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Neurodeliri – Quello che resta

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 Un disco che tiene fede al 100%  al suo nome, certo, che cosa resta di intero dopo il passaggio tsumamico dei  toscani Neurodeliri con il loro debutto “Quello che resta”? Difficile dirlo, facile constatarlo, basta mettere una mano sui coni stereo e verificare che il punto di fusione del loro catraminico punk.rock è a livelli high, e allora tanto vale raccoglierne le schegge impazzite e ricominciare daccapo a decifrarne il caos fulmicotonato che la tracklist offre come un’ostia sconsacrata di adrenalina e vituperio organizzato.

Punk-rock diremo d’ordinanza, che si allinea alla media alta che sbraita e distorce il suono ma che sotto sotto ha un cervello pensante, non una accolita di sbavanti no-future boys tutti spille, borchie e sputacchiamenti come spurghi antagonisti, ma una di quelle formazioni casinare e impegnate, quell’insieme di suoni a manetta che si ribellano alle merde di una società ladra, che crea fantasmi, solitudini a barre, contradizioni e veleni, un cuore pompante tra jack e flangers sanguigni e mai sanguinari; nove tracce , una piccola insurrezione elettrica in grado di ritagliarsi risultati incredibilmente alti che fanno emergere il quartetto ben al di sopra dell’affollato contesto “nostrano”, uno degno spazio di riconoscibilità dove prevalgono riff a lametta, percussioni a maglio, indignazioni ed ansie di una generazione alle strette, alla morsa di una violenta malinconia.

Magari una leggera monocromia in più della sequenza tirata gioverebbe, ma anche così – stiamo parlando di un esordio – la carica da espellere dal dentro si fa ulteriormente le ossa, e se le fa con l’arma convincente dell’essere in quattro ma un tutt’uno, una forza fisica e fibrillante che non cede un buco nella tessitura sonica, compatta, muraglia di suono che ti sbatte in faccia tutta la repulsione di un sistema marcio, fradicio e da abbattere; chitarre a sfinimento nella titletrack, giochi di corde metal “Niente di più”, “Where we will end up”, la ballatona alla Nicklbeck che chiosa in “Nel vuoto” o lo spirit-core che agita, malmena e scuote “Stop us!”, questi i principali sintomi del malessere che i Neurodeliri mettono alla gogna, senza depistaggi, dentro il loro primo affacciarsi sulla grande platea virtuale, che se in questo disco tanto, nell’atmosfera live dovrebbe prendere letteralmente fuoco.

E ancora quello che resta del loro passaggio è un mucchietto di cenere, amanti del punk-rock okkio, ci sanno fare davvero!       

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In Her Eye – Anywhere Out The World

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Il freddo e una buia città industriale. Verrebbe subito in mente la pioggerellina fastidiosa e costante dei sobborghi polverosi di Manchester. Ma qui tutto ci riporta alla densa nebbia della Val Padana e ai grigi uffici, ornati come templi al dio denaro.
In Her Eye è un gruppo di Milano, di nome e di fatto. Il loro primo full length “Anywhere Out Of The Word” ci riporta in realtà in un mondo molto vicino a noi, anzi a pochi kilometri dalle nostre case e perennemente proposto in tutti i telegiornali. Un mondo triste, debole e noioso, specchio di una realtà dalla fragile spina dorsale.
I tre ragazzi provano faticosamente a trasportarci in posti lontani, utilizzando ossessivamente vecchi trucchetti come voce offuscata e chitarre vetrose ma il risultato rimane molto statico, una timida rassegnazione al freddo della città, matematica alchimia tra Inghilterra new wave anni 80 e America noise anni 90 e non decolla quasi mai. Solo quando la melodia spezza gli schemi, come in “It’s Not A Game To Fall”, sembra intravedersi qualcosa aldilà di questo grigio, uno sputo di luce che trafigge la nebbia.

