Giovanni Panebianco Author

Redline Season – Invictvs

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Usiamo l’immaginazione e ipotizziamo di trovarci a camminare su un terreno paludoso disseminato da sabbie mobili, muovendoci in punta di piedi nel tentativo di prevedere le trappole. Questo è lo scenario nel quale ci sembra di piombare all’ascolto di Invictvs, seconda fatica dei Redline Season. Non sono a conoscenza della relazione tra il nome della band e il brano “Red Line Season” dei These Arms Are Snakes , ma non trovo, a dir la verità, grosse distanze stilistiche tra i due gruppi. Sicuramente i cinque modenesi avranno assaporato quanto di buono fece il combo di Seattle in ambito Noise e Post-Hardcore, magari prestando un orecchio particolare a Tail Swallower & Dove, album in cui è appunto contenuta la traccia a cui accennavo poc’anzi. Le bordate iniziali “Fallacy” e “Deaf Heaven” (probabile che nel Paradiso dei sordi ci si finisca se spariamo ad un volume troppo alto Invictvs) ci conducono tra labirinti ipnotici e sortite in ambienti i cui strilli disperati paiono provenire dalle mura di un manicomio criminale. “Black Battles”, canzone che preannunciava l’uscita del disco, è un pelo più sotto controllo, pur cibandosi di quella specie di calma apparente persistente per tutta l’opera. Il doppio capitolo “Phoenix” si presenta dapprima come il classico pezzo riflessivo composto esclusivamente dalla voce pulita accompagnata dalla chitarra acustica (“Phoenix First”), per poi sorgere come una fenice (“Phoenix Last”) con una stizza ingovernabile degna dei migliori Jesus Lizard (veri numi tutelari del Noise negli anni ‘90).

La ricerca di un sound veramente nuovo sul territorio italiano è l’obiettivo che si sono autoimposti. Sono molto vicini alla meta. Così su due piedi l’unica somiglianza che mi viene in mente è quella con gli ormai sciolti Cut Of Mica, anche se il loro rumoroso Mathcore doveva parecchio agli Shellac, meno attenzione, quindi, alla forma canzone e maggior spazio ai suoni estremi del genere, feedback di chitarra compresi. Non è il caso di rovinare la festa a nessuno perché, a conti fatti, i Redline Season ci appagano, 40 minuti della nostra vita spesi più che bene.

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Radio Shakedown – Burn Again

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A due anni di distanza dal precedente EP Cheaters Never Lose si riaffacciano sul panorama musicale i pescaresi Radio Shakedown. Le sei tracce di Burn Again, registrate presso l’Acme Recording Studio, sono quanto di più sfrontato si può chiedere al giorno d’oggi al Punk Rock. L’avvio è da infarto con “Something’s Gonna Come”, canzone che ci illustra come i due leitmotive dell’album saranno la voce sporca di Freddy e i cori, mai fuori luogo, intrisi dell’aroma degli Anti-Flag pre The Terror State e dei Face To Face periodo Vagrant Records. Le schitarrate presenti in “Wrecks”, ricche di stop ‘n’ go, solcano il cielo plumbeo squarciandolo con i classici due accordi che hanno reso celebre il genere agli albori. Il singolo, che dà anche il titolo al disco, è un grido d’insurrezione, un invito, senza mezzi termini, rivolto alla massa, tarda a risvegliarsi dalla catalessi che l’ha colpita, una bomba ad orologeria pronta ad esploderci in pieno volto. Dopo altre due tracce, dove si mantiene salda una spiccata devozione allo Street Punk degli U.S. Bombs, si arriva troppo velocemente alla conclusione con la ballata “Are You Having A Good Time”: un pezzo acustico ben costruito sulla falsariga delle doppie voci, un qualcosa di assolutamente inaspettato e sorprendente.

La scarsa durata è l’unica nota dolente. Ci lascia l’amaro in bocca constatare come in venti miseri minuti sia già tutto finito. Probabilmente era più il caso di aspettare di avere maggior materiale tra le mani ed uscire con un prodotto più corposo. Tolto questo, ciò che rimane è un lavoro impetuoso, pervaso da una marcatissima anima ribelle, da ascoltare e riascoltare. Sicuramente “This is Not The End”.

