Riccardo Merolli Author

Presidente emerito di Rockambula. Non studia non lavora non guarda la tv non va al cinema non fa sport.

Formanta! – Everything Seems So Perfect From Far Away

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Dopo alcune cose fatte in passato (alla memoria anche di Rockambula) arriva il primo disco ufficiale per i Formanta! la lunghezza del titolo Everything Seems So Perfect From Far Away la dice lunga (e questo ingenuo gioco di parole nasce dal cuore) sul naturale spaziare del sound in questione, su tutte le sfaccettature artistiche toccate in maniera sobria e gentile. La musica non subisce mai imprecisioni, l’imbarazzo manca. Ebbene si, siamo contenti di non essere nati soltanto per subire.

Pensavo e ripensavo mentre ascoltavo, questa voce femminile prende sapori conosciuti al palato, poi Kate Bush mi appare come una figura celeste e per qualche momento è lei la voce mentore, poi si cambia direzione e rimango nuovamente spiazzato. Sarà colpa di quel basso deciso nell’esecuzione, di quelle chitarre che si dilungano in assoli rock sessantottini, di quell’ambiente decisamente e miticamente new wave. Non elettro new wave, solamente new wave. La new wave post punk degli Smiths dove a volte la band vuole arrivare, passando per fantasiosi paesaggi innevati dove un timido maggio fatica a portare primavera e colori. I Formanta! maturano con gli anni portandosi sulle spalle il peso dell’attuale scena musicale dove è difficile farsi spazio tra tonnellate di immondizia suonata e diffusa tramite internet, dove la bellezza della libertà mostra inesorabile il rovescio marcio della medaglia, perché tra artisti dell’ultimo momento e camerette studio è davvero difficile fare una selezione dignitosa. Preferisco parlare di loro e delle sensazioni legate a questo concept moralmente corretto e senza inganno, della reale certezza di avere nello stereo qualcosa di vero, di una batteria, un basso nudo e teso, una chitarra, della capacità di trasmettere emozioni parallele ad ogni personale stato d’animo. Sono pronto per accogliere Everything Seems So Perfect From Far Away dei Formanta!, ho capito di averne le capacità. Un inizio che promette veramente bene.

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Nicolas J. Roncea – Old Toys

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Giuro che un giorno imparerò a sognare, a disegnare nuvolette di panna con acquerelli chiari su sfondi scuri.  Non tanto per me, per accontentare gli altri. Un sound che ti avvolge come una coperta nel cuore di una gelida notte di gennaio, anni settanta nelle corde vocali, attitudine country. E’ il secondo disco di Nicolas J. Roncea battezzato Old Toys. Il sorriso viene meno lasciando spazio ad un magone intenso ma allo stesso tempo ben voluto, la stranezza del dolore che qualche volta porta piacere, la genuina semplicità di un disco suonato con il giusto appeal, poco sensuale e molto emotivo. Perché basta una chitarra ad allungare orizzonti, il semplice timbro della voce, qualche effettino elettronico piazzato al posto giusto e qualche onesta collaborazione (Mattia Boschi, Luca Ferrari, Ru Catania, Gigi Giancursi e Carmelo Pipitone) per mettere in piedi un album di tutto rispetto. Poi il talento Nicolas J. Roncea, è ovvio. Vuoi comprare il mio cuore?  Lo vendo al migliore offerente. Trovo analogie con gli esordienti Annie Hall e spero in questa cosa, poi mi strapazza per la testa anche la vissuta chitarrina di Bob Corn e del suo The Watermelon Dream , un susseguirsi di somiglianze vaghe, inutili, invadenti. Old Toys si lascia gustare interamente senza malizia, cantautorato elegante che esce dalla nicchia porgendo la mano verso l’indie pop più sofisticato, l’energia della melodia assale le nostre papille gustative, le atrofizza. La luce inizia ad invadere la stanza.

Io mi lascio investire da questo disco maturo, pronto per gettarsi nella folla senza arrossire, tenendo sempre alta la qualità della musica espressa. Old Toys è un buonissimo disco, Nicolas J. Roncea è un ottimo cantautore dei giorni nostri.

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Nicolò Carnesi – Gli Eroi non escono il Sabato

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Se scappi potrai trovare di meglio oppure soffrire in eterno, se resti non hai mai capito un cazzo della vita. Vorrei scappare ma non posso.