Il prodotto rimane comunque ben registrato, nonostante qualche imprecisione tecnica ognuno fa il suo buon mestiere da impiegato senza troppi “straordinari“, senza la pericolosità di un rischio che dovrebbe essere invece necessario. A spiccare la chitarra di Stefano, che pare aver studiato meticolosamente le lezioni di The Cure e Sonic Youth per ottenerne sempre un buon frullato omogeneo di onirici arpeggi e prepotenti pennate.
Il disco non ha mordente e passa lento, freddo e macchinoso nelle sue 14 tracce (un po’ troppe?) per poi chiudersi con il magistrale feedback di “Flying Away” che arriva come un lampo che colora le casse dello stereo. Tiepida speranza di rivedere presto la faccia dei tre impiegati più incazzata e pericolosa, anche a costo di rompersi la fragile spina dorsale.

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Disclose – Survive?

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I Disclose tornano a farsi sentire con un disco nuovo di zecca, ovvero “Survive?”. Trattasi di un concept album che mira principalmente ai problemi della nostra società, delle varie difficoltà che va incontro e sui disagi che crea. Molto probabilmente, tenendo conto delle condizioni in cui viviamo nel nostro paese, il concetto di “Sopravvivenza” è più che azzeccato, perché effettivamente per come vanno le cose è quello che stiamo facendo, tra tasse, rincari, cattiva politica e conseguente crisi.

Musicalmente i Disclose sono maturati, è vero che non c’è nulla di innovativo in questo disco ma è comunque suonato bene e con personalità. Il sound dei Disclose oscilla tra l’ Hardcore, il Nu e l’ Heavy Metal, il disco suona forte e predispone di riff possenti e aggressivi; l’ unica pecca è che a lungo andare sembra un po’ ripetitivo, però è garantito che con ascolti più approfonditi si colgono delle chicche non indifferenti. In “Survive?” c’è una buona prova della maturità dei Disclose, la loro tecnica si è affinata diventando più precisa; i Fan di band come Biohazard, Cataract e Black Flag apprezzeranno senza alcun dubbio il lavoro dei Disclose. Anche se non molte melodie sono coinvolgenti, c’è da dire che la band ha saputo giocarsi le carte in tavola. Un ultima osservazione va all’ art work dell’ album in cui rappresenta uno scarafaggio che si presuppone scappi dalla società e dalle sue eventuali trasformazioni. Insomma, “Survive?” è un buon disco di ottima fattura, non bisogna fare altro che prestargli un po’ d’ attenzione.

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LE CASE DEL FUTURO: MIRANDA E’ IL PRIMO SINGOLO

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Gusto indie anni ’00, psichedelia e beat italiano sono le fondamenta su cui poggiano LE CASE DEL FUTURO. Testi in italiano, fortemente evocativi, in una sorta di pastiche postmodernista fatto di immagini a colori contrastanti.

“MIRANDA” – Official Video
http://www.youtube.com/watch?v=eWGxCfO7EtE

 

Nel singolo MIRANDA lo sfondo è quello della new wave. La melodia è indovinatamente catchy,  con un ritornello di quelli da canticchiare tutto il giorno. Decadenza e pop coesistono perfettamente.

 

Ne LE CASE DEL FUTURO trovate tutto questo.

Giovanissimi, ma con le idee molto chiare, si formano nel 2007 a Brescia, dove da subito si ritagliano un ruolo di primo piano nella ricca scena musicale locale. Nel 2010, sotto la direzione di Pierluigi Ballarin (The Record’s) e Stefano Moretti (Pink Holy Days), realizzano un omonimo EP presso il TUP studio.

Il loro primo album è LUCERTOLE uscito il 14 FEBBRAIO 2012 su etichetta DISASTRO RECORDS (Il Genio, Girl With The Gun, Il Lato Beat, Nicolò Carnesi).

