Riccardo Merolli Author

Presidente emerito di Rockambula. Non studia non lavora non guarda la tv non va al cinema non fa sport.

Alvaro Van Houten: Non Sono Bello, Piaccio!

Written by Live Report

Gianluca Torelli nella vita quotidiana diventa Alvaro Van Houten nella scatenata quanto imprevedibile vita artistica, come sua ammissione la sua “carriera” vive di sporadiche esibizioni dal vivo. Il suo mondo è certamente soltanto il suo e nelle live performance cerca di trasportare i presenti in questo mondo fatto di musica “diversa” che sbatte contro l’immortale leggerezza del trash d’autore e non. Insomma  Alvaro Van Houten rappresenta quell’artista al limite della follia che noi di Streetambula non potevamo farci scappare. E’ la data numero due, una settimana prima eravamo stati deliziati dalla rossa Doriana Legge (@ Caffè Del Corso, Pratola Peligna AQ), abbiamo puntato quasi alla cieca su Alvaro Van Houten per scaldare il Roxy Bar di Pratola Peligna AQ, non ci siamo sbagliati. Anzi. Goduria per tutti. Il ragazzo arriva nel pomeriggio mostrando subito le sue simpatiche qualità di relazionarsi con le persone, è paffutello, bassetto, porta gli occhiali e un simpatico accento della costa abruzzese. Monta il suo ampli per chitarra all’esterno del locale, stringe un,amicizia quasi amorevole, adolescenziale con Luca “Barabba” Colaiacovo (colonna del progetto Streetambula) e chitarrina alla mano girano per il corso di Pratola Peligna tra bar e increduli passeggiatori facendo una promo allucinante alla concerto che doveva consumarsi dopo poco tempo all’esterno del Roxy Bar.

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Noi, sempre a fiducia, abbiamo intuito che l’aria era quella giusta e profumata, sempre a naso abbiamo capito che quel simpatico cicciottello era uno che con la gente sapeva trattarci e come. Bene, accende le lucette di Natale che si è giustamente portato come scenografia d’alto livello  e il concerto può prendere inizio. Tutto il suo disco a cannone, parte subito con una grande voglia di far conoscere il proprio repertorio portato costantemente in promozione ovunque sia possibile farlo, la gente presente s’invoglia sempre di più e a rotazione vengono suonati in accompagnamento tutti gli strumenti portati da Alvaro e non, maracas, bongo, bottiglie, bicchieri e persino una vuvuzela. Avete capito bene una vuvuzela che il buon Fabiolino Presutti, in veste di dj della Zuzzurris NaccaPres nonché del progetto Streetambula, spara a polmoni aperti nell’orecchio del malcapitato Alvaro. Quello che istintivamente esce dalla bocca dell’artista è: “N’gulo a mammete, di cuore!”. Risate a crepa pelle e concerto che inesorabilmente tira dritto fino alla fine senza grandi intoppi tra pezzi propri e qualche cover presentata dallo stesso Alvaro oppure richiesta dal pubblico presente che ormai era entrato di diritto in quel mondo personalissimo di Alvaro Van Houten di cui parlavamo prima. Adesso la serata viene affidata alla selezione trash della ditta Zuzzurris NaccaPres che non delude mai, considerando la fresca scomparsa di Zuzzurro da cui gli artisti hanno ispirato il loro nome. Ebbene si, la seconda serata del progetto Streetambula al Roxy Bar di Pratola Peligna è stata all’insegna del trash, perché è possibile fare musica trash con stile ed eleganza, perché è bello prendere tante risate dietro lasciando stare almeno per qualche ora le lacrime, perché elargire felicità non è assolutamente facile, perché non sempre bisogna prendersi sul serio. Noi abbiamo scommesso, noi abbiamo vinto, la gente c’era e comunque si è divertita mettendosi nella memoria uno show indimenticabile, Alvaro Van Houten alla fine dei conti con grande professionalità riesce a far passare in secondo piano le carenze tecniche, la sua musica potrebbe essere suonata soltanto da lui, Alvaro Van Houten torna a casa contento e con la vittoria in tasca. Alvaro Van Houten ha vinto, il pubblico ha vinto ma soprattutto ha vinto Streetambula. Noi non ci fermeremo mai, coming soon…

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Tiger! Shit! Tiger! Tiger! – Forever Young

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Picchia duro Forever Young dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger!. Picchia talmente duro che la testa si spacca in due. La sensazione è quella del sudicio locale sudato nell’underground di New York, sembra quasi di bere birra con Thurston More fantasticando sulle dimensioni del pene di Kim Gordon, una presa diretta con l’illusione concreta del live, un Indie Rock made in USA. Non potrebbe essere altrimenti, a pensarlo registrato diversamente mi viene quasi un conato irrefrenabile e capisco che questo è il modo perfetto per spezzare la classica monotonia. Insomma, non è la solita cosetta Indie italiana modaiola e fighetta dallo spessore limitato, qui la musica esce fuori dal supporto materializzandosi improvvisamente. Che poi il concetto di fighetto possa assumere altre dimensioni sta all’ascoltatore deciderlo, in questo caso direi senza pelazzi increspati sulla lingua che Forever Young è roba Figa con la F maiuscola.

