Riccardo Merolli Author

Presidente emerito di Rockambula. Non studia non lavora non guarda la tv non va al cinema non fa sport.

Tre Allegri Ragazzi Morti – Nel Giardino dei Fantasmi

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I Tre Allegri Ragazzi Morti fanno senza ombra di dubbio parte della storia indie della musica italiana. Questo è vietato metterlo in discussione, sotto il loro ombrello non piove mai. Il percorso artistico della band lascia poco spazio alle critiche cattivelle e molto molto invidiose di qualche nerd fuori controllo, un lungo cammino fatto di punk, di dub (Primitivi del Dub), di folk, di musica leggera senza speranza, di fumetti, insomma, i TARM hanno suonato di tutto in vent’anni di carriera. Certo, la loro costanza negli anni non è sicuramente frutto di botte di culo, vent’anni sono tanti e raggiungere perlomeno la decenza in tutte le uscite discografiche non lascia dubbi al talento degli scheletri di Pordenone. Passano solo due anni dall’ultimo disco ed ecco arrivare Nel Giardino dei Fantasmi, un seguito naturale ed atteso del precedente Primitivi del Futuro. Non c’è nessuna sorpresa, nel senso che personalmente mi aspettavo questo disco proprio come l’ho trovato, soddisfacente sotto ogni punto di vista, musicalmente ben suonato e visivamente confezionato ad hoc, le polemiche che riescono a creare fanno parte della loro attitudine sfrontata. I TARM sono vecchie volpi del deserto, capiscono e anticipano quello che la gente vuole ascoltare sperimentando tanto, tantissimo. Un predisposizione al punk nelle vene (e quella non riuscirà a toglierla nessuno) con una vocazione reggae ormai sempre più invadente nei loro pezzi. Nel Giardino dei Fantasmi presenta una voglia di cambiamento artistico molto più evidente rispetto ai precedenti lavori, sembrerebbe il disco della maturità ma non è così (la voglia di giocare è ancora tanta), folk rock a profusione e tanti punti ancora da metabolizzare. L’idea è quella di un castello di sabbia costruito meticolosamente. I primi ascolti danno velocemente il senso di orecchiabilità su cui è costruito il disco, poi accenni alle vecchie pellicole western sull’onda del cinismo della chitarra morriconiana. Il passato che ormai non torna più cantato in I Cacciatori e le sonorità reggae in Alle Anime Perse, poi la bellezza della semplicità nel pezzo portavoce del disco La mia Vita senza te. Tanta rabbia contro un mondo marcio e insostenibile, la speranza nei ricordi di tanti anni fa, quando tutto sembrava più facile, almeno in apparenza con uno scudo indistruttibile che era la gioventù. Nel Giardino dei Fantasmi è il primo disco dove la band inizia a guardarsi alle spalle, vent’anni di musica sono tanti, il futuro non promette niente di buono e il ricordo allarga la ferita e allo stesso tempo consola. Toffolo disegna nel vero senso della parola un mondo diverso e parallelo dove nascondersi, una corazza indistruttibile fatta di musica e fumetti, ognuno di noi è libero di perdersi in quel mondo fantasma dove l’amore conta tanto quanto la sofferenza, dove niente viene lasciato da parte, un mondo positivo quanto negativo. Un mondo ricco di sentimento. Un mondo vero.

I TARM affrontano l’uscita di questo disco consapevoli di sfidare tutto e tutti, grandi pubblicità da una parte (anche spudoratamente di parte), grandi critiche dall’altra movimentate solo da odio e intolleranza, Nel Giardino dei Fantasmi è un disco equilibrato, non farà sussultare il mio finale d’annata ma riconosco il merito e la capacità compositiva della band. I TARM dopo tanti anni consumati sulle spalle riescono sempre a rigenerarsi e a scrivere dischi inaspettati, riconosciamo il giusto e apprezziamo questo nuovo capitolo della loro strepitosa avventura.
Nel Giardino dei Fantasmi potrebbe essere la giusta soluzione a una vita musicale scontata e senza troppe soddisfazioni.
Beccatevi anche il video…