 

Queste le prime date del tour nazionale:

4 Febbraio 2012 – Vinile 45 (Brescia)

18 Febbraio 2012 – Edonè (Bergamo)

6 Marzo – Rocket (Milano)

9 Marzo – Cafè Guapos (Domodossola – VB)

30 Marzo – Arci Tom (Mantova)

19 Aprile – Magnolia (w/Jessie Evans) (Milano)

24 Aprile – Moby Dick (RadioDue – Roma)

Giugno – MIAMI (Milano)

 

DISASTRO Records – Official Site

http://www.disastrorecords.com/

 

 

ufficio stampa
PROTOSOUND POLYPROJECTwww.protosound.net

L’ALTOPARLANTEwww.laltoparlante.it

 

 

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Violassenzio – Nel dominio

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Non è vero che tutto il rock armato di spirito psichedelico o – se vogliamo anche includere – con le visionarie attitudini della forma allucinatoria – è uguale, forse lo è nello spirito di chi lo fa, ma c’è sempre visione e visione, e quello dei ferraresi Violassenzio è straordinariamente particolare, ottima perché ha le forze e le credenziali idonee per incontrare favori e gradimenti anche da chi il genere non lo ciancica e tanto meno lo deglutisce.

Nel Dominio” è il secondo work che la formazione veneta ricompone per dialogare elettricamente con il pubblico, quattordici tracce che – a parte la bulimia esponenziale – partoriscono un appagamento  quasi cantautorale e d’udito eccellente, che non si rassegna ad essere solamente un flusso costante di rock amplificato, ma baricentra pure un’ossessione sociale, un malessere che dal profondo dentro sfocia in un’illusione massificata, la spersonalizzazione umana in cambio di un codice a barre che si appunta nello spirito imperfetto di chi da sopra gestisce e omologa pensieri ed espressioni che si vorrebbero in libertà.

Non ci sono punti di fuga, il suono indelebile dei Violassenzio è un approccio forte ad una certa metafisica amplificata che si unisce a filo rosso con il brivido delle pedaliere, struggenze ed esplosioni incandescenti si susseguono come cavalli indomiti in corsa, figlie di quell’impressionistica che trova – scorrendo i brani della copiosa tracklist – la precisione e la determinazione di un disco arrivato per restare a lungo nella scaffalistica underground di smalto; l’onirico grigio topo Kuntziano “Rinchiusi in una scatola”, “Nelle fabbriche”, il pathos agrette di una wave alla NeonAmo chi sogna”, la dolcezza di un ricordo di un lontano BenvegnùCome un risveglio” oppure lo scatto di un orgoglio anfetaminico e liquido che esplode in “E’ un paese per vecchi”.

Un bel disco che non vuole rimanere solo un bel disco, ma una performance a tempo determinato per compattare “il dentro ed il fuori” di una società malsana con l’arte del suono a traiettoria di bengala, per illuminare metamorfosi e cazzoni di potenti nei loro loffi intenti; ma poi arriva “Solo nei sogni” e quello che mancava per riflettere sul repertorio di questa band, arriva come un subbuglio di bellezza che non solo tramortisce il cuore, ma lo spalanca come fosse un sole di mezzanotte, che nelle loro visioni dei Violassenzio esiste anche se noi non lo vogliamo vedere.

Magnetico come pochi e che ci fa dare “i numeri” senza pietà.

 

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Ruben – Il lavoro più duro

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Onestamente non avendo seguito molto – per niente – da vicino le uscite discografiche precedenti del cantautore veronese Ruben, mi è più facile – senza andare a cercare a ritroso – soffermarmi e capire l’evoluzione di quest’ultimo suo lavoro discografico “Il lavoro più duro”, e l’impegno promesso ad un ascolto distaccato, si fa invece attento e interessato, propenso a venire a capo di queste bellissime quattordici tracce che ospitano in ognuna di esse un personaggio, un modo di pensare e vivere tra il trasognato ed il reale, un colorato set di ritmi e stili che mutano e scandiscono una tracklist coinvolgente.

Tutto gira intorno “al lavoro”. estasi e tormento dell’uomo di sempre, carico delle sue noie asfittiche e delle sue illusioni ad ombrello, storie e fisionomie ciondolano qua e la in un’anagrafe Calvinica che si fa teatro cantautorale e story teller di poetica sfigata e dolce che si mischia in un’estetica straordinaria dove Ruben appare e scompare come un crooner urbano che tratteggia sensazioni ed emozioni più che marcate; non una di quelle solite associazioni d’idee che restringono il cantautorato a fattore di pesantezza o, quando va bene, di paranoia, ma un nutrito pugno di canzoni che divertono, relazionano e si fanno cromatismo vivace tra l’orecchiabilità indie e l’esuberanza di un’artista che si mette anche in gioco con una buona dose di pop, e le previsioni sono più che ottime.