Dal primo pezzo che titola l’album vengono subito via tutti i dubbiosi preconcetti, Forever Young parte violento e incessantemente martellante (con “Forever Young”), chitarre storte che prendono largo anticipo sulla mia visione delle cose e poi stiracchio le gambe al suolo. Come essere calpestati da un escavatore e provare piacere. “Golden Age” mischia entusiasmo e tristezza, come alitare sulla propria immagine allo specchio. “Twins” t’ingoia per poi risputarti, echi di batteria incontrollabili. Per qualche assurdo motivo sento avanzare una tachicardia inspiegabile, ci sarebbe da lasciarsi scoppiare il cuore nella cassa toracica. Bellezza del sound sporco in “Whirlwind Weekend”. Poi il susseguirsi del percorso di Forever Young mantiene sempre una logica precisa, la gradazione continua a salire e l’enfasi del disco non lascia speranza a chi cercava di disfarsene senza rimanerne coinvolto. Le tempeste nella mente vengono pian piano spazzate via dalla più esplosiva “Rage”, volentieri accolta dal mio corpo come l’ultimo Negroni delle quattro del mattino, insostituibile.

I Tiger! Shit! Tiger! Tiger! scommettono molto su questo lavoro mettendo sul piatto un sapore difficile per intenditori dal palato fine, non esiste mai quella volgare banalità che a tutti farebbe comodo ascoltare per non ritrovarsi a fare i conti con della roba in grado di estrapolare sensazioni nascoste con le quali vigliaccamente non vogliamo avere a che fare. Forever Young rimane sul gradino alto della musica scritta in questi ultimi periodi, un disco concettualmente mirato e suonato con una verve prepotentemente fuori dal comune, erano anni che non sentivo un suono che allo stesso tempo esprimesse rabbia e felicità con una naturalezza impressionante. I Tiger! Shit! Tiger! Tiger! trovano il giusto equilibrio in questo disco arrivando finalmente ad assumere una propria identità artistica, adesso sarei in grado di riconoscerli fin dalla prima nota, loro hanno saputo crearsi una fisionomia ben precisa che nessuno ormai riuscirà a staccargli dalla pelle. Forever Young è roba grande da godersi senza troppe precauzioni. E poi adoro i riverberi.

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Neko at Stella – Neko at Stella

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Il Rock deve suonare sporco e duro, altrimenti non stiamo parlando di Rock. Ma di maledette influenze senza voce concreta. L’omonimo esordio discografico dei Neko at Stella impone le classiche regole del Desert Noise Rock nel miglior modo possibile, un lavoro mixato in analogico per rendere vive e bagnate le radici americane del sound. Un lavoro che suona datato di una ventina di anni ma in grado di mettere in evidenza la straordinaria potenza psichedelica della band, non è roba facilmente ascoltabile in Italia se proprio vogliamo dare un punto di originalità al disco, qui di made in Italy  non troviamo assolutamente niente esclusa la nazionalità di Glauco Boato (voce e chitarra) e Jacopo Massangioli (batteria). Pezzi interminabili che sembrano tirare fino all’infinito, la chiusura che non vuole mai arrivare butta l’attenzione a capofitto nella pesantezza Stoner dei pezzi a loro volta carichi di passione. Quella passione scritta in maniera dura ma comunque sinonimo di amore e vita vissuta, le batterie spaccano i timpani come è giusto che sia. Fucilata in pieno volto e poca voglia di discutere.

Si parte subito forte con l’opener “As Loud as Hell” (primo singolo e video del disco), le intenzioni poco delicate dei Neko at Stella vengono subito fuori facendo capire di che pasta sarà composto l’intero disco che sicuramente non è adatto ad un pubblico di spelacchiati amanti del Rock dolce (sempre se possiamo definirlo Rock), questa cosa inizia a piacermi veramente e sono ancora alla prima traccia. Poi si continua a picchiare e quasi provo dissolvenza mentale quando mi ritrovo negli intermezzi di chitarra appartenuti ai più tenebrosi Sonic Youth di Daydream Nation, sensazioni pure che passano per la testa, magari associo ma non centro il bersaglio. L’immaginazione gioca brutti scherzi, a me piace giocare con le mie emozioni e Neko at Stella ne produce a dismisura e fottutamente contrastanti. Anche gli oltre otto minuti e trenta di “Like Flowers” non sono proprio una soluzione semplice da affrontare per il mio cervello che s’impone di seguire un percorso Blues e vagamente Shoegaze senza azzardare bruschi movimenti, il pezzo che forse nasce per caso ipnotizza e piace tanto. Poi la tempesta riprende piede nell’improvvisazione strumentale di Intermission. Graffi infetti sulla schiena. Poi continuo a farmelo scivolare sulla pelle in maniera delicata, il piacere inizia ad aumentare anche perché il disco assume forme lievemente più leggere anche se in “Drop The Bomb, Exterminate Them All” trovo parecchie cosette scontate Grunge anni novanta alle quali siamo ormai troppo abituati. “The Flow” dichiara che il disco ha cambiato decisamente stile a favore di chitarre ritmate Blues. Poi motoseghe psichiatriche in Psycho Blues e tanta voglia di muovere il culo. Altre due canzoni dall’interiorità emotiva alle stelle e il disco finisce. I Neko at Stella hanno dimostrato la durezza della loro corazza ma anche la voglia di portare avanti un progetto musicale fuori dal coro, il loro omonimo esordio esce fuori dalla quotidiana routine, idee chiare e tecnica da incorniciare. Speriamo sia il piacevole assaggio di una band ancora tutta da scoprire, noi e la musica italiana abbiamo tanto bisogno di band e dischi di questo calibro.

