Riccardo Merolli Author

Presidente emerito di Rockambula. Non studia non lavora non guarda la tv non va al cinema non fa sport.

The Incredulous Eyes – Here’s The Tempo…

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Esiste ancora chi pensa che la musica non sia morta completamente, chi con passione decide di registrare un disco, chi se ne frega delle stronze tendenze modaiole del momento e cerca di arrivare al cuore tirando fuori molte idee e tanta grinta. Qualcuno nel duemilatredici riesce a mandare a fanculo L’Indie Rock.

The Incredulous Eyes sono italiani ma il suono che buttano dentro il disco d’esordio Here’s The Tempo… sembra arrivare dritto dritto da quel complesso artistico degli anni settanta a cui noi disperati cittadini italiani non eravamo molto abituati, le nostre tendenze musicali fatta eccezione per qualche raro caso erano indegnamente differenti dal resto del mondo evoluto. The Incredulous Eyes è un progetto prettamente Rock che strizza l’occhio al passato, erano anni che non ascoltavo più un disco completamente “suonato davvero” senza strane alterazioni e diavolerie nauseanti che fanno tanto figo, gli strumenti sono nudi e crudi senza bisogno di farsi paranoici lifting capaci soltanto di stravolgere la realtà. Entrare subito in simbiosi con il disco è roba pratica e veloce per tutte le orecchie, non bisogna avere particolari capacità intellettuali da nerd suicida per apprezzare tutto il contenuto di Here’s The Tempo…, l’impatto è immediato e senza controindicazioni fatta eccezione per la smisurata voglia di ascoltarlo nuovamente. Beh, a questo cd vale la pena dare tutte le possibilità di cui ha bisogno, non facciamo finta di non apprezzare quello che le nostre marziane orecchie hanno voglia di ascoltare, non giochiamo con il fuoco, si brucia.

Rock bello dritto che si sporca di Blues e penso alle “experience” chitarristiche alla Jimi Hendrix e ai saltini tutti rock’n’roll di Keith Richards, un risultato nudo e crudo che non ha bisogno di essere condito. I lupi mangiano carne cruda, questo lo sanno tutti (almeno spero). Il singolo di lancio di Here’s The Tempo… di cui esiste anche un video si chiama “The Fisherman” (da non confondere con John The Fisherman dei Primus), un pezzo talmente rapido e geniale da ficcarsi subito dentro la testolina, una concretezza di esecuzione da ammirare e farne buon uso. The Incredulous Eyes marciranno volontariamente nel limbo del Rock con la consapevolezza di aver registrato un grande lavoro che aspetta solamente di essere ascoltato e venerato, il fatto di suonare Rock senza contaminazione è una scommessa che la band abruzzese ha deciso di portare avanti senza troppi fronzoli leccaculi e ruffiani, la loro musica è passione. Here’s The Tempo… è un disco che spacca il culo, impariamo a non lasciarci troppo influenzare dalla plastica che ci gira attorno, ascoltate quello che avete il diritto di ascoltare. Il Rock è un diritto.

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Ulan Bator – En France/En Transe

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Forse non sarà un caso se Michael Gira degli Swans ha definito gli Ulan Bator una delle migliori band francesi degli ultimi trecento anni, forse ne sarà contento il mentore tutto fare Amaury Cambuzat, forse dobbiamo essere contenti un pochino tutti quanti quando questi francesi decidono di entrare in studio di registrazione. Lo hanno fatto ancora e questa volta il loro disco En France/En Transe stravolge completamente le regole del suono caricando pericolosamente a morte una molla pronta a schizzarti sulla faccia. Si sente molto la ricerca del suono e la mano del (anche) produttore Cambuzat non lascia mai niente al caso, minuziose ricerche sonore per garantire un effetto suggestivo e innaturale. En France/En Transe è un lavoro decisamente non umano, uno stravolgimento surreale della realtà, maniacale cura delle piccole sfaccettature dove il diavolo riesce a nascondersi per dare quel tocco “bastardo” al sound del disco. Perché diciamo pure sinceramente che le band che riescono ad avere quei “suoni” sono veramente poche, una dote che distingue nettamente gli Ulan Bator da tutto il resto, loro ne sono consapevoli e sfoggiano questa loro grandezza ad ogni produzione. Questo album in particolare è un vortice irrequieto di sensazioni forti, lo stomaco stringe forte per tutta la sua durata non lasciando mai spazio alla tranquillità, un totale stato di agitazione dalla quale non si riesce ad uscire con le proprie forze. Già dal primo pezzo “Take Off” la sensazione di soffocamento è fortissima, nel seguire del disco le chitarre sono rovinosamente belle e la ritmica è talmente sporca da piacere all’infinito, un concept quasi interamente strumentale con gorgheggi vocali ai limiti della normalità.

E’ sempre bello avere a che fare con dischi di questo livello, è sempre particolarmente bello ascoltare le opere di musicisti di indiscusso talento continuare a scrivere pezzi di questa caratura nonostante tantissimi anni di musica sulle spalle (li ricordo in tour con i CSI tantissimo tempo fa), la voglia di rimettersi continuamente in discussione sembra essere il patto che gli Ulan Bator hanno stretto con il demonio, lo stesso che rende diabolici i brani di En France/En Transe. Il paradiso è tutta un’altra cosa, la musica rock non gli appartiene, a questa band piace scaldarsi tra le fiamme rosse della passione. Lasciamoci conquistare dalla musica degli Ulan Bator buttandoci nell’ascolto di questo disco in completo abbandono e con l’intenzione seria di farsi del male, una mantide pronta a sferrare un colpo mortale, una band da ammirare e portare alta tra le glorie della musica moderna. Gli Ulan Bator dimostrano di essere più vivi che mai registrando un disco superlativo sotto ogni punto di vista,  En France/En Transe supera tutti i concetti di sperimentazione, provatelo e rimarrete schiacciati. Se cercate ancora qualcosa di emozionante nella musica questa è l’occasione che non potete lasciarvi scappare, c’è veramente tanto da imparare da questi maledetti francesi.