Bennato, De Andrè, Rino Gaetano, De Gregari, sono gli eroi che attraversano questo concept niente male, dove l’ìmportanza del “messaggio” ha un preciso colore lirico, spezzoni, frammenti di vita che si fanno riconoscere in un mediocre killer chiamato Carletto “Killer (un assassino a pagamento)”, in un prete in crisi d’identità “Prega per me (un prete)”, il tex-mex che corre dietro all’avvocato mistificatore “Vinceremo (un avvocato)”, la ballata folk di un sindacalista “confuso” tra impegno e donne in fermento “Primo Maggio (un sindacalista)” o il rock’n’roll del camionista Macho On The RoadMammolo (un camionista)” e chi più ne ha più ne metta, un disco da vivere con la sincera sfacciataggine delle imperfezioni naif, quelle piene d’ironia e acido muriatico soft.

Pierfrancesco Coppolella Ruben, qui con i musicisti Carmelo Leotta e Michele Gazich, declama il lavoro come un festeggiamento della particolarità umana, ci riesce e ne fa un quadretto sonoro entusiasmante che si consiglia a tutti, anche a chi – purtroppo – un lavoro non lo possiede o non lo cerca. 

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MARCO NOTARI & MADAM – secret tour maggio 2012

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GUARDA IL TEASER

Per prenotarsi è necessario inviare una mail a info@secretconcerts.it indicando nell’oggetto a quale secret concert si intende partecipare e nel corpo della mail il proprio nome, cognome ed e-mail + un numero di cellulare sul quale vi sveleremo l’indirizzo della location.

Dopo un tour di quasi cinquanta date per presentare l’album “Io?” (Libellula/Audioglobe) uscito a settembre 2011, ed in attesa del tour estivo, Marco Notari & Madam affrontano a maggio un mini tour di secret concerts in giro per l’Italia. I secret sono concerti che si svolgono in abitazioni, case private, luoghi insoliti. L’artista esegue il suo repertorio con un set acustico ridotto, adattato alle esigenze del luogo, e il pubblico ha l’occasione di averlo ad un passo da sé e di ascoltare la sua musica così come è nata, in una atmosfera intima e raccolta. Il luogo in cui si svolge il concerto è segreto e viene svelato solo a chi si prenota per la serata.

Nei secret Marco e la sua band proporranno in versione acustica brani estratti dai tre dischi “Oltre lo Specchio”, “Babele” ed “Io?”. Inoltre tutti i partecipanti ai secret riceveranno in omaggio tramite una seed card lo speciale album “Canzoni segrete”. La seed card è una download card completamente eco-compatibile e biodegradabile, su cui è riportato un codice unico che consentirà di accedere ad un’area riservata del sito www.marconotari.it da cui scaricare un album di 11 brani contenente b-sides, versioni live e altre rarities legati alla carriera dell’artista, resi disponibili solo per i partecipanti ai secret concerts. Ogni seed card contiene inoltre un seme che chi desidera potrà piantare e coltivare, nel pieno spirito del tour ad impatto zero di Marco Notari & Madam in collaborazione con Lifegate.

Il secret tour sarà accompagnato infine dall’uscita del nuovo videoclip “La terra senza l’uomo”, realizzato da Marcello Saurino in collaborazione con Greenpeace e LAV.

L’ingresso alle serate costerà 10 euro.