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La Nevicata dell’85 – Secolo

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L’inverno sta per arrivare gelido a spezzare tutte le nostre modaiole sensazioni estive, il freddo suona Post Rock come La Nevicata dell’85, Secolo è il secondo disco della band che anticipa quello che sarà l’inverno “musicale” più freddo e impegnativo di sempre. Nascondersi dietro lo scroscio velenoso delle chitarre nervose di Secolo equivale a buttarsi senza ragione nel mezzo di un uragano, il cuore smette di pulsare, l’uragano ti divora. Il confine tra immaginazione e realtà si spezza, il sound adultero de La Nevicata dell’85 inizia a divorarti dall’interno, poi soltanto movimenti lenti e viziati. In questo autunno monopolizzato dai grandi e (a volte) finti ritorni Secolo trova spazio spingendo forte sulla leva della bellezza. Otto pezzi tirati come pochi nel nostro bel paese, otto pezzi dalle intenzioni bastarde.

Apertura che penetra nelle gelide ossa con “Attuale”, una lieve sensazione di solitudine, poi il nulla. Continuo a vagare nel buio seguendo uno spiraglio di luce che non raggiungerò mai, molto Massimo Volume dentro, le batterie piangono di rabbia, le chitarre scrivono dolore nell’aria, la voce urla, “Nostalghia”. Fuoco, il desiderio di un caldo fuoco. Poi “Secolo”, costrizione alla neve, la montagna, ancora tanto freddo. “Frammenti”, pezzi di vita! Basso meticoloso e puntuale, manca l’aria. Tutto intorno diventa un maledetto e incontrollabile caos in “Diorama”, corro ma non saprei proprio dove andare, vorrei dare forma al mio dolore se solo sapessi come fare. Ancora quello spiraglio di luce che cerca di insegnarmi la strada, che vuole scaldare il sangue ormai gelido in “Terra Che Attendo”. Le chitarre mi stordisco e non poco. “Sabato” e fuori piove ininterrottamente, soltanto martellante pioggia che sbatte contro un viso senza speranza, poi la sfido, non ho paura di niente ormai. Adorabili le chitarre flagellate da una impetuosa batteria. La fine della storia, “Terra Che Trovo”, ho perso ogni piccola possibilità di salvezza, scoppio di emozioni contrastanti, la paura si trasforma in felicità, ho goduto come uno sporco maiale. Provo quasi vergogna.

Ci sarebbe troppo da imparare dal disco de La Nevicata dell’85, ci sarebbe anche troppo da paragonare, certamente non abbiamo davanti un opera prima per quanto riguarda l’originalità ma non avevo bisogno di roba nuova quando mi sono cimentato nell’ascolto di Secolo, cercavo quello che poi faticosamente e con tanta passione ho trovato. Un disco intenso con il potere di renderti partecipe dei brani, una storia fredda in grado di coinvolgere completamente l’ascoltatore proiettandolo nelle atmosfere tristi del disco. Secolo è il disco dalle forti sensazioni, bisogna gustarlo nei minimi particolari e con un volume sopra la media per coglierne le molteplici sfaccettature. La Nevicata dell’85 registra un disco sopra le righe, tutto il resto scivola leggero come una foglia cadente che ci prepara ad un lunghissimo inverno Post Rock. Per fortuna un disco italiano, teniamocelo stretto stretto.