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Cosmo – Disordine

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La musica d’autore italiana in qualche modo è viva, sono qui a renderlo noto con una felicità che mi stringe il cuore e con una notevole quantità di gioia interiore. L’album d’esordio di Cosmo ne è la prova, l’album d’esordio di Cosmo si chiama Disordine. Dietro l’artistico nome di Cosmo si “nasconde” il cuore pulsante dei Drink to Me Marco Jacopo Bianchi, un musicista con una vena artistica talmente in fermento da non riuscire a trovare mai pace e con una voglia di sperimentare ai limiti delle possibilità umane. Bene, ma siamo qui per parlare del disco e che disco. Come dicevo prima la musica italiana impatta contro qualcosa a cui non era certamente abituata, Disordine è cantautorato italiano in forma evoluta, una roba talmente ben confezionata da rimanerci spiazzati con grande interesse sin dalle primissime battute. Si canta e parecchio bene in questo lavoro, i testi sono curati (e molto belli) e la musica si mette sopra le spalle quintalate di elettronica propositiva, immaginate un Lucio Battisti catapultato negli anni dieci sopra una DeLorean con tutte le diavolerie tecnologiche di questo periodo storico e l’intenzione di incidere Anima Latina, il risultato sarà un disco terribilmente Elettro Pop come il sotto esame Disordine. Paragone forte ma sincero.

Cosmo butta dentro Disordine un’impressionante quantità di emozioni interstellari, le parole si fondono dentro le melodie sintetiche ma non troppo fredde, un equilibrio perfetto tra classico e sperimentazione.
Disordine si apre con “Dedica” e subito gli occhi diventano incessantemente sbarrati, molto intensa, il brano ci prepara alla più schizofrenica “Ho Visto un Dio” dalla quale è difficile scollegarsi. Non mi riprendo affatto quando subisco tre coltellate letali della lunghezza penetrante di “Le Cose Più Rare”, “Wittgenstein” e “Numeri e Parole”. Si torna prepotentemente al pop più popular esistente quando si ascolta “Ecco la Felicità”, un’orecchiabilità talmente schietta e sincera da prolungare l’ascolto per svariate volte prima di passare alle più intime tracce che vengono a seguire di cui non sto qui a farvi la noiosissima recensione step by step. Disordine rimane un disco da godersi nel complesso senza scendere nella banalità delle singole situazioni, ovviamente non tutto regge lo stesso livello (sarebbe la perfezione che non esiste) ma il prodotto aderisce precisamente al concetto del “disco” che tutti vorrebbero ascoltare. Un esordio che non poteva essere più colorato per Cosmo, l’elettro cantautore più impressionabile di questo già prepotentemente smezzato duemilatredici, mi verrebbe da urlare “Cazzo che disco” ma per educazione non è possibile.

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Il nuovo video de Le Capre a Sonagli.

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Il video nasce dalla volontà di rispettare il “sapore Low-Fi” che la canzone CARONTE e tutto l’album presentano come tratto distintivo. Si è quindi scelto di utilizzare una camera SUPER8 (pellicola) e di farla utilizzare alle sapienti e magiche mani della regista Alessandra Beltrame che, insieme a Sara e Zano del Lab80, ci hanno accompagnati in questa bella avventura. Sebbene la durata sia breve, abbiamo ritenuto opportuno creare una trama articolata che ci ha portati a riprendere in location che vanno da case disabitate e infestate da fantasmi a vuoti capannoni con sirene passando da paesi orobici come Cespedosio e Camerata Cornello, pieni di anime dannate (e brava gente). Come spesso ci accade, anche la trama di questo video è tratta da un’avventura che uno di noi ha vissuto in sogno. Il grosso del lavoro è stato quindi scegliere dei giusti personaggi/attori che rispettassero le immagini “apparse” e non possiamo che essere felici poiché tutti loro, Dulco Mazzoleni attore protagonista, Paola e Kristof Noire, sono davvero stati abili nel mettersi in gioco.

Ecco a voi il nuovo video de Le Capre a Sonagli.

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Alley

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Sono i vincitori di AltrocheSanRemo Volume2. Sono gli Alley e avrete ascoltato i pezzi del loro ultimo lavoro sulla notra home. Sono cinque amici che hanno deciso di dare l’anima alla musica e vi chiedono solo di starli a sentire. Ecco l’intervista realizzata con gli Alley da Riccardo Merolli.

Bene, per iniziare fateci capire chi sono gli Alley…
Alley è un progetto che ho fondato io (Davide Chiari), assieme ai musicisti che ora suonano con me: Samuele Pedrazzani, Moreno Barbieri, Damiano Negrisoli e Giacomo Parisio. Il progetto è nato effettivamente quando in una notte ho composto il primo lavoro, “Nag Champa”. In quel momento ha cominciato ad esistere Alley, successivamente il tutto si è realizzato nei live e nella loro preparazione, quando gli amici che ho indicato precedentemente, hanno cominciato ad apprezzare e voler partecipare attivamente nel progetto. A seguito la formula si è ripetuta, anche stavolta funzionante nel secondo album “Tales from the Pizzeria”.

Come nasce la vostra musica?
La nostra musica e le parole sono composte principalmente da me (Davide Chiari) in entrambi gli album finora pubblicati e sarà così anche per i progetti futuri. Il miglior risultato è stato ottenuto lasciando per e durante le situazioni live, carta bianca a tutti gli amici/artisti con cui mi esibisco. Ognuno conosce i propri e gli altri limiti e sa come muoversi di conseguenza, seguendo la traccia principale della canzone, ma ogni volta cambiando rifiniture e addirittura carattere o genere dell’intera canzone. Insomma, ci si intende con gli occhi e si suona, divertendosi un sacco. Speriamo anche di divertire il pubblico.

Avete traguardi da raggiungere?
Tantissimi, anche se il principale traguardo resta quello di far che Alley divenga un mestiere di passione pura sia per me che per tutti nella band.