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TRACKLIST “CANZONI SEGRETE”

1. caterina (b-side di Io?, cover di Francesco De Gregori – 2012)
2. amsterdam 76 (b-side di Babele – 2008)
3. un bacio falso (cover di Garbo per la raccolta “ConGarbo” – 2007)
4. thesiger (b-side di Io? – 2011)
5. jenny è pazza (cover di Vasco Rossi per la raccolta “Deviazioni” del Mucchio – 2008)
6. hotel supramonte (b-side di Babele, cover di Fabrizio De Andrè – 2008)
7. io il mio corpo e l’inconscio (demo di Io? – 2010)
8. happiness is a warm gun (live Oltre lo Specchio tour, cover dei Beatles – 2006)
9. le stelle ci cambieranno pelle (demo di Io? – 2010)
10. dina-reprise (b-side di Io? – 2011)
11. canzone d’amore e d’anarchia – eskinzo rmx (b-side di Io? – 2011)

3 maggio ROMA
4 maggio BARI
5 maggio MACERATA
6 maggio FIRENZE
12 maggio TORINO

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DOLA J. CHAPLIN: in radio con “WHAT I CARE”

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In rotazione su oltre 400 radio italiane.
“What I Care” è il primo singolo di DOLA J. CHAPLIN.
In uscita l’atteso esordio firmato VOLUME! Records

Il viaggio. Un tema caro a DOLA J. CHAPLIN, singer songwriter che sceglie in arte un nome ricco di immagini e di storia. Un esordio di grande qualità tecnica e artistica. In rotazione radiofonica il singolo “WHAT I CARE”.
Ricco di anteprime e riscontri positivi da parte della critica il primo video teaser “Nothing To Say” brano registrato live in una vecchia cucina, tra le rovine di un antico borgo lontano dal tempo.
Prodotto da Paolo Tocco per la Protosound Polyproject, il disco sarà pubblicato per VOLUME! Records e CRAMPS Music, distribuito dalla EDEL in uscita in tutti i negozi a Maggio 2012.

WHAT I CARE è il bisogno di semplicità, il bisogno di tornare alle origini, il bisogno di sentire radici ovunque si è…oltre ogni tipo di futile ricchezza, che ci resti intatto l’amore, sempre vivo, sempre vicino…ovunque ci porti il grande viaggio della vita.

WHAT I CARE è anche la colonna sonora del Film Documentario THE LAST CAPITALIST di Enrico Bernard…

WHAT I CARE (Reprise) è anche un semplice video diffuso su YouTube…video non ufficiale su una versione acustica del brano registrata in studio per la pre-produzione del disco, interpretazione che Dola J. Chaplin ha scelto di usare come traccia di chiusura del disco.

Aspettando il disco: “To The Tremendous Road” a maggio in tutti i negozi di dischi e negli store digitali.

WHAT I CARE (Reprise) – on YouTube

NOTHING TO SAY – Video Teaser

ufficio stampa
VOLUME! Records
PROTOSOUND POLYPROJECT – www.protosound.it
L’ALTOPARLANTE – www.laltoparlante.it

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“Le interviste improbabili” Piero Pelù

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M: Piero.. ma perché?

P: Un saluto a tutti i fans da Piero PAlù

M: Ma ti sei rimbambito?

P: In che senso scusa?

M: Ti dicevo.. perché?

P: Perché cosa?

M: Dai lo sai.. perché non hai continuato a suonare con Ghigo e non ti sei accontentato di vendere poche migliaia di dischi, come Federico?

P: Ma chi, quello sfigato di Fiumani?

M: O sfigato ma di che?

P: Senti bellina, quando suoni e fai dischi mica li fai per la gloria. Io volevo il successo e me lo sono preso.

M: Sì bello ma il successo ti ha dato alla testa mi sa. A una certa hai tirato fuori canzoni che nemmeno la Mussolini le avrebbe messe in repertorio

P: Ma che ne vuoi sapere tu.. che ti piace la new wave..!

M: Piero scusa ma ti vorrei ricordare che anche tu nasci come esponente della new wave Italiana anni ’80. L’hai dimenticato che a Firenze c’eravate tu, i Diaframma e i Neon?