Nicolò Carnesi decide di prendere per il culo la musica italiana, freddo cantante con il sorriso beffardo di chi sa dove andare a colpire, il suo fendente affonda sempre nel punto esatto, un colpo da maestro. Perché il suo album Gli Eroi non escono il Sabato (arriva dopo un singolo e un ep) non garantisce mai stabilità emotiva, il sound  introverso  spezza l’equilibrio tra dover essere cortesi e diventare giustamente stronzi. Forsennato nei ritmi modernizzati da cantautore degli anni zero, venditore sperimentale di gioia e dolore, la rivoluzione la lasciamo fare a chi ormai non ha più niente a cui pensare, a chi prega per un mondo maledettamente migliore. Per noi è già tanto farsi sentire almeno una volta nella vita. Undici canzoni diverse tra loro, vorrebbe pietrificare tutto in Medusa sospinto da un energica voglia di scappare lontano per poi non tornare più. Poi veste il cuore di sentimento in Forma Mentis, cerchiamo uno spazio e facciamolo nostro, nessuno deve vedere cosa siamo in grado di sognare io e te. La musicalità prende una posizione importante, le note devono appartenere alle parole e Carnesi decide come un arbitro severo le sorti della partita.

Ci vedo dentro la vena irriverente e presuntuosamente bella di Ivan Graziani, ne sono certo, dal primo accenno di chitarra Ivan è tornato vivo, e non è roba da poco. Nicolò Carnesi travolge tutto quello dinanzi a se, impatto immediato per uno dei migliori cantautori dei nostri tempi, Brunori trema, suda freddo, teme il confronto. E’ arrivato quello che tutti noi volevamo? Abbiamo di certo bisogno di un Kinder cereali all’amianto. Sicuramente, ma preferisco la sua voce ondeggiare sulle note di un lento e incisivo piano in Penelope, Spara!, le corde metalliche della chitarra fanno sanguinare e non poco le mie mani. Io mi lascio violentare dai sogni, ne ho avuto il coraggio e adesso pago il conto. Gli Eroi non escono il Sabato imprime lacrime di felicità su una situazione troppo amara da ingoiare, Carnesi canta la vita come dovrebbe essere cantata senza fronzolini stupidi e superflui. Siamo grandi e grossi per capire che Nicolò Carnesi ha grande talento e canzoni per tutti quelli che le sappiamo apprezzare, è presto per santificarlo ma il disco è una bomba.

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Gianluca De Rubertis – Autoritratti con Oggetti

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Il problema è sempre lo stesso, fare album mediocri cercando di alzare il tiro buttandoci dentro collaborazioni importanti (Dell’Era e D’Erasmo degli Afterhours, Enrico Gabrielli, Lorenzo Corti, Andrea Rizzo, Pete Ross, Matilde De Rubertis, Lucia Manca e una sfilza infinita di altri) e fare leva su quello scritto e suonato in passato pensando di avere sempre il coltello dalla parte del manico. Gianluca De Rubertis ex Studio Davoli e famoso alla massa per il duo Il Genio (chi non conosce Pop Porno?) decide di farsi un disco tutto suo editando per Niegazowana l’esordio da solista Autoritratti con Oggetti. Si capisce subito  che l’ascolto non sarà dei più semplici, vorrei fosse facile ma purtroppo non lo è quasi mai. Attenzione, i testi che girano attorno al mondo delle donne sono interessanti, si scherza con l’amaro in bocca ma tutto pesa troppo sulla mia giornata appena iniziata. Voglio tornare ad essere spensieratamente felice.

Autoritratti con Oggetti guarda verso quel cantautorato italiano della metà degli anni sessanta cercando di diventare personale in maniera fallimentare, un disco che si piazza con una scarpa nella scena indipendente e l’altra nella musica d’autore. Tanto per cercare consensi ovunque sia possibile farlo. I brani sono sempre curati e non vogliono mai apparire scialbi di soluzioni alle orecchie di chi ascolta, fiati, violini e chitarre si mescolano meticolosamente, la classe (e quella non manca) di Gianluca De Rubertis fanno il resto. Un disco musicalmente corretto ma senza sensazione, forse era meglio continuare a volare nei propri soffitti, noi abituati a Pop Porno ci sentiamo completamente spiazzati da qualcosa che vorrebbe sembrare più grande di quello che realmente è, la prima mossa è stata giocata frettolosamente male. Aspettiamo di vedere una reazione convincente da parte di chi ha aiutato e non poco a dare notorietà alla musica indipendente italiana. Per ora affronto De Rubertis a muso duro.