Quali difficoltà trovate nell’inserirvi nella musica italiana?
Molte, ad esempio il muro mediatico delle tv e dei giornali, che dà un’importanza “imbarazzante” alla musica-spazzatura. Esso costituisce un ostacolo che non solo ci toglie spazio (noi compresi) negli spazi di possibile divulgazione, ma ci toglie anche importanza artistica. Ciò che ci viene tolto finisce per portare più risalto a loro, ovvero gli “anti-artisti”. Noi lo vediamo direttamente dal numero di serate che vengono artisticamente preferite con dj o con coverband. Da menzionare anche le preferenze nei concorsi musicali in cui si suona, all’interno dei quali molto spesso, gli esiti sono già decisi.

Pensate che il sistema indipendente in Italia sia malato? Perché?
No, non penso sia troppo malato, anzi “capillare” ed “intrigante”. Piuttosto, data la crisi, si potrebbe definire in “pausa vegetativa”. C’è comunque un sacco di aria di ripresa.

Quale pubblico potrebbe cogliere in pieno il senso delle vostre creazioni?
Tutti coloro che possono cogliere e godere dei nostri rimandi stilistici. Solitamente le persone al di sopra dei 18 anni, quelle che ascoltano buona musica (hehehehe).

Cosa fareste pur di diventare “famosi”?
La fama non è una condizione che arriva istantaneamente, credo. Sputeremo sangue come tutti e ci si divertirà un sacco.

Avete degli idoli nei vostri ascolti personali che influenzano la vostra musica?
David Bowie, Led Zeppelin, Lou Reed, Pentangle, Electric Light Orchestra, Roxy Music, ecc. , comunque tanto Rock e Glam dei primi settanta.

Cosa odiate della musica italiana (artisti compresi, fuori i nomi!) e cosa invece amate?
Non ci sono degli artisti che odiamo del tutto, a parte Gigi D’Alessio e affinissimi. C’è chi apprezziamo più di altri, tra cui spicca Clem Sacco.

È importante e giusta la diffusione di musica su internet?
Importantissima e se si vuole, quasi completa di tutte le funzionalità di cui un artista dovrebbe disporre.

Cosa c’è nel futuro immediato degli Alley?
Un po’ di date sparse nel nord Italia, soprattutto nella zona di Brescia. E non è da escludere qualche uscita per l’estate.

Qualcosa che tenete a dire e che non vi è stato chiesto. Ditelo qui, sinceramente…
Samuele Pedrazzani, quello alto e biondo, ha davvero una barba così folta (…visto che non ce l’avete chiesto). Secondo noi è importante che la gente lo sappia. (hehehehe)

 

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AltrocheSanRemo Volume3: Gabba Gabba Hey, si parte!!!

Written by Senza categoria

Siamo ormai pronti per la terza edizione del nostro concorso. AltrocheSanRemo Volume3. La prima è stata vinta dal cantautore campano Martino Adriani mentre la scorsa e seconda dagli Alley, che presto conoscerete molto bene nelle pagine del nostro sito. Per questa edizione c’è una importante novità. I premi sono gli stessi. Il banner per circa un mese, pezzi in ascolto, recensione e/o inteervista e promozione. La novità è che non si vota più tramite un sondaggio Facebook ma direttamente dalla home di Rockambula.
ATTENZIONE!!! Nel caso in cui dovessimo renderci conto che una band o i suoi sostenitori stiano palesemente “giocando sporco” la stessa band sarà esclusa dalla votazione. Il nostro concorso è fatto per mettere in mostra le realtà emergenti e non per premiare i “furbetti” che con mezzucci squallidi provano ad ottenere quello che con le loro qualità non riescono ad avere. Detto questo, non mi resta che augurarvi di vincere ma soprattutto di farvi notare. Le votazioni si concluderanno il 21/05/2013 alle ore 22:00 più eventuale recupero.

P.s. Ascoltate tutti i brani in gara e, se volete bene alla musica, votate il migliore.

IMPORTANTE!!! Potete esprimere fino a 3 preferenze diverse!
Ecco le band:

Johnny Freak – Da Frosinone, un quintetto che mescola l’esperienza Grunge anni ’90 al Rock moderno citando Dylan Dog.

Esma – Energie Svegliano Menti Assopite. Un trio torinese che viaggia senza schemi. Cantautorato, Elettrodubstep, Alt Rock, Grunge e ricordi anni ’60/’70.

373°K – Nati a Bologna dentro le mura del Dams e per le vie della città, i quattro musicisti scelgono la formula del classico Rock italiano, sulla scia di nomi illustri come Litfiba, Timoria e Negrita.

Borderline – Quattro artisti, tre ragazzi e una ragazza da Tolmezzo (Ud) e il loro Brit Pop tricolore.

Cambio di Rotta – Eclettica e affollata band pugliese che parte da una molteplicità di esperienze sonore per proporre un Indie immediato e gradevole.

Complesso Architettonico – L’essenzialità del Rock al servizio del divertimento. Tre amici, chitarra, basso e batteria. Una voce che dovete assolutamente ascoltare e testi folli, demenziali e tutti da ridere.

Deaf Cities – Indie Folk da Sarego (VI), Daiano (TN) e Milano. Alessandro Luisetto e Paolo Montagna ci regalano note semplici e semplici parole per raccontarci una storia senza troppe complessità.

I Am The Distance – Trio di polistrumentisti dall’hinterland pavese e Milano. Cantautorato, Rock, Folk, Country,  Cajòn e tanto altro.

Twiggy è Morta – Una delle band più in vista del panorama indie laziale. Certamente imparerete a conoscerli presto.