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Chambers – Colpi Scapoli

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E’ inesatto definire Colpi Scapoli l’ultimo disco dei toscani Chambers. Però la parola compilation stona terribilmente nel mio vocabolario, anche se è quello che è a tutti gli effetti. Questo nuovo lavoro, fresco fresco di stampa come sempre sotto la benedizione della To Lose La Track, è una raccolta di brani registrati tra il 2009 e il 2014. Il menu comprende remix, cover, canzoni già edite ed alcune proposte per la prima volta in madrelingua. Le prime tre fanno proprio parte della categoria appena indicata. Sono infatti riproposizioni di altrettanti pezzi usciti nel 2010 nell’omonimo disco d’esordio ed all’epoca eseguite in inglese. “Pianura” (originariamente “Second Wall War”) è un’epopea di oltre sette minuti che racchiude tutte le sfaccettature del sound grezzo dei Chambers: screaming nevrotici e rallentamenti improvvisi, dettati dalla ritmica forgiata da Gigi e Nicola.

Il giro nelle montagne russe prosegue con l’azione/reazione di “Discesa” (“Black To The Future”) e “Salita” (“A Planet Is On Fire”). In balia delle vertigini tocca a un altro trio di composizioni, partorite l’anno scorso per lo split con i The Death of Anna Karina, sconvolgerci ulteriormente le cervella. All’interno di esse c’è “La Sera Leoni, La Mattina Leoni”, forse quanto di più melodico e, allo stesso tempo, di più violento sia mai venuto fuori dal song writing della band. Questa seconda parte cede il passo a ben quattro cover: nomino prima classificata “This Is Not A Love Song” dei Public Image Ltd, riletta in modo audace, in una mistura barcollante tra i Pixies ultima manierae i Deftones primevi, come se ci fosse una sorta d’immaginario passaggio del testimone. Chiude il cerchio l’evitabile remix elettronico di “Le Facce Uguali di Due Medaglie Diverse”, che prevede Johnny Mox relegato al ruolo di guest star. Colpi Scapoli ha la doppia valenza di essere un punto d’inizio ideale per chi non li ha mai seguiti e una riconferma agli occhi dei loro sostenitori. Se capitano a suonare dalle vostre parti, correte a vederli. Su disco spaccano. Dal vivo spettinerebbero un pelato.

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Alkaline Trio, Bayside e For Those Afraid 06/05/2014

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ZONA ROVERI, BOLOGNA (BO) 06/05/2014

Premetto: adoro gli Alkaline Trio dai tempi storici in cui i loro album venivano pubblicati dalla Kung Fu Records. Tuttavia non ero mai stato a un loro show. Temevo la delusione, consapevole del fatto che il loro ultimo disco, My Shame Is True, non è esattamente una meraviglia. Comunque sia, erano mesi che avevo comprato il biglietto e non me li sarei persi per nulla al mondo, stavolta.

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Dal diario di bordo del capitano Giovanni: che ideona partire alle sette del mattino per arrivare alle undici e trovare una fila pazzesca composta da due persone… Quando si aprirono i cancelli del capannone della Zona Roveri, il palco era già preda dei milanesi For Those Afraid, promotori di un Hardcore melodico serratissimo, tutto moshpit e furore da vendere. Estraggo il mio bloc-notes mentale e prendo appunti. Sono da tenere d’occhio assolutamente.

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Poco dopo, intorno alle 21, fecero capolino i Bayside, da New York City. Un paio di mesi fa uscì, sotto la label Hopeless Records, Cult, un lavoro ben fatto: onesto Punk Rock, condito da melodie riuscitissime ed energia alla massima potenza. Una scaletta, che è stata più un excursus attraverso le loro canzoni più conosciute, ha riscaldato un pubblico fremente, perché il momento dell’ingresso del gruppo clou era imminente, l’agitazione palpabile. Quando vennero fuori dalle quinte, gli Alkaline Trio furono accolti da un boato, che crebbe al riff d’apertura di “This Could Be Love” (il mio brano preferito dei tre di Chicago). In un attimo la Zona Roveri si trovò sotto scacco, messa a ferro e a fuoco dalla maestosità della loro musica cupamente romantica.