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Stones Of Revolution: il nuovo album dei Thee Jones Bones

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A due anni di distanza dal successo di ‘Electric Babyland’ torna l’energica rock band bresciana. Il quarto disco è una sterzata verso sonorità più classiche: rock ‘n’ roll, soul, country e blues tra i Rolling Stones e i Black Keys.
“Stones of Revolution è nato dall’intenzione di mollare l’acceleratore e tornare, come spesso capita, alla musica da cui tutti siamo venuti: il blues, il soul e il rock! “. Screaming Luke Duke (vocalist e chitarrista) è decisamente orgoglioso del ritorno dei suoi Thee Jones Bones alle origini: il quarto album della rock band bresciana segna il passaggio a sonorità più classiche e vintage, senza disperdere la grinta lo-fi e l’asperità punk che il gruppo ha sempre avuto, soprattutto nei numerosi live.

Nati nel 2006 e autori di tre album accolti molto favorevolmente dalla critica e dal pubblico, i Thee Jones Bones hanno una storia ricca di concerti e di cambiamenti di formazione: per il quarto album Luke i suoi si sono stabilizzati nell’inconfondibile quartetto rock, aperto tuttavia a numerosi ospiti, tra i quali spicca lo spericolato performer vocale Boris Savoldelli. Stones Of Revolutionconferma la devozione dei TJB al linguaggio rock più radicale – in particolare quello anni ’60/’70 – ma con una marcia in più: la combinazione di suoni acustici, riff blueseggianti, richiami boogie, soul e rhythm & blues.

Screaming Luke Duke (chitarre, voce), Brian Mec Lee (batteria), Frederick Micheli (chitarre, voci) e Paul Gheeza (basso, voci) dedicano Stones Of Revolution alla rivoluzione del rock ‘n’ roll e a tutti i rockers: “Suonare rock significa essere onesti con se stessi e con gli altri e portare rispetto per chi ci circonda e per tutto ciò che c’è stato. È anche il nostro modo di vedere la musica: senza rispettarla non ha senso nemmeno pensarci!”. La dedica a Ron Wood dei Rolling Stones in Woody’s walk non è che uno dei numerosi richiami ai maggiori esponenti della cultura rock di ieri e di oggi: Led Zeppelin e Black Keys, Allman Brothers e Jon Spencer Blues Explosion sono tra i maggiori riferimenti della band, che non deluderà gli amanti del genere.

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Il Disordine delle Cose – La Giostra

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Una lacrima scende sulla guancia fino ad arrivare sulle labbra, un sapore bellissimo, il cuore si stringe. Siamo ancora capaci di piangere, non è affatto roba da poco. Il Disordine delle Cose arriva al secondo album La Giostra confermando ampiamente (e ancora di più) i consensi caricati sulle spalle due anni prima con l’omonimo esordio discografico. Questa volta si registra in Islanda con autonoma produzione (Cose in Disordine) nello Sundlaugin Studio con la complicità di Birgir Jòn Birgisson, il fonico e manager dei Sigur Ros. Tutto detto, artisticamente c’è solo da guadagnare.

Il suono intimo e tondo de Il Disordine delle Cose scardina subito il male dalla mia vita, si entra velocemente a contatto con qualcosa di interiormente valido, il sentimento comanda sempre e comunque le nostre azioni, non siamo mai stronzi abbastanza. Lascio andare il disco desiderando fortemente di ascoltarlo e riascoltarlo ancora senza tregua perdendo il contatto logico con la realtà, i suoni sono strutturati e legati tra loro in maniera dolce, un bacio sussurrato sulla bocca, la salivazione azzerata. Ho voglia di innamorarmi ancora. Si parla di promesse non mantenute e rapporti finiti ma tirati avanti per inerzia nel singolo/video anticipa disco Sto Ancora Aspettando, interpretazione concreta quella del cantante Marco Manzella che si butta nel mezzo di vortici infiniti mantenendo alto il profilo della canzone d’autore. “Il tuo respiro è un attimo tra il dire e il fare” in Mi Sollevo la dice lunga sull’incertezza delle decisioni, sulle scelte che contano nella vita. Qual è la scelta giusta? Avere il coraggio di lasciarsi andare? Quattordici brani per dare vita a La Giostra, passione da vendere e testi da cucirsi sulla pelle, il dolore insegna la vita, ho paura a esternare le mie emozioni. Un disco che aiuta a ritrovare quello che abbiamo celato nell’ipocrisia di una società infame e priva di cuore, l’amore è il bene ma anche il male. Il Disordine delle Cose ritrae indubbiamente una delle migliori band dell’attuale scena italiana, loro prendono questo posto con una deliziosa prepotenza, il loro disco suona come pochi altri in questo malinconico periodo. Da rivelazione diventano conferma. Con loro si potrebbe diventare persone migliori e tornare a piangere senza avere vergogna.