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Edoardo Cremonese – Siamo il Remix Dei Nostri Genitori

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Edoardo Cremonese torna con il suo secondo disco lasciandosi alle spalle il moniker di Edo, Edoardo Cremonese presenta il suo ultimo lavoro Siamo il Remix Dei Nostri Genitori. Il cantautorato italiano vive il proprio momento di gloria, o meglio, tanti decidono di fare il “cantautore” e tanta roba brutta e fortemente sopravalutata dagli addetti ai lavori non sempre coerenti con la qualità effettiva del prodotto finisce maldestramente nelle nostre orecchie prendendo il sopravvento sulle produzioni che meriterebbero davvero. Edoardo Cremonese prende la propria musica e la porge in maniera leggera, un ascolto poco impegnativo alla portata di tutti mantenendo sempre una linea impegnata nascosta dalla genialità dei testi e dalla freschezza della musica. Nel disco Siamo il Remix Dei Nostri Genitori tutte le qualità del cantautore vengono fuori in maniera netta, persino la mai nascosta predilezione per la musica del maestro Enzo Jannacci, un lavoro impreziosito dalle tante partecipazioni di artisti come Lodo Guenzi (Lo Stato Sociale), Nicolò Carnesi, Alberto Pernazza (Ex Otago). La copertina del cd è un quadro del pittore Carlo Alberto Rastelli raffigurante il ritratto di Cremonese. Bene, abbiamo fatto il nostro dovere di cronaca, ora pensiamo alla musica. Verrebbe subito da pensare che Edoardo Cremonese non vuole troppo prendersi sul serio giocando su un lavoro ai limiti del demenziale, per alcuni momenti pensavo fosse realmente così, mi sbagliavo. Sbagliavo alla grande. Siamo il Remix Dei Nostri Genitori racchiude al suo interno una quantità immensa di colori e teneri giochetti, una creatura bella nella sua semplicità. Il disco si apre con “Siamo il Remix Dei Nostri Genitori” (come il titolo dell’album), una canzone simpaticamente allegra che parla del passaggio di consegna del testimone dai genitori ai figli, tra gli anni ottanta dei Duran Duran e voglia di lasciarsi tutto alle spalle e partire per una vacanza. Poi “Super Eroi” e la sua orecchiabilità assoluta e la mia preferita “Samuele” con sonorità molto Beatles o comunque ballabilissime. Ritorno ad assaporare molta vivacità e nostalgia della mia infanzia quando arriva “Bagaglino” , il modo migliore per ridere sopra le cose, ricordate le mini figurine dei calciatori che uscivano nelle gomme da masticare? Qualcuno di voi possiede(va) quelle di Poggi o Volpi?
Nicolò Carnesi ad impreziosire “Il Re Nudo con le Vans, semplificazione in musica della metafora filosofica de “Il Re Nudo” avvistato per le strade di Palermo, non prendiamoci troppo sul serio.

Edoardo Cremonese rappresenta quella schiera di artisti che non dovrebbero mai mancare nella musica, quella inebriante musica a cui tutti dovremmo dare più attenzione per uscire fuori dalla pesantezza quotidiana con cui siamo costretti a fare i conti, io voglio legarmelo forte al dito questo lavoro. Oltre ad essere simpatico e soprattutto un buon disco di musica italiana, non lasciamoci ingannare dall’apparente semplicità, Siamo il Remix Dei Nostri Genitori è un album carico zeppo di emozioni di vita vissuta. Tutti dovrebbero ascoltarlo non lasciatevelo scappare.

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Madame Blague – Pit-A-Pat

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Proprio in questi giorni leggevo sui vari social network discussioni riguardo le possibili combinazioni (soprattutto di strumenti) che gli attuali musicisti dovrebbero adottare per avere un sound “nuovo” che si distacchi dalle solite cose, batterie elettroniche su basi acustiche, voci urlanti su musica classica e tantissime altre mescolanze di questo genere. Siamo tutti tanto stufi della solita minestra che il disgusto a volte precede l’ascolto del disco. I Madame Blague fanno il loro esordio con la DreaminGorilla Records editando il disco Pit-A-Pat che più o meno in italiano dovrebbe apparire come una “pulsazione”. Bene, alla domanda se questo disco risulti fresco e innovativo non mi tocca che rispondere con un secco no. Assolutamente no. E non cade certo il mondo, questo è sicuro, Pit-A-Pat suona vecchio di vent’anni ma non riempie affatto il mio stomaco di aria fetente, anzi. Lo trovo simpaticamente allegro e capace di suscitare contrastanti sensazioni durante l’ascolto, non tutto il vecchio viene per nuocere. Il disco si apre con “Join Us” e rimango colpito dalla volontà di rielaborare suoni quasi Hard Rock anni novanta, non sentivo il bisogno ma la cosa non mi dispiace affatto. “The Circus Never Stomps” vive di dure chitarre con voci e ritmiche Indie Rock, quello inglese per intenderci, molto movimento se no fosse per quegli assoli di chitarra troppo preistorici e pesantoni. Ancora movimento in “Escaped Whisper”, peccato ancora per gli assoli. Poi “ Tell Me” è una ballatona (fatta di voce e vocine) che somiglia troppo a quelle cose insostenibili che gli americani sono tanto bravi a fare. Gli altri due pezzi a seguire viaggiamo sempre sulla stessa cosa, francamente niente di rilevante. Vorrei che tutto andasse avanti il più velocemente possibile. E poi si ritorna a qualcosa di diverso e apprezzabile quando inizia il brano “Before”, una simpatica melodia alla Annie Hall con approccio da nave da crociera. Una scommessa vincente che diverte. Poi il disco si lascia gustare fino alla fine tra lampi, tuoni e sole forzatamente Reggae. Nel complesso i Madame Blague impegnano le loro capacità artistiche nella realizzazione di un album molto strano e variegato che a volte scazza altre piace, mettono dentro Pit-A-Pat tutto quello che possono con l’intenzione di centrare prima o poi l’obbiettivo. Un disco che potrebbe non piacere a nessuno o piacere a tanti, un lavoro talmente vario da non identificarsi precisamente con qualcosa, io non trovo malvagità evidenti e per almeno cinque o sei brani mi sono addirittura divertito come non mi capitava da molto tempo, Pit-A-Pat poteva essere meglio studiato e concepito almeno per quanto riguarda la linea da  seguire ma alla resa dei conti meglio sorridere ogni tanto che non farlo mai. I Madame Blague sono la parte allegra della mia giornata, prendeteli, fate una scrematura dei brani e gustateveli senza troppi pensieri per la testa.