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Dal diario di guerra del soldato semplice Giovanni: ero attorniato dalle truppe nemiche, aggrappato alla maglietta di uno sconosciuto davanti a me, ma per difendere il mio posto in secondo fila avrei dovuto combattere con le unghie e con i denti. Nel frattempo, con un carisma fuori dal comune, Matt Skiba e soci continuavano l’opera di distruzione con le varie “StupidKid”, “Sadie” e “Time To Waste”, con tanto di intro di pianoforte accompagnato dal battito delle mani di tutta la calca. Nella tristezza generale il live volgeva al termine, purtroppo è vero che tutte le cose belle prima o poi finiscono. I due bis conclusivi furono l’acclamatissima “Private Eye” e “Radio”, un cavallo di battaglia che chiude spesso e volentieri le loro performances. Dopo un minuto dall’epilogo del concerto, già avvertivo un magone. A testa bassa mi rimisi in auto in direzione Pescara, ripensando a questo concerto che è stato una vera esperienza di vita. Altro che delusione. Soddisfazione a pacchi.

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Swans – To Be Kind

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Trent’anni e non sentirli. Incredibile ma vero: gli Swans si sono formati nel lontano 1983, quando, tra le vie newyorkesi, spopolava il movimento No Wave. In queste decadi i musicisti che hanno ruotato attorno al vero deus ex machina della band, Michael Gira, sono stati numerosissimi, tutti con uno stile proprio che andava ad aggiungere un qualcosa di personale alla musica del gruppo. Tra loro spicca sicuramente la fantomatica figura dell’ammaliante Jarboe, esile nell’aspetto eppure per nulla intimorita nel confrontarsi con i catacombali Neurosis, creando quel capolavoro che risponde al nome di Neurosis & Jarboe, nell’ottobre del 2003.

To Be Kind è, a dirla tutta, il terzo album della seconda vita discografica degli Swans, tornati nel 2010 con My Father Will Guide Me Up a Rope to The Sky, dopo ben 14 anni di assenza. Nonostante questo, il sound non ne ha minimamente risentito: anche quest’ultimo disco non si discosta dai predecessori e il crescendo claustrofobico di “Screen Shot” ce lo dimostra subito, nel suo incedere martellante. Ci trasmettono ansia, un’ansia che provoca dipendenza, che ci invoglia a tenere all’erta i nostri sensi, pronti all’impatto con gli oltre 12 minuti della successiva “Just A Little Boy (For Chester Burnett)”. La summa massima del disco è la mezz’ora abbondante di “Bring The Sun/Toussaint L’Ouverture”: armonie ipnotiche, litanie malate regolate ad arte come un mantra dal sapore di un rituale d’iniziazione. Forse sarà così, perché dopo “Some Things We Do” (sarebbe adattissima a fare da colonna sonora a un film horror), Gira e soci alzano il tiro, dividendo con un muro virtuale questa parte finale dell’album da quella appena passata. Le due canzoni portabandiera di questa nuova virata sono: “Kirsten Supine”, con l’incantevole voce di St. Vincent ad incastrarsi con quella del singer, proiettando dal nulla una spirale sonora indomabile, e “Oxygen”, i cui ritmi Math fanno da contraltare a uno Sludge Rock molto caro ai Melvins.

Ci hanno abituati bene i nostri amici Swans e con l’intensità di To Be Kind, continuano a camminare sulla retta via tracciata dal precedente The Seer. Tempo addietro Michael Gira affermava che: “I cigni sono maestosi, sono bellissime creature con un cattivo temperamento”. Da amante degli animali dico che il temperamento, buono o cattivo che sia, ci sta benissimo purché questi siano i risultati. Lunga vita ai cigni.

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Meganoidi 26/04/2014

Written by Live Report

Mare Blu, Torino Di Sangro (CH).