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Indastria – I Giorni Del Pelo

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Gli Indastria sono una delle band più esplosive ascoltate in questo tremendo e nauseabondo anno, vi presento il loro disco I Giorni Del Pelo. I Giorni Del Pelo prende ispirazione almeno nel nome da una festa alcolica organizzata qualche tempo prima dal chitarrista mentore Francesco  Casagrande, avere pelo significa essere molto resistenti alle ubriacature, infatti nella cover del disco è raffigurato un orso polare come simbolo più rappresentativo dell’avere “pelo”. Una festa a base di pelo potrebbe essere intesa in maniera diversa ma ognuno è libero di portare il proprio pelo come desidera. Ok, parliamo del disco. All’inizio avevo il sospetto molto concreto di trovarmi davanti al classico lavoro demenziale e coglione al quale dovevo dedicare anche del tempo per apprezzare la stupidità, per trovare un inesistente motivo per consigliare il disco, per fare il critico alternativo dei miei coglioni. Cazzo (e qui ci sta veramente tutto intero), I Giorni Del Pelo è una bomba! Gli Indastria sono troppo potenti, un lavoro direi quasi esemplare, quello che non ti aspetti di ascoltare tutto d’un tratto ti arriva addosso come un tir impazzito. Musica matta che ti conquista subito e ti spacca il cervello, testi spaventosamente geniali, provate ad ascoltare Orso Polare Droga e poi cercate di spiegare se l’alternativa e tanto super considerata scena italiana sarebbe riuscita a tirare fuori un pezzo così. Il disco composto da dieci pezzi certamente non riesce a reggere il ritmo per l’intera durata de I Giorni Del Pelo, non sarebbe umanamente possibile e loro sicuramente non sono i Tool ma evidenziano una naturale vocazione al caos. Sono molto stoner/punk incazzati e sono talmente fighi che quelle canzoni le potrebbe cantare anche mio nonno, sullo stile delle vecchie punk rock band italiane ma molto ma molto più duri, potrebbero aver preso lezione dal primo Teatro degli Orrori.

Cercateli su facebook e scaricatevi gratuitamente il disco, vi renderete conto che non si mangia solo merda in Italia. Adesso che la foga dell’impatto iniziale è passata lasciamo scorrere qualche minuto e rivediamo il disco degli Indastria con una migliore lucidità. Sempre la stessa cosa, un tir impazzito che mi passa sopra. Certamente più che alla tecnica gli Indastria devono ringraziare la potenza che riescono a sprigionare, non è poco e soprattutto non è da tutti e per questo motivo sono rimasto colpito in maniera positiva da questa band, spero di non sbagliarmi ma la semplicità quasi sempre è alla base delle cose belle. Loro attualmente sono tra i più belli e semplici che potevamo aspettarci di incontrare.

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My Bloody Valentine: disco e tour.

Written by Senza categoria

E’ dal lontano 1991 che i re assoluti dello Shoegaze non si cimentavano con un nuovo lavoro in studio. La band di Dublino è pronta a smembrarci ancora il cervello col loro carico di feedback sognanti. E per chi avrà la fortuna e la possibilità di farlo, Kevin Shields annuncia tre date per il 2013 che si preannunciano indimenticabili.Mi raccomando, se andate, portate i tappi per le orecchie, non si sa mai che in U.K. vadano tutti esauriti (fan compresi)

9 Marzo 2013 – Barrowlands, Glasgow
10 Marzo 2013 – Apollo, Manchester
12 Marzo 2013 – Hammersmith Apollo, Londra

 

 