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Cani di Diamante – Le Mie Creature

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Undici pezzi che sanno di amore acido sparpagliato tra arrangiamenti Rock e solide atmosfere pesantemente Stoner, è il secondo disco in studio per i bergamaschi Cani di Diamante, il frutto delle registrazioni completamente in presa diretta si chiama Le Mie Creature uscito sotto etichetta Ulula Records.  Non si scherza affatto con una visione decisamente Rock Italian Style portata gelosamente nel cuore dai Cani di Diamante, forti influenze provenienti dalle band più conosciute del Rock tricolore a comporre questo disco vario e imprevedibile. L’imprevedibilità che Le Mie Creature crea a volte risulta uno scombussola umore per chi ascolta. Il disco è tiratissimo ma con dei suoni vecchi arrangiati e suonati benissimo, la voce “precisina” e“fiscale” potrebbe piacere (perché merita davvero) ma con il rischio di stancare già dal secondo ascolto, esaltazione della tecnica per una mancanza di stimoli, un effetto innaturale quanto costruito a tavolino. Però c’è sempre un però a cui fare capo. Togliamo adesso il fatto che non ci troviamo davanti a nessun tipo di inventiva nel campo musicale e guardiamo il disco sotto la luce di un prodotto “normale” che non vuole fare la rivoluzione. L’album si apre con “Il Cantico”, pezzo bello tosto e dritto dalle somiglianze (soprattutto vocali) molto Litfiba, comunque sia una gradevole soddisfazione. Poi arriva “Seta” con un graffio dispettosamente Grunge. Il resto lo ascolto senza troppo entusiasmo perché non mi emoziono affatto nell’udire canzoni di puro Rock esageratamente italiano con delle chitarre obbligate a suoni molto sporchi per ragione di risultato. La presa diretta della registrazione risulta insostituibile per la riuscita dell’impatto de Le Mie Creature, non riesco ad immaginare una soluzione diversa, la forza dell’album deve tutto a questa scelta. Poi Rock italiano, Rock italiano, Rock italiano fino alla fine dei sensi, con un basso pesante e martellante preso in prestito alla produzione dei Tool o dei Kyuss (a voi il piacere della scelta), e la voce assume qualcosa di diverso in “Viola Cade”.  Poi Rock italiano.

E la sorpresa che non ti saresti mai aspettato arriva proprio nel finale con “Meglio di Così”, brano in cui spicca la notevole partecipazione di Nagaila, la cantante dei viaggi interstellari. Tutto sommato ci troviamo dinanzi un disco valido con alcune problematiche riguardanti la singolarità del sound, viene inevitabile il paragone di somiglianza con questo piuttosto che con quest’altro, Le Mie Creature dei Cani di Diamante risulta poco originale (e questo si era stra-capito) ma dalla buona orecchiabilità, un disco onesto di musica italiana che comunque si difende dalla feccia che ormai siamo costretti a spararci nelle orecchie. Non sarà sicuramente il miglior disco dell’anno ma neanche il peggiore. Un disco di Rock italiano.