Ricordo ancora bene quando vidi i Meganoidi in quel di Giulianova, all’Indhastria. Allora erano all’apice del successo. Era il tour promozionale di Inside the Loop Stupendo Sensation, una fatica discografica che li staccava dalla commercialità dello Ska, per trascinarli verso sonorità più mature e ricercate. Una scelta singolare, ma, a mio avviso, azzeccata. Oggi li ritroviamo dopo 15 anni di vita, reduci da dischi altalenanti, dai risultati non esaltanti. A giudicare dalla folla presente al Mare Blu di Torino Di Sangro, pare abbiano comunque mantenuto uno zoccolo duro di sostenitori accaniti. Ci sono anche io tra di loro. Il gruppo di apertura prescelto sono I Giorni dell’Assenzio, provenienti da Tollo e facenti parte della scuderia Ridens Records. Il loro Rock Alternativo, con venature Stoner, al principio entusiasma, ci fa strabuzzare gli occhi. Col passare del tempo, la palpebra cala e l’entusiasmo scema. Soprattutto se in uno degli innumerevoli intermezzi al confine con la Psichedelia, il chitarrista/cantante si mette a prendere a cazzotti (letteralmente!) la pedaliera, rea di non fare il suo dovere. Mani nei capelli (folti…) si prosegue e guardandomi intorno vedo facce assenti. I Giorni dell’Assenza più che dell’Assenzio…

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Il tempo di un rapido cambio di palco ed ecco arrivare i nostri eroi. Subito salta all’occhio, ma soprattutto alle orecchie, la presenza del nuovo batterista Francesco La Rosa, capace di un drumming furioso (non è un caso se è membro del gruppo Gothic Metal Thought Machine) che, personalmente, trovo stia al sound dei Meganoidi come un gatto in un canile. La tecnica c’è tutta, ma ripeto, sovrasta il resto degli strumenti. Questo live, senza infamia né lode, ci mette davanti la verità dura e cruda: sono i pezzi estratti dai primi due lavori a far ballare e cantare la gente. E’ bastato il trittico “Inside the Loop”, “The Penguin Against Putrid Powell” e, soprattutto, “Meganoidi” a riscaldare gli animi tiepidi degli spettatori. Notavo poca partecipazione durante l’esecuzione di brani come “Altrove” o “Dighe”, entrambi estratti dal quarto album Al Posto del Fuoco, che io ritengo due canzoni di valore che meritavano di essere cantate a perdifiato.

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Era un concerto atipico che viveva di momenti: ad un abbozzo di nota di “King of Ska” o “La Fine” il pubblico si ridestava di botto. Caos finale con la grinta di “M.R.S.”, “Supereroi” (qui tutta Torino Di Sangro ha tremato) e “For Those Who Lie Awake”. Immancabile l’agrodolce “Zeta Reticoli” che ha chiuso i giochi insieme a “Ogni Attimo”, ultima traccia dell’ultimo album in studio Welcome In Disagio. Vado via dall’affascinante location del Mare Blu (a proposito: un locale che dà spazio alla musica dal vivo e a queste iniziative non può che meritarsi una vagonata di applausi) felice, ma con un pizzico di amaro in bocca. Sarà perché vorrei che i Meganoidi, grazie a un improvviso colpo d’ali, potessero essere elogiati per il coraggio che solo i buoni (e non i cattivi) dei cartoon hanno nel profondo del loro cuore.

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Wu Ming Contingent – Bioscop