P: E infatti si vede che fine hanno fatto gli altri.. i Neon non pubblicano un disco dal secolo scorso e Fiumani per campare scrive le poesie

M: Cosa ci sarebbe di male nello scrivere le poesie, è un artista.. LUI

P: Come sei ingenua bambolina.. l’arte non ti fa mangiare.. io con Elettromacumba ho venduto più copie che Fiumani in una vita intera

M: Vabè ho capito è inutile discutere con te. Ammetterai però che questa reunion con Ghigo è segno evidente che senza di lui non vai da nessuna parte. Scusa se sono così schietta ma da solista hai fatto ridere i polli

P: Vabè questa te la concedo. Ghigo suona la chitarra come io mi trombo le pischelle, dite così a Roma vero? Però senza il mio carisma Ghigo sarebbe nulla. E infatti si è visto cosa non ha fatto quando suonava con la brutta copia di me

M: E già perché più fighi di te non si può..

P: No bella, non si PUO’.


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Newdress – Legami di luce

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La dissolvenza wave dei Newdress approda al secondo attesissimo album, “Legami di luce”,  forti delle buone reazioni di pubblico e delle compassate atmosfere che il trio – senza spericolarsi in strategie programmatiche o sperimentali – seguitano a mantenere costantemente al freddo/caldo di una mistura pop- elettronica tutto sommata di buon calco.

Ovviamente nulla di nuovo sotto il sole, ma un disco, un’ottima ordinarietà che si presta all’ascolto, che scorre gradevolmente in una radiofonicità retrò che frequenta territori lontani di Manic Street Preachers, Depeche Mode e stanze contemporanee indie-romantic alla Editors con retrobottega sui vicoli della Firenze on the wave 90,s, Moda e Neon su tutto;  dieci tracce che rinverdiscono stagioni mai azzittite e che hanno ancora viva quella contagiosa uggiosità ballabile di notti cotonate e con le spalline gonfie “Assorta”, poi dalle rime Prèvertiane nasce “Bisogna passare il tempo” che vede la partecipazione di Andy Fluon dei Bluvertigo in un blitz di sax magnifico e Lele Battista con la voce, “Calore di fiamma”, o di quei pomeriggi nebbiosi passati a filtrare sguardi attraverso vetrine appannate da umidità e sogni storti “Al tatto nel buio”, “Splendi”, il tutto in una risonanza malinconica e pensierosa, bella nel tratteggio amaro lucente nel trasporto elettronico che dinamicizza l’intero registrato, l’intero pathos pieno di significati in penombra.

Il trio bresciano dei Newdress registra il disco in analogico e viaggia sicuro nell’impeccabilità di suoni, ricordi ed echi spleen che non si limitano a descrivere cartoline sonore color seppia, ma esternano – pur non spostando/apportando nulla di nulla sulla scena musicale –   la loro natura sognante, onirica, interiore ed eclettica ai favori di una classe stilistica egregia ed elegante, magari un po’ in ritardo sul tempo massimo, ma fiera di esserci ancora e,  cosa di non poco conto, che ancora fa la sua porca figura se tirata con il loud  a palla.

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Esquelito – Banananas

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Nome, titolo dell’album e copertina sono fondamentali.
Il biglietto da visita dell’artista, ma soprattutto la ragnatela che attrae la preda, perché anche l’occhio vuole la sua parte, anche quando si parla di qualcosa da sentire.
Ecco.
Non me ne vogliano gli Esquelito, ma ho impiegato parecchio tempo a convincermi ad ascoltare le loro cinque tracce nonostante le premesse visive non fossero promettenti (cosa starebbe a indicare questo cactus con la faccia di scheletro in copertina che suona la chitarra con davanti la celebre banana di Warhol e dei Velvet Underground? L’accozzaglia di riferimenti non mi faceva ben sperare) e soprattutto nonostante l’insieme desse l’impressione di un genere completamente diverso da ciò che in realtà il quintetto lucano propone.