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Lawra – Origine

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Laura Falcinelli dopo le sue esperienze da vocalist con “importanti e noti” artisti come Negrita e Jovanotti  oltre che un esperienza a SanRemo nel 2000 decide di dare spazio alla propria vena artistica registrando il disco d’esordio (tutto suo) Origine cambiandosi il nome in Lawra per omaggiare una città del Ghana a cui evidentemente si sente molto legata, l’Africa gioca un ruolo decisivo per la realizzazione dell’intero disco. Il risultato è un calderone di generi inverosimile, un disco a cui la bella Lawra non riesce proprio a dare una linea artistica precisa, sembra un prodotto esageratamente forzato e maledettamente incoerente. Capisco le intenzioni di miscelare vari generi e capisco la formazione artistica a trecentosessanta gradi di Lawra ma vogliamo anche pensare che quel disco qualcuno dovrà poi sentirlo? Cerchiamo di essere prudenti nelle scelte artistiche, non bastano le varie collaborazioni di spessore per la riuscita di un disco, in questo troviamo Gianluca Valdarnini (Negrita e Roy Paci) e Alessandro Cristofori (Sara J.Morris) più il feat quasi totale di B.B Cico”Z (Roy Paci), fare musica dovrebbe essere una condizione interiore necessaria prima di risultare soltanto apparenza. La voce di Lawra è molto bella e decisamente professionale, non parliamo certo di una emergente inesperta, il suo tono molto caldo e sensuale recupera qualche consenso ad un disco improbabile e senza via d’uscita, il manuale perfetto di come esordire nella maniera più sbagliata possibile. Dieci pezzi che spaziano senza logica dal Reggae alla musica tribale africana passando per accenni di Rock in chiave Dub, qualcosa preso singolarmente riesce anche a salvarsi ma in quel pentolone ribollente non riesco neanche a trovare la forza di ripetere gli ascolti. Un altro caso di artista che non riesce al proprio debutto da solista a lasciare il segno come avrebbe sperato, certe volte è meglio rimanere nella propria dimensione piuttosto che avventurarsi in esperienze completamente negative, ma come diceva un vecchio detto: “Sbagliando s’impara!”.

Lawra troverà la propria dimensione e riuscirà a trasmetterci emozioni con le proprie doti canore che sono certamente sopra la media, per adesso Origine rimane un disco poco incisivo e senza personalità, non aspettiamo altro che rivedere Lawra in una veste tutta nuova e con un lavoro degno della sua fama. La prima questa volta non è andata bene, speriamo nella seconda.

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Luca Milani – Lost For Rock’n’Roll

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Luca Milani arriva al suo terzo disco da solista con la voglia di far emergere la propria indole pesantemente Rock’n’Roll cercando di scrollarsi dalle spalle le ombre troppo ingombranti dei colossi della musica Rock internazionale, non riesce a digerire le proprie origini (purtroppo per lui) italianissime e sbatte violentemente contro il muro della ripetitività. Lost For Rock’n’Roll è l’ultima fatica del musicista milanese di nome e di fatto anticipato dal singolo “Silence of This Town” uscito per l’accoppiata Hellm Records / Martiné Records. Parliamoci subito chiaro e mettiamo davanti a tutto il fatto che il disco è suonato divinamente con un forte impatto sonoro e dal punto di vista musicale risulta ineccepibile, sembra veramente di ascoltare un disco di Bruce Springsteen sotto l’ombra di una bandiera a stelle e strisce, su questo non ci piove. Lost For Rock’n’Roll alla fine dei conti (e degli ascolti) sembra sempre di più un disco suonato egregiamente (continuo a sottolinearlo) ma dagli sviluppi troppo scontati e nostalgici, manca di carattere e questo mette la testa di Luca Milani sulla ghigliottina della superficialità, il sogno americano marcato a fuoco dentro l’anima in qualche maniera rovina il risultato finale di un musicista di indiscusso talento. Potrei stare qui per ore a parlare di quanto sia tecnicamente valido il disco, di quanto sublime sia quel passaggio piuttosto che quel riff ma l’emotività dove l’abbiamo messa? Il senso di originalità gettato alla deriva senza nessuna speranza di potersi salvare, ho quasi il timore di trovarmi davanti una banalissima cover band. Coraggio, cerchiamo di essere musicalmente sinceri e genuini. Un ottima produzione artistica ultimamente non corrisponde più ad un buon disco, un presentimento personale ormai troppe volte verificato, della serie non è tutto oro quello che luccica. Luca Milani suona divinamente ma con troppi fantasmi del passato nella mente, Lost For Rock’n’Roll è un buon disco Rock come tantissimi altri in circolazione, niente di più.  E’ da queste cose che un grande artista si differenzia da un bravo musicista.


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Streetambula. Abbiamo Vinto Tutti!

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L’estate sta finendo e Streetambula se ne va; abbiamo visto quello che (da noi) non si era mai visto e la lacrimuccia scende a bagnare le labbra spalancate da un sorriso a diecimila denti. La fatica e il lavoro di un’organizzazione non facile hanno reso il gusto della riuscita della serata molto più godibile sotto tutti i punti di vista. Il 31 Agosto in piazza Garibaldi a Pratola Peligna (AQ) le aspettative erano molteplici e la voglia di sentirsi sopra il tetto del mondo era tanta; cazzo, stavamo rischiando da tutte le angolazioni. La musica completamente originale non giocava sicuramente a nostro favore e questa maledetta estate piovosa poteva darci il definitivo colpo di grazia. Alla fine sapete com’è andata a finire? Una bomba. Esatto una bomba di emozioni s’impadroniva del cuore delle tante persone presenti quella sera. Un’armonia diversa da tutte le altre volte spirava nell’aria come non si era mai sentita prima. Pronti via e iniziava la prima edizione di Streetambula Music Contest.