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Eusebio Martinelli and the Gipsy Abarth Orkestar – Gazpacho

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Voglio trasferire la mia mente lontano da queste situazioni grigie con cui tutti i giorni sono costretto a fare i conti, ho voglia di stramazzare per alcol, di danzare, di lasciarmi andare. Di una continua e instancabile festa, dalla sera alla mattina e poi ancora, fino a impazzire. L’esordio discografico di Eusebio Martinelli and the Gipsy Abarth Orkestar  con Gazpacho arricchisce di molto le mie conoscenze musicali facendomi apprezzare e non poco quella musica gitana con la quale non avevo mai stretto un dignitoso rapporto. Amore e odio. Avevo fatto le mie prime conoscenze tramite Goran Bregovic e la sua Orchestra per Matrimoni e Funerali ma niente era andato a toccare il cuore come in questo caso, sarà merito della stupenda chitarra flamenca, sarà l’umore favorevole ad accettare certe note.

Fatto sta che questa volta imparo piacevolmente una lezione di musica nuova, dove lascio da parte l’indiscutibile capacità tecnica dei musicisti e mi lascio strapazzare lasciandomi andare a improbabili quanto ridicoli balletti. Non è musica d’ascolto questa, bisogna viverla in pieno cogliendone i contrastanti sentimenti di felicità e tristezza che riesce a trasmetterci, un sound destinato a tutti quelli che vogliono afferrarlo senza distinzioni. Gazpacho mi è arrivato naturale senza che io gli destassi un attenzione particolare, musica balcanica fusa con quella andalusa, ritmi incessantemente belli, una pesca spaccata nel vino. Eusebio Martinelli dopo una ricchissima carriera artistica dove collabora anche con Vinicio Capossela, Kocani Orkestar, Mau Mau e Modena City Ramblers mette in piedi un orchestra di musicisti italiani e stranieri (Serbia, Bosnia e UK), lo fa con le intenzioni giuste dando vita a Gazpacho, il disco gitano dai sapori indie rock, un album alternativo con i suoni immortali del passato.

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Morrissey in Italia per cinque concerti!

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Di seguito le date prese dalla zine ufficiale del cantante True-to-you.net:

July 7 ROMA Cavea Auditorium
July 8 GENOA Arena Del Mare
July 10 MILAN Arcimboldi Theater
July 11 FLORENCE Cavea Nuovo Teatro Dell’Opera
July 13 GRADO Diga Nazario Sauro

Impossibile non andare…

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The Villains – Here Comes the Villain

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Arriva la bomba. Tre, due, uno… Boooooommmmm! E certo, non siamo mica così stupidi da farci saltare in aria all’improvviso. Decidiamo noi quando lasciarci lacerare la pelle fino a ridurla a brandelli, non importa dove andremo a finire. L’inferno sarebbe il posto migliore, il paradiso cerca eroi. Arrivano i The Villains con il loro esplosivo EP Here Comes the Villain, cinque pezzi senza respiro da spararsi a ripetizione, ancora una volta, e poi ancora, ancora fino allo sfinimento. Si perché vi verrà voglia di ascoltarli sempre e di maledire quell’ep da solo cinque misere canzoni! Forse un album avrebbe saziato quell’improvvisa fame oppure avrebbe deluso alla distanza ma abbiamo voglia di goderci quello che ora ci passa per le orecchie. Frustrazione del rock paranoico in chiave alternative wave, il garage rock, Giorgia canta e fa la differenza nonostante un mastering che spinge decisamente bene l’intero lavoro, musica attuale con l’occhio strizzato al passato, il bello e il cattivo tempo. Gli abiti sporchi del rock hanno il loro peso, i The Villains sembrano indossarli con una cialtrona eleganza figlia dell’irriverenza artistica, la bellezza della musica che libera la mente. Loro simpatizzano Patti Smith ed esorcizzano la voce inarrivabile di Siouxsie, loro sono una bellissima scoperta, loro meritano seriamente di essere considerati a dovere in un mondo musicale pieno di merda. Non voglio aggiungere altro, poche parole belle, sincere e senza peli sulla lingua, cercateli dove potete, sono la band che vi cambierà l’umore della giornata.

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Paolo Andreoni “Un Nome Che Sia Vento”

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dal 3 Aprile 2012 da Controrecords / New Model Label – in tutti gli store digitali e da fine Aprile in cd, distribuito da Audioglobe

“Un nome che sia vento” è il secondo disco di Paolo Andreoni.