X-Ray Life – Giovanissima formazione veneziana, fortemente legata alla tradizione Grunge e Alt Rock anni ’90 fatta di Alice in Chains, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Stone Temple Pilots, Soundgarden e con una forte attitudine internazionale

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This is Head – The Album ID BOPS

Written by Novità

Ancora una volta un disco di una band svedese tra le mie mani, fuori è troppo caldo per questa musica ma una pioggia improvvisa crea la giusta atmosfera. Io musicalmente li ho sempre visti superiori gli svedesi, sarà qualche concetto assurdo assorbito con gli anni di ascolti ma non mi ricordo un disco svedese che facesse completamente schifo. Questa volta la mia attenzione è chiamata a confrontarsi con i This is Head e il loro disco The Album ID. Il lavoro suona senza troppi giri di parole sotto un tetto indie pop rock tipicamente (nord)europeo, le melodie semplici ma orecchiabili catturano subito l’ascoltatore temporaneamente ipnotizzato, tutti i pezzi si legano tra di loro con una semplicità disarmante. Brani come “Staring Lenses” e “Summertime” rendono molto bene l’idea di The Album ID. Non voglio lasciarmi scappare la naturale passione trasmessa dai This is Head, non sarà certamente un capolavoro ma ricordiamo sempre che sono svedesi e gli svedesi fanno le cose per bene. Almeno è quello che da anni continuo a credere.

http://www.youtube.com/watch?v=kUlMJ4edhrM

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Albedo Una Sonora Lezione di Anatomia

Written by Interviste

Gli Albedo sono certamente una delle band più seguite e ben recensite di questo ultimo periodo, il loro disco Lezioni di Anatomia sembra essere davvero una figata. A questo punto abbiamo deciso di interpellare il frontman della band Raniero per vedere quanta verità ci fosse dietro questo fenomeno, il risultato è una bella chiacchierata tra Dente che incarna Battisti, ri(e)verberi esageratamente abusati, promoter sbagliati e osterie romane… buona lettura.

Gli Albedo pubblicano Lezioni di Anatomia, il terzo lavoro ufficiale, è quello giusto?

E’ solo un disco. Quando scrivi i dischi pensi che sia sempre quello giusto. La cosa migliore che tu abbia mai fatto. Poi magari te lo risenti ad un anno di distanza e non ti piace più. Sicuramente qua abbiamo dato un taglio piuttosto preciso e cercato di dare un colore uniforme.

Un disco molto intimo, le parti del corpo che cercano di farsi sentire dall’uomo, geniale l’effetto della voce per dare una sensazione di interiorità a chi ascolta, come nascono queste diavolerie?

Il fatto di scegliere a priori un argomento su cui lavorare ci stimola nello svolgere il tema, e non facendo i musicisti di professione e avendo sempre meno tempo da dedicare, credo che ci aiuti a restare concentrati e a trovare ancora delle cose belle in quello che facciamo al di fuori della routine. Anche la scelta dei suoni in fase di mixaggio soprattutto sulla voce l’avevamo già ampiamente discussa tra di noi proprio con quella idea di volerla in un qualche modo renderla innaturale, impersonale, lontana con l’aiuto del reverbero, effetto di cui molto probabilmente abbiamo abusato. Per fortuna abbiamo trovato Adel (il fonico) che si è prestato a quello che per molti potrebbe suonare come un errore.

Testi bellissimi e importanti, colonna vertebrale del disco, la loro creazione segue delle linee precise?

Grazie, non per questo disco. Abbiamo negli anni trovato le nostre formule per scrivere ma oggi come oggi per fortuna trovo delle linee vocali su quasi tutto quello che scrivo, forse perché ascolto tante cose e rubo un po da tutte le parti senza farmi troppi problemi.
Il testo è comunque condizione fondamentale nello sviluppo del brano. Suoniamo gli arrangiamenti in funzione di quello, oppure esattamente al contrario ma non cerchiamo mai di adattare forzatamente l’uno all’altra.

Io vi ho trovato molto post rock con attitudine pop, un genere direi innovativo, molti avrebbero scelto la lingua inglese, voi perché avete scelto l’italiano rischiando e non poco sul risultato finale?

Direi che ci hai preso in pieno. Il pop, inteso come forma canzone e comprensibilità dell’insieme fa parte di noi tutti da sempre. Non abbiamo velleità di sperimentazione alcuna e poi non ne abbiamo le capacità tecniche. Non ci interessa stupire con parti complesse. Ci piace cercare di suonare bene e rendere le parti strumentali interessanti ma non necessariamente prolisse o fini a se stesse. Nella fase di scrittura ho ascoltato molto quello che viene definito post rock ma adattarlo ad una tradizionale forma canzone sarebbe una bestemmia per il genere in sé ed il risultato è quello che c’è in questo disco. Se ci pensi bene i nostri brani potrebbero reggere tranquillamente con una chitarra e voce e così vogliamo che sia. Però non fateci fare più date in acustico perché siamo già abbastanza depressi di natura.

C’è anche un evidente omaggio ai Beatles (A Day in The Life) nel pezzo Stomaco, un legame speciale con le loro canzoni o soltanto una questione di gusto del sound?

Chiunque suoni ha un legame con loro. Al di la di tutto quello che si può dire e che è stato già sicuramente detto, credo che l’attualità del testamento che hanno lasciato alle generazioni future sia soprattutto l’idea di cui parlavamo prima, cioè dell’accessibilità. Quell’incredibile dono per cui quello che scrivi è universalmente riconosciuto straordinariamente bello da tutti. Donne, uomini di qualsiasi età. Non ci piace l’idea che ci si debba chiudere in un genere e cercare di essere riconosciuti in “questo” o “quello”. Per questo aspetto mi sento molto più legato a loro che a tanti gruppi a cui musicalmente siamo più simili. Naturalmente parlo di attitudine e non di risultati artistici. Sapevamo di farla fuori con questa citazione pesante ma noi abbiamo sempre scritto senza il dover pensare al dopo.

Cosa è cambiato dalle precedenti produzioni? Vi sentite artisticamente diversi?

Ci piace pensare di essere maturati,almeno un pochino. Ci piace anche cercare di fare qualcosa di diverso probabilmente perché le cose che facciamo ci stufano presto. A dire la verità, e lo penso sul serio, non crediamo di essere un gruppo fico. Non risento quasi mai i nostri dischi. Non mi piacciono. Semplicemente penso che non siamo tanto peggio di tanti altri. Quando leggi ovunque che Dente è il nuovo Battisti, everything is possible. Albedo i nuovi Bee Hive? Ci sta tutta.

Tutte le recensioni parlano bene di Lezioni di Anatomia, siete consapevoli di aver fatto un ottimo lavoro? Considerando il post di Miro Sassolini che definisce il vostro disco il migliore in circolazione in questo periodo?