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Nati dalle ceneri di una moltitudine di band della scena Hardcore italiana (Nabat in primis di cui faceva parte il chitarrista Riccardo Pedrini a.k.a. Wu Ming 5), gli Wu Ming Contingent prendono il loro nome dall’album Wu Liao Contingent, pubblicato nel 1999 dai quattro principali collettivi di Oi! Punk cinese. Il brodo primordiale fatto di Offlaga Disco Pax e dell’inevitabile connubio CCCP/CSI di cui Bioscop è ghiotto, non presenta raggi di sole melodici in nessuna delle dieci tracce, eccezione fatta per “La Notte del Chueco”, probabilmente la canzone più potabile del lotto. In realtà Bioscop è costituito da storie, che hanno per protagonisti sbilenchi personaggi storici, narrate dalla ridondante voce dell’ex Frida Frenner Giovanni Cattabriga, che agisce qui con l’alias Wu Ming 2. Se non si è vigili all’ascolto anche per un solo secondo, si potrebbe solo sentire un brusio e le parole scorrere pressappoco così: “BlahBlahBlah…Bono Vox….BlahBlahBlah…Che Guevara…BlahBlahBlah…Apartheid”. In uno dei rarissimi istanti in cui i testi si discostano dalle ingombranti tematiche politiche, ci si ritrova a sorridere prestando l’orecchio al racconto dell’esistenza sportiva del calciatore Sócrates, nel brano omonimo, famoso più per le gesta nelle notti fiorentine che per quelle nel campo da gioco. Ogni tanto il suono del sax di Guglielmo Pagnozzi tenta di spezzare la monotonia. Missione non perfettamente riuscita: gli sbadigli hanno il sopravvento e anche la mia buona volontà di trovare dei pregi a questo lavoro vengono meno.

La Rivoluzione non sarà trasmessa su Youtube (come recita l’incipit della quinta traccia). Dev’essere rimandata a data da destinarsi. Magari a quando gli Wu Ming Contingent avranno trovato la loro giusta dimensione.

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Serazzi & La Cucina – Á la Carte

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Personaggio poliedrico e camaleontico, Paolo Serazzi è un eclettico entertainer conosciuto per aver composto con i Bluebeaters la colonna sonora del film Ravanello Pallido con Luciana Littizzetto. Ma non solo. Collaboratore RAI da diversi anni, ha prodotto sigle per programmi per ragazzi e spettacoli teatrali. Nell’epoca dove in televisione è impossibile non incappare, facendo zapping, in uno show che non abbia come protagonisti fornelli e scodelle e dove i giovani chef nostrani come Simone Rugiati e Alessandro Borghese ostentano la loro passione per la musica. Serazzi si toglie giacca e cravatta per indossare il grembiule e ribattezzare l’orchestra che lo affiancherà con il nome La Cucina. Da subito si capisce che i toni saranno divertenti e divertiti, il primo singolo “Come Una Rumba” ha un effetto sveglia che coinvolge e fa muovere le gambe a tempo, che lo vogliamo oppure no. Fan conclamato di Paolo Conte, le influenze che ha su di lui il cantante piemontese (come lo stesso Serazzi tra l’altro) si fanno vivide in brani come “Con Un Salto” o “Laundrette Soap” (anche se qui si sfiora il plagio con il sound di Fred Buscaglione). Sono molteplici i generi toccati, anche se vige un’allegria di fondo sempre molto presente, con poca voglia di prendersi sul serio. In tutto questo divertissement trova lo spazio anche una ballad, “Mundo Mejor”, cantata metà in italiano e metà in spagnolo, impreziosita dai guizzi di una sezione fiati ispiratissima, come per tutto l’arco del disco, del resto.

Gli ingredienti usati per condire Á la Carte sono tutti prelibati, ma col dosaggio sbagliato potrebbero risultare indigesti. Mescolare (ed ascoltare) con cautela.

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Band Bunker Club – Musica per Cafalopodi e Colombi Selvatici

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La band astigiana sa essere evocativa e raffinata ma sa anche prenderti a schiaffi usando le parole al posto delle mani.
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Banana Mayor – Zombie’s Revenge

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Dopo anni di attività live, i baresi danno alla luce il loro primo EP autoprodotto.
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Majakovich – Il Primo Disco Era Meglio