Sembrava il progetto grafico, insomma, di un demo dell’ennesima band folk rock o reggae, che punta tutto sull’autoironia, ma che proprio non mi andava di ascoltare in quel momento.
E invece, per fortuna, mi sono decisa.
Un sample veramente ben registrato dal punto di vista del missaggio e del mastering, lavoro finemente realizzato dal team del Krikka Studio, ma soprattutto finalmente un demo che riesca a presentare la gamma di possibilità esplorate dagli artisti in questione senza mancare di omogeneità e compatezza: il tutto si apre con All the kids, dalle sfumature punk alleggerite dalle chitarre pulite in levare; Banananas è la traccia più particolare del cd: contiene tutto il possibile e immaginabile, da piccoli riff chitarristi, sempre diversi, brevi, schietti, a un suadente giro di basso e un cantato quasi blues nella strofa e incredibilmente pop nel ritornello, con quel “Take me back to the country” sostenuto dalle tastiere che a me ha ricordato tanto i Blur.
Rimandi un po’ pulp e un bel dialogo a brevi frammenti melodico-ritmici di basso e batteria, sono il fondamento di Chappolines, col suo testo ridotto all’osso e cantato sia da Riccardo Puntillo (voce e batteria), sia da tutta la band. Gli Esquelito infatti si distinguono proprio per questa cura delle sonorità vocali, che vanno a ispessire liriche che sovente, per la loro semplicità e brevità, rischierebbero di annoiare e risultare superficiali.

Autoironica, divertente e danzereccia è Never get out of pop: batteria in sedicesimi e aperture dinamiche piano-forte un po’ banali ma realizzate con parecchia cura. È la traccia più orecchiabile della mini raccolta, con il suo sound un po’ indie, tanto nella melodia quanto nel ritmo (Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e un po’ Interpol per quanto riguarda la voce).
Con l’ultima traccia, effettivamente, arriva anche il folk rock: Esquelito è un inno alla libertà, alla giovinezza, alla musica (“I wanna play all day”) con tanto di cori ironicamente solenni (cantano una sillaba non-sense).
E speriamo che questi ragazzi suonino davvero a lungo perché se i risultati sono questi, hanno intrapreso la strada giusta.

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Mud – Violence against Violence

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Già dal titolo “Violence against Violence” si capisce che siamo di fronte a un disco che è un puro distillato di violenza sonora capace di deliziare gli amanti del genere hardcore.
Il primo full lenght dei Mud è davvero un capolavoro intriso di suoni aggressivi, chitarre graffianti e un cantato davvero perfetto.
Dopo la brevissima title track della durata di neanche 30 secondi, l’atmosfera inizia a diventare sempre più dura e pesante senza deludere mai l’ascoltatore.
La matrice è quella di un hardcore new school ma qualche piccolo riferimento ai gruppi della vecchia scuola è presente ogni tanto qua e là…

La NYHC è onnipresente, con i suoi stacchi che da sempre la caratterizzano ed  i tempi moshpit stile Terror o Hatebreed.
Tante le influenze e i riferimenti insomma, ma di certo per arrivare a tali livelli questi ragazzi ne hanno dovuta fare molta di strada e consideriamo anche il fatto che il disco è totalmente autoprodotto in pieno stile do it yourself nonostante la formazione abbia subito negli anni diversi cambi di lineup.
Tante anche le esperienze live maturate dal gruppo anche in supporto di bands affermate quali Browbeat, Sawthis, Straight Opposition, Raw Power, Entombed e Concrete Block.
Sicuramente siamo di fronte a un disco che a livello sonoro suona perfetto in studio, ma di certo live il suo impatto potrà essere anche maggiore, c’è da scommetterci!
Come c’è da puntare tutto anche sul fatto che questo lavoro piacerà e non deluderà anche chi è andato avanti finora a pane e Slayer.
In “Full of hate” ospite Andrea dei Vibratacore, gruppo proveniente dalla stessa regione che si sta muovendo sullo stesso versante sonoro.
C’è anche spazio per qualche citazione cinematografica con estratti dai film “Angeli Con La Faccia Sporca” (1938) e “Il Grande Lebowski” (1998).
Insomma dopo il demo del 2006 e l’ep del 2009 i Mud hanno superato a pieni voti la prova della maturità, anche se sono sicuro che quando pubblicheranno un nuovo lavoro sapranno stupirmi ancora di più!

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