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Novadeaf – Humoresque

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Humoresque oltre ad essere una raccolta di brani  brevi per pianoforte del compositore Antonín Dvořák è anche l’album dei pisani Novadeaf capitanati dal cantante Federico Russo. A dire il vero sono rimasto un tantino spiazzato dalla presentazione del disco scritta proprio dal Russo, nel senso, non riuscivo a capire bene quali storie si intrecciavano dietro questo lavoro. In effetti la presentazione non risulta di facile comprensione, per fortuna noi dobbiamo parlare di musica. I Novadeaf suonano un buon indie pop prevalentemente di matrice britannica, ovviamente cantato in inglese e sicuramente pensato e registrato per dare questo effetto. Il secondo pezzo It Ends Whith A Smile sembra essere una vera e propria bomba scoppiata sulla faccia, adoro le aperture della chitarra e la voce sporca di new wave, un mastering di caratura più elevata avrebbe sicuramente migliorato e di molto l’effetto potenza sprigionato dal brano. Ma non si può certo avere tutto dalla vita. Subito dopo la bomba arriva inevitabilmente il silenzio raccontato nella canzone Man of Fire, ballatona troppo stile REM dedicata apertamente alla vera storia dello scrittore omosessuale Alfredo Ormando, ma una ballata è sempre una ballata nonostante i propri difetti.

Poi improvvisamente le chitarre diventano americane e Bon Jovi s’impossessa dell’anima dei Novadeaf  in Axolotl e per l’intro e qualche parte di Fall From Grace Together che altrimenti sarebbe stata veramente un’ottima song tirata da un basso massiccio, una batteria impeccabile e una voce emozionale. Parecchie similitudini ritmiche con i primissimi Police e questo non è certo un difetto dal quale nascondersi piuttosto un punto fermo sul quale fare forza. Humoresque continua il suo percorso fino alla fine regalando bellezza e qualcosa di veramente brutto, un disco che non riesce a trovare il proprio equilibrio interiore nonostante le buone premesse ci sono tutte, tecnica e orecchiabilità sono la forza dell’intero concept. Ognuno di noi dovrebbe avere il coraggio di prendere delle decisioni convinte e determinate evitando di scendere a compromessi artistici privi di qualsiasi sostanza.

Dei Novadeaf ho saputo apprezzare la grinta che riescono a trasmettere e meno il sentimento interiore dei brani, non mi emoziono davanti a nessuna canzone di Humoresque ma sicuramente mi fanno venire voglia di far saltare il collo.

 

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S.M.S. – Da qui a domani

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Torna sulle scene portandosi dietro tantissime aspettative l’ex frontman dei Diaframma Miro Sassolini, la band che lo accompagna in questa nuova vicenda si chiama S.M.S., un collettivo musicale formato da gente come Cristiano Santini (ex Disciplinatha), e la poetessa Monica Matticoli (dalle iniziali dei loro cognomi S.M.S.) e la collaborazione di Federico Bologna (Technogood e Armoteque). Il disco uscito sotto etichetta Black Fading Records prende il nome  Da qui a domani, un lavoro troppo intenso per lasciare secca la gola, un racconto in versi meritevole di ripetuti e sofisticati ascolti. Monica Matticoli regala belle parole a Miro Sassolini al quale non resta che cantarle con la propria voce indelebile, una delle migliori voci italiane di sempre, e non solo new wave. Di sempre. Negli ultimi tempi fatta eccezione per qualche isolato caso si era persa la concezione di musica di spessore, tutto stava girando attorno alla semplicità e al beffardo stile compositivo dei moderni cantautori italiani ai quali la vena artistica sembra mancare del tutto, nei loro testi appare una sconcertante struttura poetica e le loro canzoni sembrano appartenere ad una generazione senza futuro, un pianto senza fine. Gli S.M.S. mantengono sempre una linea musicale minimale, tanta elettronica inserita da Federico Bologna, la precisione della semplicità d’esecuzione risulta essere arma vincente per la riuscita del disco. Miro Sassolini torna a grandi interpretazioni, tutte le attenzioni sono per lui, Giovanni Lindo Ferretti in stato di grazia ma senza il dannato fascino della new wave nelle corde vocali.