Ai Dem il duro ma pregevole compito di aprire il Contest targato Rockambula; erano belli come ci aspettavamo che fossero, erano l’esperienza musicale che volevamo portare sul nostro palco, indimenticabili ballate blues in salsa etnica. Con loro non potevi sbagliare. Così è stato.

Poi Doriana Legge incanta tutti con una performance cantautorale rossa quanto i suoi corti capelli; l’attesa per lei è stata ampiamente ripagata. Non c’è nessuno che possa dire il contrario. Viene voglia di ascoltarla in eterno. Dolce e inebriante.

Le atmosfere diventano subito irrazionali quando sul palco si esibiscono i The Suricates, un concentrato di Post Rock da ingerire in assoluto silenzio, una carica interiore sconfinata e senza limiti. Loro sono fatti per confondere le idee e si sente. Diventeranno grandi.

Gli À l’Aube Fluorescente sono i padroni di casa; gli À l’Aube Fluorescente suonano come posseduti da demoni, suonano belli, dritti e potenti. Prestazione da tenere stretta stretta, impeccabili e maliziosi. Sono il nostro futuro, la nostra speranza.

Poi le chitarre dal graffio Grunge dei Too Late to Wake hanno scaldato l’aria; una profusione di energia all’ennesima potenza con pantaloncino HC a dispetto del fresco a tratti pungente. La rabbia e il sudore sul palco dello Streetambula.

I Ghiaccio 1 propongono un Alt Rock dalle varie contaminazioni, qualcosa di non catalogabile ma di notevole impatto, importanti e misteriosi come la scommessa di portarli su quel palco. Il pubblico ha apprezzato, non ci siamo sbagliati.

A fare gli onori di casa anche i The Old School; la loro carica R’N’R contagia velocemente tutta la piazza. Irresistibili. Sapevamo che con loro si andava sul sicuro, dal vivo sono una vera e propria macchina da pogo, impossibile rimanere piantati sotto le loro note. Il batterista risulta anche il migliore della serata e si porta via il primo premio (premio Hard Grooves Drum School)

A chiudere la serata gli stramaledetti De Rapage con il loro modo demenzialmente intelligente di vedere la musica si mettono in mostra appena salgono sul palco. Mostrano la loro tecnica tutti e cinque, suonano senza errori dimostrando che si può seriamente fare musica anche senza fare musica seriosa. Una esibizione impressionante che Pratola e il suo caldo pubblico non dimenticheranno facilmente.

Tutto lo Streetambula era contornato da spillette, libri, quadri, foto, etichette, vinili, cd, opere d’arte, magliette e tante belle cose; Streetambula non sarebbe stato quello che è stato senza di loro.
Alla fine la giuria (composta da gente bellissima!) ha deciso che i vincitori sono proprio i De Rapage; i punteggi di scarto con le altre band sono stati talmente minimi che la vittoria è da considerarsi di tutti, un vincitore purtroppo doveva esserci e la giuria ha meticolosamente osservato il regolamento per nominarne uno (credeteci, è stata davvero dura).
Abbiamo la certezza che tanta musica indipendente in queste condizioni da queste parti non si era mai vista e il prossimo anno noi saremo ancora in quella piazza a proporre sempre nella maniera migliore quello in cui crediamo. I vincitori sono tutte quelle persone che quella sera erano presenti, tutto il resto è soltanto un fottutissimo bluff. Streetambula; abbiamo vinto tutti.

Grazie, vi vogliamo un mondo di bene.

(Un video di Doriana Legge, per cavalleria nessuno si offenderà)

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Dimartino – Non Vengo Più Mamma

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Il vero cantautore è quello capace di portarti musica e parole dentro le vene, è quello capace di farti ridere, scherzare, piangere. Innamorare. E per quanto questa fosse una frase fatta e rifatta milioni di volte è così. E’ quello che in qualche modo riesce a raccontare le storie della tua vita, un animo turbolento e viziato del quale però non riusciremo mai a viverne senza. Poi in questi ultimi anni il cantautorato prende tantissime direzioni, quello che preferisco senza dubbio è quello che (senza stare a fare nomi già noti) nasce e si sviluppa nell’Italia meridionale. Dimartino è sicuramente sulla punta della piramide dei cantautori italiani degli anni dieci, belle canzoni, impatto live importante, genuinità. Sarebbe Bello Non Lasciarsi Mai, ma Abbandonarsi Ogni Tanto è Utile il precedente disco non lasciava troppo spazio alla critica negativa, una delle migliori produzioni italiane di quell’anno, uno dei migliori dischi italiani degli ultimi anni. Adesso decide di cambiare, sperimentare, rischiare. Il nuovo lavoro (un Ep) Non Vengo Più Mamma (unico supporto fisico in vinile) non è il disco che un fan di Dimartino si aspettava di ascoltare, o almeno in parte, c’è innovazione elettronica dentro, c’è un bel fumetto scritto da Dimartino e disegnato da Igors Scalisi Palmieri da leggere durante lo “sperimentale” ascolto del vinile.