Ai gruppi come noi rimangono solo tre cose: le pacche sulle spalle alla fine dei concerti accompagnate da un fragrante “Bravi, cazzo”, i messaggi e i post su facebook dove per fortuna ci insultano ancora pocome le parole di persone che ascoltano tantissimi dischi e che rimangono entusiasti dal nostro e ci danno le 5 stelle Michelin. Certo quando poi ne arrivano di belle da chi ha scritto una parte di musica alternativa italiana allora è tanta roba, perché è interessante scoprire che interessi anche a generazioni musicali differenti in tutto e per tutto,persino e soprattutto in termini fruizione. Questo ovviamente fa onore a lui e non a noi, che come generazione facciamo poco parlando tanto.

Adesso è il tempo di montarsi la testa?

Adesso è il tempo delle mele.

Sono a conoscenza della prossima uscita del video “ufficiale” di Cuore (l’opener di Lezioni di Anatomia), volete parlarci del video?

Un giorno mi ha chiamato Fabio Valesini, mi ha detto che non aveva mai fatto un videoclip musicale, che aveva uno storyboard dove succedevano cose che non si capivano, che era girato tutto al contrario ma montato dritto ma che poi alla fine il risultato sarebbe stato metà e metà, che c’era una scena con delle radiografie che si animavano, e che avremmo dovuto procurarci un carrello della spesa perché con il budget che gli era stato dato non ci prendevamo nemmeno una sedia di legno.
Come potevamo dirgli di no?
Ed in effetti il risultato è sopra ogni nostra aspettativa,come ogni idea malsana che si rispetti.

Gli Albedo quale ruolo potrebbero ricoprire all’interno della musica italiana?

Ci siamo abituati all’idea di essere marginali. Uno di quei gruppi che fa 34 dischi ma li scopri al 33. Quello che facciamo ha bisogno di maturare nel tempo. Il fatto è che non siamo abbastanza originali per spiccare e non siamo abbastanza stronzi per farci odiare… Non ci tingiamo i capelli, non siamo omosessuali, non siamo intellettuali, non ci vestiamo con gli stracci e non viviamo nei furgoni. Non fingiamo di essere quello che non siamo. Menchemeno ci dichiariamo artisti quando tra 4 o 5 anni nessuno si ricorderà più di noi. E nemmeno di tutti gli altri. I tempi sono cambiati. Ci sono troppi dischi e troppi gruppi per cui alla fine non emerge nessuno davvero. E se lo fa, lo fa per un tempo assai breve. Non possiamo essere tutti i Joy Division, dai,siamo seri. Noi  abbiamo una casa, una famiglia un lavoro. Le nostre scelte le abbiamo già fatte. Per questo forse nei nostri dischi c’è una buona dose di realismo. Certo un’ampia cassa di risonanza ci aprirebbe ad un pubblico più grande, ma poi perderemmo il fascino degli eterni incompresi e non sarebbe più divertente per noi lamentarci e parlare male di tutti gli altri.

Avete un disco da promuovere quindi presumo un tour da onorare, c’è qualcos’altro che bolle in pentola?

La verità è che a suonare in giro ti diverti molto solo quando la situazione è perlomeno decente. Quando trovi realtà assurde a 700 km da casa la prima volta ci ridi, la seconda spacchi un disco de I CANI, la terza ti chiedi se ne vale la pena di fare tutta quella strada. Proprio perché abbiamo scelto di suonare solo per divertirci se andiamo a suonare ed è tutto una merda non ci andiamo più. Quindi faremo meno date ma meglio organizzate. Non perché pensiamo di meritare chissà cosa ma è perfettamente inutile per noi andare fino a Bari in un locale che di solito fa suonare cover band al cui pubblico non interessa nulla di noi, perché il promoter non sa fare il suo lavoro. O suonare con la chitarra acustica mentre la gente mangia manco fossimo nelle osterie romane.
Onoro e rispetto chi fa quello ma non è quello che vogliamo fare noi.

La scelta di affidare il disco ad una nuova e freschissima etichetta (V4V Records) è stata una buona idea?

Potrei trollare quei deficienti qui ed ora per diciassette minuti di applausi ma ti dico in verità che trovare persone che investono cosi tanto in un progetto come il nostro facendolo bene, è ad oggi in pratica impossibile.
Ci perdono soldi ma soprattutto tempo. Lo sanno e lo fanno consapevolmente. Se ci pensi è assurdo. Allora quello che ci lega davvero sono le stronzate che ci scriviamo in chat e l’idea di condividere insieme qualcosa di tanto nostro quanto loro. Va oltre le aspettative di vendita o di successo mediatico. Posso solo dire che se avessero i mezzi e fossero persone come loro a capo di importanti case discografiche non staremmo adesso nella situazione in cui siamo. La competenza in questo settore sembra essere una chimera.

Adesso che siete ricchi e famosi e scopate da Dio potete dire tutto quello che vi passa per la testa, questo è il vostro spazio…

Se questo fosse il mio spazio direi a tutti i lettori di non drogarsi e di avere rispetto per gli alberi e di non farli pisciare dai cani. Comunque come tu sappia certe cose rimane per noi un mistero.

 

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Droning Maud – Our Secret Code

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C’è voluto del tempo, c’è voluto il tempo necessario, i Droning Maud registrano ufficialmente il loro disco d’esordio Our Secret Code. Se ricordate le loro precedenti produzioni  Promo (2007) e The World of  Make Believe (2008) cercate di dimenticarle, non vi serviranno assolutamente da esca per l’ attuale lavoro in promozione, negli anni ci sono stati cambiamenti di line up, sperimentazioni sonore e fortunati incontri artistici che hanno dato vita ad una band completamente rigenerata nel sound e nella mente. Adesso è il tempo di Our Secret Code, è tempo di una nuova vita. Hanno conservato quella vena New Wave Post Rock di matrice nettamente britannica, i toni si abbassano e la produzione dei Dronig Maud prende strade Shoegaze con punte avvelenate di elettronica. Poi lo zampino dell’ormai sempre presente Amaury Cambuzat impreziosisce e di molto l’importanza del disco ( prima di questo vengo dall’ascolto di Oslo Tapes quindi le affinità riesco a sentirle tutte nonostante il risultato prenda strade diverse), le soluzioni sanno di freddi paesaggi incontaminati come la musica dei Sigur Ròs se proprio dobbiamo cercare un paragone (e che paragone) plausibilmente valido e preciso, senza dubbio dobbiamo lasciare da parte la musica italiana per entrare a stretto contatto con Our Secret Code. Le chitarre viaggiano incontrastate verso l’ignoto manipolando le menti di chi vorrebbe seguire l’esecuzione con attenzione, le ritmiche (senza basso) dettano tempi degni degli ultimi Radiohead, un continuo picchiare dritto e lineare con improvvise sterzate. La voce si amalgama al tutto giocando molto di squadra, intuizioni elettroniche non fanno mai sentire il vuoto sotto la struttura. Un disco pieno e deciso quello arrangiato dai Droning Maud, la volontà di avere tra le mani un prodotto esclusivo di cui andare fieri senza strani pensieri per la testa.