Nel pezzo di apertura Sul Limite Monica Matticoli ci regala un caldo e sofisticato reading  d’introduzione al disco e subito si ha la percezione di quello che realmente sarà Da qui a domani. Poi i colpi di scena sono tantissimi, l’ascolto di una traccia comporta la grande curiosità ad ascoltarne la seguente lasciandosi intrappolare in un circuito vizioso. Tanta elettro music in pezzi come In Quiete, molta atmosfera e la voce viaggia su intonazioni alla Franco Battiato. Ma ascoltando bene quel  Miro Sassolini ricorda tantissimo quello di Tre Volte Lacrime, non si discute.
Ce spazio anche per la dolcezza in Disvelo e Rimane addosso la veste lacerata del risveglio, molto emozionali e trafiggi cuore, i testi giocano un ruolo importantissimo come del resto per tutto il disco. Esageratamente bella la ballata trip-hop A Nudo, modernizzazione del sound dei CSI in Petite Mort.
Da qui a domani è un disco attuale con evidenti influenze del passato e del personale bagaglio artistico dei componenti della band, una delizia dei sensi per chi vuole lasciarsi trasportare da queste atmosfere, la voce profonda di Miro Sassolini dona la vita ai bellissimi testi di Monica Matticoli, una combinazione vincente, un risultato quasi garantito.

Ho sempre amato Miro Sassolini, sono anni e anni che apprezzo le sue interpretazioni, ero certo che il suo ritorno discografico non poteva affatto deludere. Da qui a domani diventa immediatamente una delle migliori uscite discografiche del 2012, Miro Sassolini è l’artista che non delude mai, Miro Sassolini ha cambiato il modo di cantare in maniera significativa.

 

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Soul Revolution – People

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La musica quasi sempre racconta storie, di vita, di amore, di morte. Quasi sempre racconta di qualcosa o qualcuno, del desiderio o della sofferenza. Si staccano dal brutto concetto di cover band i Soul Revolution e registrano un disco d’inediti variegati chiamato People. I Soul Revolution sono un duo acustico formato dalla cantante italo/inglese Deborah Baratelli che non potendo dare risalto alla propria appartenenza anglosassone si modifica il nome in Dee Bee (che forse farà più indie) e dal chitarrista Fabrizio Scafetti. Bene, prima parlavamo del passato da cover band di questi ragazzi dal curriculum interessante e stizzoso, loro hanno girato la capitale tra teatri e locali per proporre la propria interpretazione di cover internazionali cantate in ben cinque lingue! (italiano-inglese-francese-spagnolo-portoghese). Sicuramente un bel progetto poco comune, direi interessante ma non riesco a trovare un nesso logico con la voglia forzata di registrare un disco originale, è vero che l’arte si misura in originalità ma non bisogna mai varcare il confine della decenza.

Prendiamo il loro disco People e cerchiamo di capire cosa c’è dentro con estrema calma e franchezza. Il disco racconta di storie normali di tutti i giorni, come dicono loro un disco scritto tra la gente, cantato in maniera ineccepibile dalla cantante Dee Bee (ormai ti chiamerò in questo modo) e suonato (soltanto tecnicamente) maledettamente bene dal chitarrista Scafetti, le innovazioni musicali purtroppo non sono minimamente sfiorate lasciando spazio ad un caos devastante. Mancano completamente legami tra tutte le canzoni proposte, una cozzaglia di generi inverosimilmente spalmati nel disco, c’è bisogno di riprendere fiato per affrontare nuovamente l’ascolto dell’album. Swing, folk, tango, rock, tarantelle e tarantolate, capricci e depressione, voci angeliche turbate, insomma, l’inferno di Dante nel cerchio degli adulatori (questa volta musicali). Con pazienza quasi record porto a termine l’ascolto di qualcosa che poteva essere molto ma molto meglio, bisognava lasciarsi andare al sentimento personale dei musicisti, si è giocato ad una sorta di “butta tutto nel calderone” senza buoni risultati, si è pensato troppo alla tecnica e poco all’armonia dei riff sempre troppo ingessati.

