di secolo. E dopo un lungo (7 anni, lunghissimo!) silenzio discografico torna con un nuovo progetto.
Il 23 gennaio 2012 esce “Il cielo oggi”, primo singolo di questo nuovo percorso, puntato verso l’amore e la sua forza. Questo incipit porterà “In fondo al cuore”, titolo dell’album che raccoglierà tutti i singoli raccolti in questa traiettoria.
Ma ora si va oltre, oltre il cielo. Pochi giorni fa è infatti uscito “Oltre al limite”, presentato all’ultimo Salone del Libro di Torino, che ci spinge ancora più in la o meglio ancora più a fondo.
E allora immergiamoci anche noi nei fondali e facciamoci quattro divertenti e spensierate chiacchiere col diretto interessato.

 

Dopo un lungo silenzio sembra che tu abbia incanalato la tensione verso
emozioni positive. Dal primo ascolto ho avvertito che questo nuovo Francesco è
meno pancia e più cuore. Ma anche più cervello. Più riflessivo insomma. E’
così?

Si,è così! Avevo bisogno di un periodo di riflessione per allineare la mia espressione creativa al percorso introspettivo che ho iniziato circa 4 anni fa.

Nel corso degli anni hai abbracciato l’elettronica violenta e il punk
rabbioso. I nuovi singoli mantengono la tua riconoscibilissima impronta e la
tua grande tensione emotiva, ma sono indubbiamente più pop. Da dove arriva
questa esigenza stilistica? C’è qualcuno con cui collabori che ti ha spinto ad
arrangiare i pezzi con questo sorprendente minimalismo?

Sono contento ti piaccia questo mio nuovo percorso.
Esatto, il minimalismo in questo periodo della mia vita è estremamente importante, essenziale. Sento la forte necessita di eliminare il superfluo e di lasciare un po’ di “aria” tra un verso e l’altro. Devo molto all’amico produttore Federico Malandrino che mi ha dato una grossa spinta per riuscire ad esprimermi al meglio.

Hai sempre pesato con gran precisione le parole. Anche quando anni fa gridavi
rabbia e inquietudine in mezzo ad una marea di frastuono. Senti che questa
nuova dimensione dia più spazio ai tuoi versi?

Certo,meno parole e più tempo per la riflessione e la metabolizzazione…questo non significa che domani io non esca con un pezzo incazzato! Ahah!

La frase che mi ha colpito di più del tuo nuovo singolo è “Ti darò un giorno
di sole, quando dentro hai un temporale”. Frase dalla disarmante semplicità. A
mio avviso molto vicina a versi della grande musica leggera italiana. Quali
sono gli autori nostrani che senti più presenti in questo tuo nuovo percorso?

Le parole che utilizzo devono toccarmi dentro, devono farmi vibrare ed avere
una certa apertura.
Devo confidarti che fatta eccezione per l’attività di dj, non ascolto granché.
In passato ho ascoltato di tutto, davvero di tutto.

Non hai mai inserito esplicitamente argomenti sociali e politici nella tua
musica. La tua “rivoluzione d’amore” potrebbe essere una risposta a questo
momento grigio?

Mi piace molto lo slogan che hai usato,”rivoluzione d’amore”,è molto giusto!
Bravo 10 e lode! Ahah
Oltre la televisione che non guardo da diversi anni,in quest’ultimo periodo ho
eliminato quasi totalmente l’informazione. Anche questo fa parte di un passaggio
naturale che ho deciso inconsciamente. Sicuramente in futuro riprenderò a
leggere i giornali, ma per ora non m’interessano, preferisco guardare il cielo o
cose del genere…troppo romantico?! Ahaha!

Parlaci un po’ del progetto “In fondo al cuore”. Come mai hai preferito
pubblicare singoli scaglionati invece di produrre direttamente un album? Pensi che l’ideologia romantica del “disco” sia defunta? Come pensi possa evolvere il mercato musicale nell’immediato futuro?

Cresciuto con la musica degli anni sessanta, mi ha da sempre affascinato il 45
giri. Da sempre avrei voluto realizzare singoli, e ora lo stiamo facendo.
Non so come si svilupperà il discorso musicale, e sinceramente m’interessa
poco. Io non sono un discografico!

Parliamo dei live. Quest’anno hai ripreso anche a suonare con la band, in
versione rock’n’roll e per fortuna ho avuto l’onore di rivederti all’opera. Da
dove arriva questa necessità di tornare “bestia da palcoscenico”? Come fai a
scinderti tra punk-rock animalesco e “il cielo oggi commuove”? Dobbiamo
preoccuparci di un disturbo bipolare? Francesco è nero e poi bianco oppure la
tavolozza dei colori si completa con le due estremità?

La mia attuale espressione artistica è quella dei nuovi brani, non per questo
non esisto più come rocker. Saltare sul palco mi diverte ancora e penso
fermamente che le mie vecchie canzoni non siano così vecchie. Con questa nuova
formazione abbiamo potuto selezionare una dozzina di singoli e riproporli.

Vieni da Aosta. Che qualche anno fa ha sfornato una band ruffianissima che ha
distrutto lo schermo televisivo: i Dari. Sappiamo che li conosci bene e
onestamente ho sentito in loro molte influenze “francescane”. Cosa ne pensi del
loro successo lampo? Che fine hanno fatto? E in generale come ti poni nei
confronti delle odiatissime “kanzoni commerciali col ritornello bbello”?

Io non ho mai avuto niente in contrario con il cosiddetto pop, anzi continuo ad
adorare e a scrivere “slogan”, me lo hanno fatto notare con “Il cielo oggi”. E’
cambiato il modo di concepirli.

Rimaniamo nella tua città. Bazzicando tra i (pochi) locali e seguendo la
scena da tanti anni. Quali sono le band e i cantautori aostani che meritano più
luce in questo momento? (Ti prego non tirare di nuovo in ballo i Dari che qui
mi radiano!)

A dire il vero non so cosa risponderti…

Ora una domanda da fan. Quando arriverà il prossimo singolo? Ci dai un
‘anticipazione?

Abbiamo già dei provini per quelli che potrebbero essere il terzo e il quarto
singolo, ma proprio perché lavoriamo sulla singola canzone non conosco la data
precisa di uscita. Probabilmente dopo l’Estate.
Intanto c’è l’idea di realizzare il video di “Oltre al limite”.

Grazie della chiacchierata Francesco, a presto e in bocca al lupo.

Grazie a te, è stato un piacere.

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