Quando ho scoperto chi e cosa fossero i Gambardellas sono stato immediatamente colpito dalla fortissima immagine di un piatto di pasta al cioccolato. Prendete la pasta: è buona, piace a tutti, in bianco, al sugo, con la carne, con le verdure. Prendete il cioccolato: fondente o al latte, bianco o nero, anch’esso incontra il favore della maggior parte della popolazione mondiale. Ora, se siete dei puristi gastronomici, storcereste il naso solo a pensare ad un bel piatto di spaghetti con la Nutella©. Non negatelo, non fate quelli col palato fino e la mente aperta e storcete quel cazzo di naso. Storto? Bene. Poi la assaggiate e vi rendete conto che, per quanto la nostra tradizione dovrebbe escluderne l’esistenza, la pasta al cioccolato vi piace. Vi sorprendete e pensate che vostra nonna non l’avrebbe mai preparato per voi quel piatto di spaghetti con tanto di buonissima salsa marrone ‘ngoppa.
Portando questo paragone in termini musicali ecco inserirsi i Gambardellas, che per pasta hanno il loro sound bello rock e definito, e come cioccolato il loro deus ex machina, Mauro Gambardella appunto, che poi risulta essere l’epicentro di tutta la creatività dietro a questo fresco e interessantissimo progetto. Mauro non è di certo nuovo al mondo del rock indipendente (ricordiamo che ha fatto parte di band come George Merk, Thee Jones Bones, the R’s e Paletti) ma, in quanto batterista, è stato sempre confinato dietro a piatti e fusti col solo compito di trovare ritmi e portare tempi. Quando ha provato a dire qualcosa in più proponendosi come compositore, pare sia stato sempre guardato come l’alieno della situazione o, per meglio dire, come un piatto di pasta al cioccolato. Essendo io musicista (per modo di dire), in effetti, non ho quasi mai incontrato né sentito parlare, a parte qualche eccezione degna di nota, di un batterista compositore; bene, questa è sicuramente una di quelle eccezioni. Succede che, non scoraggiato dai rifiuti di chi non riusciva a capire come un batterista potesse scrivere un pezzo, Mauro si rimbocca le maniche, chiama qualche amico (fra cui Fabio “FabztheDale” Dalè dei Mamakass) e decide di cucinarselo da sé il suo piatto di spaghetti al cioccolato, e con ottimi risultati.
Nasce così questo Sloppy Sounds, disco di esordio della band, che con i suoi 9 brani 9 di garage rock ben contaminato, intelligente e diretto colpisce immediatamente e si fa riascoltare senza indugio. Pezzi anglofoni belli tirati, ritmiche ottimamente studiate e una pulizia nella registrazione non comune (il missaggio è a cura di Fabio Trentini, già produttore tra gli altri di Guano Apes e Mas Ruido) rendono la ricetta sicuramente vincente: alcune tracce sembrano hits partorite da qualche illuminato d’oltremanica pronto per la top chart (Tito, Josh), altre sono sicuramente delle perle per intenditori (Shine Again), altre ancora ti scolpiscono in mente i loro andamenti r’n’r (Needs), ma tutte lavorano bene all’interno dell’insieme e fanno di Sloppy Sounds un disco davvero completo. Non si accettano improvvisazioni e abbozzi: i brani sono, nella loro linearità, eseguiti alla perfezione (con delle sezioni ritmiche che suonano come in certi dischi dei Faith No More) e arrangiati con sapienza e meticolosità, facendo del disco un affresco dettagliato dove nulla è lasciato al caso dalla prima all’ultima battuta. L’unica pecca (se di pecca si può parlare) è forse la copertina, un po’ troppo semplice e povera forse, ma sono miei gusti personali e, come è risaputo, io non capisco una mazza. Fossero così tutti i lavori primi delle band emergenti italiane avremmo una scena da far invidia a tutti i paesi anglosassoni che macinano rock in quantità industriali. Che inglesi ed americani venissero a mangiarsi da noi un bel piatto di pasta al cioccolato: ai fornelli ci sono i Gambardellas, il successo è assicurato.