People racchiude l’essenza della strada ma non riesce a tirarne fuori le verità, un modo troppo chiuso e condizionato ruota attorno ai Soul Revolution, Dee Bee (continuo ad evocare la figaggine British) e Fabrizio Scafetti avrebbero bisogno di suonare musica in maniera meno sintetica dimenticando per una volta programmi televisivi e smanie allunga curriculum. La musica è prima di tutto verità, il resto purtroppo è solo merda.

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Sandra Ippoliti

Written by Interviste

Sandra Ippoliti è una delle cantanti (interprete, musicista) più interessanti del panorama indipendente italiano, versatile e con una grande conoscenza della musica, Rockambula decide di fare una chiacchierata con lei per cercare di capire realmente l’artista Sandra Ippoliti.

Che tipo di persona è Sandra Ippoliti?
Bisognerebbe chiedere a Umberto! (Palazzo ovviamente!)

Quanto è importante scrivere musica nella tua vita e quanto riesci a mettere della tua persona nei pezzi?
Per quanto mi riguarda, ascolto musica da quando ho coscienza di me. Ho cominciato, come dico sempre, studiando il pianoforte a sei anni, poi da autodidatta ho cominciato con la chitarra. La mia prima canzoncina l’ho scritta a 12 anni, strofa, ritornello, strofa, bridge e ritornello finale. Per quanto mi riguarda, dunque, ho sempre avuto la musica come componente imprescindibile della mia vita.
Nelle mie canzoni ci sono io. Dunque tutti, dunque nessuno. Insomma parto da me, e sputo fuori quello che mi ha colpito, quello che mi fa star bene e male, Umberto Palazzo dice che io non scrivo io parlo. Effettivamente è così, suono due accordi e comincio a dire cose che escono senza aver bisogno di pensare. Poi riascolto e mi chiedo stupita come può essere uscita una canzone di senso compiuto? (più o meno), dove fossero nascoste tutte quelle cose che sono uscite fuori? E’ un bell’esercizio per conoscere il subconscio di ognuno. Spesso, quelle canzoni che credi siano solo tue poi si trasformano in un qualcosa di universale, l’esempio de Le Blues, che credevo fosse solo un mio dolore, un mio stato d’animo ed invece, racconta uno stato d’animo comune a tutti noi: la sofferenza per la perdita di qualcuno o di qualcosa di importante.

Come vedi la scena musicale italiana, c’è spazio per chi vuole esprimere la propria arte?
Eh. Lo spazio c’è ma è sempre quello ed è sempre più stretto. Ovvio ci sono le lobby anche in questo settore. Io non so nemmeno se sono ancora “entrata” nonostante la mia reticenza nel volerlo fare. Io sono una romanticona, considero la musica come un qualcosa di unico, sacro, importantissimo. E’ una cosa seria, il suono è una cosa seria e gli sputtananti per due soldi o per le copertine di giornali, sono però e purtroppo, la realtà. Sporcare la musica con comportamenti del cavolo mi sembra come bestemmiare. Considerarla solo una fonte di guadagno e di “guapperia” mi fa solo che schifo. Dunque non saprei. Odio i compromessi, odio il pilotare un qualcosa e consumarlo fino alla morte stessa di esso. Mi piace la spontaneità. Ma sono rimasta sola. A tutti, anche al più pulito degli artisti interessa solo il successo e i soldini ed il come arrivarci è un qualcosa di secondario: il fine giustifica i mezzi. IN ITALIA.