Un album pulito nei suoni con forti dosi di rock all’avanguardia, pezzi come “Nimbus” rendono molto bene l’idea di un lavoro comunque sia molto variegato nelle soluzioni sonore, uno studio valido e l’esperienza non fanno arrancare mai a fatica i Droning Maud lanciati a tutta velocità. Poi ci sono pezzi come “Ghost” che rendono leggera l’aria intorno, le chitarre girano e rigirano come fossero maledette da una profezia, l’intenzione surreale de Our Secret Code è subito chiara, non lasciare la ragione a chi si dedica all’ascolto del disco. Anche questa volta mi trovo a elogiare una band dai suoni nettamente nord europei, quasi come fossimo a corto di un identità italiana, come se non fossimo in grado di permetterci una propria e definita personalità al di fuori del cantautorato. I Droning Maud conoscono la ricetta della felicità artistica e registrano un album sopra le righe della decenza, maturo e completamente godibile in ogni sua sfumatura. Dieci pezzi che non mi metto qui a citare tutti sullo stesso livello compositivo, voglio invitare all’ascolto ripetuto de Our Secret Code per far cogliere le infinite scelte presenti, più si ascolta e più vengono fuori cose nuove e maledettamente belle. Una band che trova la propria maturità artistica non perdendo comunque l’entusiasmo della prima volta. Un disco che sinceramente ci voleva proprio.

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Albedo – Lezioni di Anatomia

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Non riesco mai a trovare una giusta collocazione per la musica bella e interessante in questo ultimo periodo, sono sommerso da “immondizie musicali” a quintalate e non sono capace più di reagire in maniera lucida alle cose. Poi ti capita un disco “diverso” e pensi che non tutto è perduto, che la musica importante ancora riesce a portarsi a galla, non sappiamo bene per quanto tempo però riesce ancora a farlo. Arrivano al terzo disco i milanesi Albedo, ci arrivano in forma smagliante registrando in presa diretta Lezioni di Anatomia uscito per V4V Records con la partecipazione di Inconsapevole Records. Ebbene questo disco suona una bomba. Lo avrete già letto in tutte le altre recensioni già uscite e penserete a qualche mega pompaggio commerciale per cercare di convincere psicologicamente il pubblico, non è affatto così, trovate il modo di sentirli (e di questi tempi basta accendere il pc) e crederete ancora nella sostanza della musica italiana, in fondo c’è qualcuno che si lascia ancora influenzare dalle recensioni? Immaginate un sound molto post rock accompagnato da una voce che canta in italiano, non smetterete mai di ascoltare e poi ascoltare nuovamente Lezioni di Anatomia senza tregua, quasi una dolce lotta per farsi male. I pezzi lanciano brividi in continuazione, bisogna soltanto riuscire a coglierli e collocarli sul pezzo di cuore che si preferisce, un percorso intimo e interiore che ogni ascoltatore può rendere proprio assumendo la musica degli Albedo come alterante sottofondo emotivo. Un disco assolutamente grigio nei colori, non traspare mai la luce, associo malinconia a profondità, la felicità è leggerezza e noi siamo persone profonde. Il resto potrebbe tranquillamente sparire senza lasciare traccia.

Lezioni di Anatomia come dicevamo prima è il terzo disco ufficiale degli Albedo, arriva dopo i precedenti Il Male (2011) e A Casa (2012), praticamente un disco all’anno, in sostanza un percorso continuo e crescente che trova la punta di diamante nell’attuale lavoro, è difficile scrivere musica in questa maniera, è molto più semplice decrescere nel tempo.
Il lavoro è composto da nove pezzi tutti ben legati tra loro, tutti allacciati indivisibilmente come le parti del nostro corpo (difatti una lezione di anatomia),  l’opener “Cuore” è di una bellezza impressionante, la mente viene lasciata da parte e il continuo duello del ragionare col cuore o la testa marca forte il messaggio lanciato dalla canzone. Tanta dolcezza in pezzi come “Dita” e “Polmoni” (non sto più citando i brani in maniera sequenziale), la rabbia sviluppata in “Stomaco” e l’elettronica elegante in “Occhi” e “Pance”. Lezioni di Anatomia rassicura e parecchio la mia situazione di ascoltatore di musica, non pensavo fosse ancora possibile arrivare ad un disco del genere in Italia, fortunatamente gli Albedo ci arrivano al terzo disco, quello decisivo, quello del rischia tutto. Loro hanno giocato benissimo le proprie carte realizzando un prodotto ottimo da mantenere sulla bocca e orecchie di tutti il più a lungo possibile, loro attualmente hanno il merito di aver scritto uno dei migliori album degli ultimi anni, il resto per la gran parte è soltanto merda.

Dimenticavo una cosa fondamentale, Lezioni di Anatomia degli Albedo va ascoltato con un volume altissimo, assolutamente.

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Martino Adriani

Written by Interviste

Finalmente è pronta l’intervista con il vincitore della prima edizione del nostro concorso per band emergenti AltrocheSanRemo. Non dimenticate che è in corso la seconda edizione ma intanto godetevi le risposte di Martino Adriani.