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Come si evince dal titolo, Il Primo Disco Era Meglio è il secondo lavoro del trio umbro Majakovich. Ultimamente è molto semplice associare l’Umbria al simpatico Luca Benni e alla sua etichetta To Lose La Track, la quale ha confezionato, insieme ad altre etichette discografiche (Metrodora Records e V4V Records), questo disco. Gli alfieri indiscussi della To Lose La Track si chiamano Gazebo Penguins. Se pensi a loro è impossibile non farsi venire in mente la barba di Capra, fautore, guarda caso, del booking de Il Primo Disco Era Meglio. Tuttavia i tasselli del puzzle non ancora hanno finito di combaciare: il refrain di “La Verità (E’ Che Non La Vuoi)”, con le sue curvature Emo Rock, può tranquillamente essere scambiata per un brano dei “pinguini”. Assonanze si notano anche con il coro di “Devo Fare Presto”, simile, eppur dissimile, a “Calce” dei Fast Animals And Slow Kids, conterranei (e le coincidenze paiono non cessare mai) dei Majakovich. Attenzione però a non scambiarli per delle pallide imitazioni di band un pelo più blasonate, perché è necessario avere ben stampato un concetto nel cervello: il terzetto in questione, se ci si mette, è in grado di sovvertire addirittura il naturale svolgersi degli eventi.

Il basso granitico di “Perché Francesco Migliora”, sgranocchierà sassi finché non verrà interrotto dal tenerissimo pianoforte che introduce “Colei Che Ti Ingoia”. Praticamente la tempesta prima della quiete. Due punti focali che fanno lievitare il voto sono senz’altro i testi e le melodie dannatamente catchy. Se poi i due fenomeni entrano in rotta di collisione, ci potremmo trovare a cantare a squarciagola in coda alla cassa di un supermercato E io non me lo scordo quell’inferno. Faceva troppo freddo, ritornello di “L’Hype Del Cassaintegrato”. I quaranta minuti circa che compongono Il Primo Disco Era Meglio, vanno via che è una bellezza, sono pochissimi gli scivoloni nell’autocompiacimento. Esempio lampante, in questo senso, sono gli arpeggi infiniti posti nel finale della malinconica “Una Vita al Mese”. Ma è un’eccezione, un minuscolo neo di un lavoro che non mostra mai il fianco e non ha punti deboli evidenti.

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Moro & The Silent Revolution – Home Pastorals

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In uscita il prossimo 6 Maggio per la Gamma Pop, Home Pastorals rappresenta il terzo album del cantautore Massimiliano Morini, il quale completa con esso il discorso intrapreso con il precedente EP Homegrown, un lavoro che ha riscosso un notevole successo come testimoniato dal fatto che il brano “City Pastoral” sia stato scelto come sigla per il programma enogastronomico Orto e Mezzo, in onda sull’emittente LaEffe. Ed è proprio il pezzo sopracitato ad aprire le danze con le sue melodie Folk che ricordano da vicino i nuovi esponenti del genere come Fleet Foxes e Dry The River (a proposito, pare sia confermata la loro partecipazione al Siren Festival di Vasto che si terrà quest’estate). Stavolta per un lavoro che potrebbe segnare la svolta, Moro ha deciso di farsi affiancare dalla fidata crew di musicisti The Silent Revolution, formata da Lorenzo Gasperoni (chitarra), Franco beat Naddei (tastiera, ma anche artefice del mixing e del mastering), Denis Valentini (batteria), Elisa Piraccini e Paola Venturi (backingvocals). Una scelta che risulterà determinante per tutta la durata del disco e che raggiunge l’apice in alcuni episodi come “YouDeserve”, canzone che sembra camminare in bilico tra i Pearl Jam e i Queens Of The Stone Age, entrambi colti nelle loro versioni più soft.

Man mano che si va avanti, tra armoniche a bocca e percussioni tribali, vengono alla luce tutti gli spettri musicali che hanno influenzato il song-writing: dai mewithoutYou (“Down”) fino ai The Shins (“Home Away”). Menzionerei in modo particolare l’oscura “The Years”, dove la voce, a più riprese, rompe, trionfalmente, la monotonia del ritmo cadenzato dell’esecuzione. Home Pastorals è un disco intimista, mai sopra le righe, ma non per questo banale. Non ci sono cadute nell’ovvio, l’artista è ben conscio delle sue potenzialità, le sfrutta tutte e ci confeziona una perla rara nell’opaco oceano in cui, purtroppo, naviga al giorno d’oggi la musica nostrana. Dopo i riminesi Girless And The Orphan, un’altra promessa mantenuta dalla scena Indie-Folk del bel Paese.

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