L’album è una riflessione su solitudine e libertà come i due lati della stessa medaglia. Testi ed atmosfere oscillano tra rabbia e malinconia, con canzoni che allargano l’orizzonte verso panorami meno reali, luoghi di fuga e di sogni. Un disco d’ascolto: a metà tra la canzone d’autore e il post rock, con qualche apertura all’elettronica e con chiari rimandi al chitarrismo africano, di cui si inseguono le armonie nei quattro strumentali presenti nel disco. Un album che ha come orizzonte geografico il deserto: quello reale, quello che appare in controluce nelle metropoli e i nostri personali deserti quotidiani.

Il nuovo disco segue di due anni l’uscita del precedente “La Caduta delle città del Nord”(2009), accolto favorevolmente dalla critica nazionale e ospite delle serate de “Il Tenco ascolta” nel 2010. Nel 2010, sempre con la collaborazione della Bussuku Bang!, esce il singolo “Il destino di una nazione”: la title-track è una descrizione caricaturale e grottesca del panorama politico italiano; “Tinariwen”, l’altro brano incluso nella raccolta, è un travolgente strumentale su armonie africane, nel quale si fondono le melodia del blues del Sahel e l’afrobeat di Fela Kuti.

“Un nome che sia vento” è stato prodotto da Paolo Andreoni e Davide Terrile, con la collaborazione di alcuni elementi della Bussuku Bang!: Mauro Mazzola (chitarre) e Roberto Ambrosioni (tastiere). Invitato speciale: Davide Cornoldi (batteria).

Prossime date:

3 Aprile 2012 @ Blu Radio Veneto – Padova (tbc)

4 Aprile 2012 @ ARCI Origami – La Spezia

7 Aprile 2012 @ ARCI Materia Off – Parma

8 Aprile 2012 @ Rifugio Valle Del Drago – Roncobello (BG)

9 Aprile 2012 @ ARCI Casa Malasangre, Seregno (MB)

11 Aprile 2012 @ ARCI Carichi Sospesi – Padova

12 Aprile 2012 @ ARCI Scighera – Milano

13 Aprile 2012 @ ARCI Agorà – Cusano Milanino

14 Aprile 2012 @ ARCI Sud – Torino

15 Aprile 2012 @ Druso Circus – Bergamo

Link: http://www.paoloandreoni.it/

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The Marigold – Let the Sun

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Ho sempre avuto un legame speciale con il sound dei The Marigold, quella cupezza dark wave figlia dei miei insistenti ascolti, un amore sincero al quale non posso tirarmi indietro. E non lo farò di certo adesso. Non li ho mai cercati in verità, sono arrivati a rendere omaggio al genere più suggestivo del mondo. Io li amo per questo. Dopo tre dischi elogiati dalla critica e non solo, i The Marigold decidono di ristampare il loro pezzo forte Tajga (terzo album) accompagnato da un EP Let the Sun in collaborazione con Alessandra Gismondi presa in prestito dai Pitch, una nuvola nera inizia lentamente a coprire il cielo. Poi la pioggia.
Quattro pezzi, l’inedito Let the Sun e tre brani ripresi dalle ultime live performance della band, Degrees, Exemple de Violence e Erotomania, tutto ancora fuori per Deambula Records / Acid Cobra. Ho perso il sapore della primavera fresca d’ingresso durante gli ascolti dell’EP dove Let the Sun sarà per la novità, sarà per la bellezza riesce a cambiare la stagione del mio umore mettendolo a proprio agio con la persona che effettivamente vorrei essere, non afferro mai il vortice delle chitarre, le voci si mischiano in un mix di dolore e piacere. Tanti sussurri scavano solchi indescrivibili. Poesia del genere. Ritmica forsennata.

Oggi non ho voglia di piangere, mi trattengo, devo uscire. Poi avanzo con i brani live, poca la differenza con le studio version, lo spessore che divide i The Marigold dalle altre band inizia ad alzarsi parecchio, niente è per caso, alla fine tutti i nodi vengono inevitabilmente al pettine. Un Requiem dark inneggiante alla musica “sincera” dove i The Marigold giocano un ruolo fondamentale tra sacro e profano, musicisti e musicanti di questo nuovo tassello della sempre più importante new wave italiana. Siamo tutti malati, cerchiamo una cura. Sarà magari questa?
Stiamo a guardare, in fondo non ha mai venduto un cazzo la new wave.

 

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Forgotten Tears il Video ufficiale di ‘Final 24’

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E’ stato pubblicato sul canale YouTube di BlankTV il video ufficiale dei FORGOTTEN TEARS della canzone “Final 24”, secondo estratto dal fantastico album di debutto “Words To End” pubblicato nel 2011 dall’etichetta To React Records.

Le riprese del video sono state effettuate in occasione del live che la band ha tenuto all’Honky Tonky di Seregno (MB) lo scorso settembre.

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