Sei canzoni a comporre il disco (Ep), senza troppe riflessioni invernali come nell’opener “No Autobus”, il pezzo che da subito mette simpatia e leggerezza sulle spalle dell’ascoltatore. Poi Dimartino decide che le parole in qualche modo debbano finire nel pezzo interamente strumentale e sintetico “Il Corpo Non Esiste”, vera e propria novità artistica del musicista siciliano.

Con “Piangi Maria” ritorniamo a rivivere quelle emozioni classiche alla Dimartino nonostante la musica sembra ancora una crescente evoluzione sonora di quello che fu un ex conterraneo assessore, uno “Shock in my Town” rigenerato nella forma e nello spirito. In “Scompariranno i Falchi Dal Paese” si prova ancora qualcosa di diversamente ispirato, nelle sequenze musicali accompagnate da un inedito Dimartino oratore. Tutto sempre completamente “diverso” dal solito nei due conclusivi pezzi “Come Fanno le Stelle” e “Non Torneremo Più”, una dimostrazione di grande versatilità e prontezza di riflessi intellettuali. Non Vengo Più Mamma sarebbe bello non lasciarlo mai andare via dal vostro giradischi, una boccata di aria nuova, pulita, il desiderio di non dare mai niente per scontato nella vita. Dimartino non delude mai anche quando gioca con qualcosa che naturalmente non gli appartiene, la sua vocazione è quella di fare musica, per il resto divertiamoci nel vederlo giocare con ben riuscite sperimentazioni, Non Vengo Più Mamma suona come una piacevole parentesi nella carriera ancora tutta da fare di uno dei migliori artisti dello stivale. Forza Dimartino, noi non ti lasceremo mai.

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Nient’Altro Che Macerie – Al Vento

Written by Recensioni

Nient’Altro Che Macerie escono per 4V4 Records portandosi dietro una notevole considerazione di pubblico e l’aspettativa diventa inesorabilmente alta, talmente alta da rendere il loro esordio discografico (un anno prima erano usciti con un Ep Circostanze) molto interessante. Al Vento, ecco come prende nome il disco dei Nient’Altro Che Macerie, un vento talmente tagliente e disordinato da portarsi dietro di se tutto quello che si incontra, non c’è assolutamente bisogno di tenerezza in questo disco, un disco acerbo e maleodorante, l’odore acre delle chitarre rabbiose che non cercano certamente complimenti, piuttosto si farebbero spaccare la testa.

Si parte con estrema rabbia curata, “In Silenzio”, quel frangente bello e in crescita dello Stoner italiano però in qualche modo reso in maniera splendidamente Post Rock, Post Indie, Post Tutto. Poi si continua sulla stessa linea dura, “Il Senso Della Fine”, come dicevo prima Al Vento non lascia traspirare assolutamente leziosità. E tu sei lo sbaglio in persona. Poi rivivo sonorità alla Mimì Clementi quando il disco porta alla mia conoscenza “Evitabili Prospettive”, pezzo molto introspettivo che comunque mantiene sempre l’aria spocchiosa di chi proprio non vuole sentirsi delizioso. La delizia forse dimentichiamo che non appartiene quasi mai alle nostre fottute vite di sofferenza sembrano voler portare alla ribalta i giovanissimi musicisti di Milano celati dietro il moniker distruttivo di  Nient’Altro Che Macerie, e di macerie ne abbiamo viste tante in questi ultimi anni. Il disco riprende subito la propria identità nerboruta quando Al Vento propone “Reazione al Nulla (Emesi), una ritmica da mare in tempesta, una risolutezza sconcertante nella voce sempre tirata al massimo, non c’è possibilità di riprendere fiato. Affoghiamo. “Le Parole Tra i Denti” è ancora rivoluzione e voglia di andare contro, riff grezzi e belli come poche volte è difficile associare questi due aggettivi. Poi “Quello Che Vorrei Davvero” chiude decisamente in gloria l’esperienza discografica dei Nient’Altro Che Macerie, una disco talmente singolare nei generi da non scendere mai nella scontatezza delle scelte, soluzioni che vengono dallo stomaco e gridate senza troppe referenziali remore. I Nient’Altro Che Macerie sono una band giovanissima che mette subito in chiaro le proprie intenzioni, sono sbruffoni, sono smaniosi e ragionano d’istinto ma Al Vento è un bel disco che merita tutti gli elogi del caso. Bravi questi milanesi che portano alto il valore della musica italiana.


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