Il primo vincitore del contest AltrocheSanremo; che opinione hai dei vari “concorsi” per artisti emergenti?
Credo che ce ne siano di validi e meno validi. Fino ad ora non avevo mai partecipato ad un concorso, contest o roba del genere. Dico la verità, son sempre stato un po’ scettico, pensando che la musica dovesse “emergere’’ in modi differenti. Inoltre,credo che molti siano pilotati…ma non è certo il caso di AltrocheSanRemo, che, per come è stato impostato su internet, ha garantito il massimo della trasparenza. Poi, l’ho vinto io, quindi..non può che essere valido!…Scherzi a parte, credo che i concorsi, quelli “fatti per bene’’, al giorno d’oggi siano per un emergente un ottimo mezzo per farsi conoscere da gente del settore e cercare di diffondere la propria musica ad un pubblico più ampio.

Parlaci del tuo ultimo disco…
‘’Non date retta a me’’ è un mini album, autoprodotto, composto da 6 canzoni.
Ho iniziato a lavorarci su nella primavera del 2012, dopo aver conosciuto Daniele Brenca, arrangiatore e musicista di gran parte degli strumenti presenti nel disco, per poi dargli vita il 13 agosto dell’anno stesso.
Per quel che riguarda i contenuti, i brani presenti, fondamentalmente, son figli di paranoie e di un “disagio sociale’’ di fondo. E ciò che ho cercato di fare, è stato trattare temi “delicati’’ con ironia e comicità, con spirito ribelle, a volte di denuncia, mantenendo costante quella leggerezza che sfocia spesso in paradossi e surrealità. Il tutto barcollando su un filo sottile, dove non si capisce bene dove sta la follia e dove sta la realtà. Spero di suscitare sorrisi negli ascoltatori, ma soprattutto la famosa domanda:
“Gli diamo retta???’’

Il cantautorato devi averlo nelle vene oppure ti puoi svegliare una mattina e avere l’ispirazione?
Credo che ci sia un percorso da affrontare, avere negli anni i giusti “maestri’’, che siano i grandi cantautori della storia, i grandi letterati o i grandi poeti.
E secondo me bisogna essere particolarmente sensibili, un po’ tormentati, decisamente narcisisti. Quindi si, penso che devi averlo nelle vene.

L’Italia intesa come sistema musica aiuta gli artisti nella tua situazione ad emergere?
Bah. Credo poco. Siamo nel tempo dei “Talent Show’’, in cui vengono creati e studiati ad arte “prodotti commerciali’’ differenti dal mio stile. Non mi è mai balzata l’idea di provare a partecipare a programmi televisivi come “Amici’’ o ‘X Factor’’, non perchè li condanni, anzi, credo sia troppo facile oramai dargli contro, ma semplicemente per il fatto che la mia musica e il mio modo di fare musica non credo siano adatti a tali show.

Cosa faresti se avessi la possibilità di cambiare le cose?
Cercherei di aprire al cantautorato nuovi veicoli di accesso, diversi rispetto alle più facili opportunità di emergere oggi offerte dal sistema musica italiano.
Tuttavia concretizzare tale idea mi vien difficile forse perché non vi è attualmente un’apertura orientata al ritorno e all’affermazione del puro cantautorato di una volta.

La tua musica è diretta a chiunque oppure vuole un pubblico preciso e selezionato?
Credo sia diretta a chiunque. E’ proprio quello il mio intento, far canzoni che possano risultare piacevoli a tutti. Almeno ci provo.

Come nascono le tue canzoni?
Non so dare una vera a propria spiegazione. Le mie canzoni nascono per caso. L’ispirazione viene e va, va e viene. A volte mi abbandona per mesi, ma quando ciò inizia a preoccuparmi, torna con decisione e mi catapulta addosso decine di lampadine accese, tanto da farmi consumare le molteplici Bic rimaste inutilizzate nel periodo “spento’’. Naturalmente, tutto ciò è figlio degli avvenimenti che giorno dopo giorno si presentano nella mia vita.

Raccontaci qualche episodio che vale la pena raccontare della tua carriera artistica ad oggi?
Nel 2007, esordii live nella piazza del mio paese con una canzone-filastrocca scritta a 13 anni, dal titolo “La mia vicina è pazza’’, che affrontava in modo assai comico il tema del “vicino di casa rompiscatole’’, un luogo comune, insomma. Essendo la piazza sottostante alla mia abitazione, la mia vicina di casa ascoltò dal suo balcone il brano, e la prese decisamente sul personale. Giammai avrei potuto pensare qualcosa di simile!
Fatto sta che la carissima signora, imbestialita più che mai, il giorno dopo si recò da un avvocato con l’intenzione di farmi causa, cosa che poi non fu portata a termine, ovviamente, per assoluta infondatezza delle accuse!!! Insomma, a 19 anni, al mio esordio, per “colpa’’ di una filastrocca scritta da bambino, son stato a rischio denuncia! Ne valeva la pena raccontarla, no?

Quali sono i tuoi ascolti giornalieri e quali influenzano la tua arte?
Sono influenzato da sempre dai grandi del cantautorato italiano, Giorgio Gaber e Rino Gaetano su tutti. Per quanto riguarda i miei ascolti, variano a seconda del mio stato d’animo. Ma tutto ruota sempre intorno al rock: da quello italiano, ove ad accompagnare le mie giornate da oramai un decennio ci sono i Marlene Kuntz, e il tempo mi ha portato ad avere un folle amore per Elio e le Storie Tese, a quello straniero, riscoprendo, ultimamente, Nick Cave e Patti Smith.

Meglio vendere dischi o fare tantissimi concerti? O entrambi? Perché??
Ovviamente, entrambe le cose. Ma dovessi scegliere, preferirei suonare come un matto qua e là: il contatto diretto con le persone è qualcosa di sensazionale.

La diffusione della musica su internet un bene o un male?
Anche se sono un po’ all’antica, ovvero tra quei pochi che ancora comprano i cd originali, credo che la diffusione della musica su internet sia un bene. Soprattutto per gli emergenti. Io stesso ho usufruito di tale vantaggio.

Perché qualcuno dovrebbe avvicinarsi alla tua musica? 
Un’amica mi disse tempo fa che quando era giù di morale, metteva le mie canzoni e gli ritornava il buonumore. Da lì scrissi una frase in “Non date retta a me’’(Brano che dà il titolo all’EP) ‘’Mi presento: sono un inventore ma solo di strofette che portano buonumore!” …Ecco perché dovrebbero avvicinarsi alla mia musica: le mie strofette cercheranno a tutti i costi di far sorridere. Chissà se ci riusciranno….ma non vale la pena provare???

In questo spazio puoi promuovere tutta la tua attività…
Vengo da un periodo in cui, fortunatamente, ho avuto modo di suonare abbastanza. Recentissime le esibizioni a Battipaglia in due fantastici locali a cui aspiravo da tempo , il Capri Jazz Bar e La Cruna dell’Ago, per ‘’Prove di Rock’’. Sono in trattativa per le prossime settimane per altrettante serate, tra cui l’esordio in quel di Napoli in cui spero molto. Ad aprile intanto, l’11 sarò al Tex Saloon di Cava dè Tirreni  per ‘’Democraticontest’’,  il 17 al Koy Tavern di Fisciano. E sarò in compagnia del mio attuale compagno di “duo’’, Daniele Brenca, con basso e contrabbasso.
Per quel che riguarda lavori prossimi in studio, a sei mesi dall’uscita dell’EP, sto iniziando a pensare ad un secondo disco contenente una decina di canzoni. Ad anticiparlo, un brano registrato in acustico, chitarra e armonica, intitolato ‘’Marlene’’ (Che tral’altro potrete ascoltare su Youtube). Mi ero prefissato l’uscita di quest’ultimo ad un anno esatto da quella dell’EP, ma, essendo andato incontro agli elevati costi dell’autoproduzione, credo che i tempi saranno un po’ lunghi. Spero di trovare un’etichetta, insomma. Ma se così non fosse, nessun problema, qualche mese in più e il lavoro sarà comunque fatto…ho una voglia matta di dare un proseguio a ‘’Non date retta a me’’!
Abbiamo parlato poi di contest, oltre al vostro appena terminato e vinto(Yuppiii!!), sono in corsa per il ‘’Democraticontest’’ di cui accennavo prima, e per l’ “Ecomusic Festival’’, progetto interessante creato dall’associazione di Agropoli Panico Art. Possibilità di finanziamenti e di aperture di concerti importanti le poste in palio.
Altro progetto iniziato di recente con l’amico cantautore Martin Devil, è quello di omaggiare con svariate cover i grandi cantautori della musica italiana che più amiamo in una “rassegna’’ a cui abbiamo dato il nome di Lunedì d’autore La prima canzone, “Genova per noi’’ di Paolo Conte
Ora lascio un po’ di miei contatti…
La mia OfficialPage su Facebook, eccola qui.
Il mio canale Youtube…voilà.
Il mio MySpace (Che però non uso mai).
La mia mail: Martinokk@libero.it
Ah, se avete voglia di guardare i miei due primi videoclip ufficiali:
Marika Discarica (Video completamente improvvisato durante la manifestazione contro una discarica follemente progettata nel Parco Nazionale del Cilento)
…. Le physique du role (Video della canzone vincitrice del concorso, che con varie scenette racconterà il mio fantastico rapporto con lo sport)

Ciao Rockambula! Oh…Yeah!

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MF/MB/ – Colossus

Written by Recensioni

Partiamo subito dal presupposto che gli MF/MB/ non sono una band emergente in cerca di fortuna, sono di fama mondiale e molto conosciuti. Spieghiamo il perché a chi per ovvie ragioni non li conoscesse. Vengono dalla gelida Svezia e alcuni pezzi estratti dal loro primo disco Folded del 2010 sono stati inseriti in colonne sonore di serie televisive di caratura mondiale come CSI:NY e The Inbetweeners, forse avete ascoltato i loro brani tantissime volte senza sapere di chi fossero. Siamo quindi d’accordo che gli MF/MB/ sono già una grande band non in cerca di fortuna. Sotto quest’ombrello non piove di sicuro. In una fresca primavera svedese del 2012 decidono di tornare in studio per dare vita al loro secondo disco Colossus esaltando le loro capacità compositive oltre l’umana immaginazione. Colossus esce per Adrian Recordings dopo un accurato missaggio di Magnus Lindberg (Deportees, David Sandström, Totalt Djävla Mörker e Refused), Colossus ti spacca la faccia al primo ascolto. I ritmi sono esagerati, i suoni bellissimi e il concetto di musica raggiunge prospettive non ancore conosciute in Italia, o meglio, non ancora valorizzate come dovrebbero essere. La batteria spinge talmente forte che ogni drum-machine ben confezionata risulterebbe banale a confronto, i suoni freddi sanno di elettro new wave, la voce calda porta il giusto equilibrio e le chitarre scavalcano i confini della realtà. Colossus non lascia mai spazio alla libera interpretazione da parte di chi ascolta, è talmente deciso da possedere potenti armi persuasive, sono gli MF/MB/ che decidono in quali direzioni bisogna andare per godersi il disco in tutte le sue parti più intime. Gli MF/MB/ dicono del loro ultimo concept rispetto al precedente:” Colossus è auto-analisi e terapia. E’ affrontare noi stessi e la bestia che è la nostra band. In Folded la nostra rabbia e frustrazione erano dirette verso l’esterno a tutti i bastardi che non capivano. In Colossus abbiamo invece guardato dentro, sperando di ottenere risposte a tutte quelle cose che non capiamo”.

Un disco terribilmente personale al quale dobbiamo riconoscere la propria bellezza, non esistono pezzi migliori di altri, il livello si mantiene alto dall’inizio alla fine ma per dovere comunicativo sono costretto a citare l’opener “Unto Death” , il primo singolo estratto “Casualties” (di cui sotto potete vedere anche il video) e la conclusiva “You Where The Last One to do Such a Thing”. Niente viene lasciato al caso, niente può essere fatto per caso quando vengono fuori dischi del genere, una scalata verso la magnificenza in chiave gotica. Una lezione molto forte alla musica italiana ormai sempre più strumentalizzata e comandata a svolgere il compitino classico, gli MF/MB/ sono tanta roba.

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