Tu che rapporto hai con chi “governa” il sistema musica cosiddetta indie in Italia?
Odio la suddivisione per generi, non la sopporto. Considero la musica sempre un’espressione di un umano e ovvio che sia diversa da persona a persona. Mi sembra inutile, ma va bene.
Già che ci siano dei vertici è già preoccupante e già mina al concetto di originalità. Non credo molto in questo “movimento”. Si perde un pò in se stesso. Vorrebbe farmi credere che le magliette (orrende e senza forma) che indossano costino 3 euro a pezzo? O i loro occhiali con montature oscene siano di plastica riciclata e quindi li hanno pagati 15 Euro? O che si siano tagliati i capelli col ciuffo da soli? E’ tutto finto, è più finto del pop. Quindi non mi riconosco molto in questa “moda”. I vertici non li conosco, so che suona un pò sempre la stessa gente e questo non è sinonimo di originalità e di ricerca. I vertici guardano al guadagno applicando manovre da pop all’indie. Sperimentazione e progetti folli, addio!

Molti artisti si lamentano perché sono sempre gli stessi gruppi a suonare, una specie di circolo chiuso, tu cosa ne pensi?
Che è un circolo chiuso. Gira sempre la stessa gente, da mille anni, si spartiscono premi e premietti, solcano i palchi migliori e gira e rigira sono sempre loro. Io cosa ne penso? Io no amo molto questo genere. Non mi piace quasi nessuno e non posso farci niente. Ho provato ad ascoltarli e molte volte ho dovuto interrompere l’ascolto per il fastidio che provavo in certi punti. E pensi. Bene mi fa provare qualcosa quindi è una musica che vale. E mi sforzo di riascoltare. Può essere che non ho i mezzi per comprendere. Ascolto le parole, nessun senso, ascolto la melodia, l’arrangiamento, ritrovo cose brutte già sentite ripetute come un mantra. Ma è una bufala. E’ sempre la stessa melodia! E mi fa venire da piangere. Purtroppo questo effetto, e so che mi giocherò la metà di tutti voi lettori, me l’ha fatto il tanto osannato doppio disco dei VERDENA. Hanno messo su questo doppio disco, mentre montavo il set su un palco  non ricordo dove. DI colpo, ho cominciato a piangere, non ero a mio agio, quella musica, mi stava davvero dando fastidio. Eppure mi dicevo, affermano di essersi ispirati ad un disco come ANIMA LATINA, mio disco preferito con AMORE NON AMORE. A mio avviso dovrebbero andarci piano quando affermano di citare come ispirazione, un disco come ” Anima Latina” di Lucio Battisti, frutto di un viaggio, di un’amicizia, di un rapportarsi con un altro popolo   (i BRASILIANI), con un’altra musica. Frutto di un periodo storico come gli anni 70, che spruzza originalità e coscienza del proprio essere da ogni parola, ogni suono ha la volontà di creare un linguaggio diverso. E quindi costoro? Che cosa volevano denunciare con questo disco? Insomma loro mi sono simpatici, ma ricordo quando uscirono un pò di tempo fa. Erano l’idolo della generazione dopo la mia, quella già degli anni 80. Io non li accettavo, il mio idolo allora era Lyne Stanley e non il cantante dei Green Day. E’ una questione di età.

L’Abruzzo terra tua (e mia) che ruolo ricopre in tutto questo? Nel senso, belle realtà musicali che iniziano a dire la loro…
L’Abruzzo sforna delle interessantissime realtà. Siamo terra prolifica e genuina, con moltissimi talenti. Solo che dopo un tot se vuoi farti conoscere devi comunque uscire fuori dalla provincia e sistemarti dove hai un pò più di visibilità. Altrimenti qui non accade nulla. Dopo un pò c’è la necessità di girare altri luoghi, di suonare in altri posti. Io ho provato da sola a fare tutto ciò. Ho cercato appoggi a destra e a manca, ma non è stato facile e tutt’ora non lo è. Le agenzie lavorano come sempre: il pesce grande trascina quello piccolo.

Bene, cosa ci riserva il tuo futuro artistico? Dischi, live, collaborazioni…
Il mio futuro artistico. Ho da fare il mio secondo disco. Lo temo. Ho una moltitudine senza senso di pezzi scritti nell’ultimo periodo. Tanti tanti. Devo ancora riorganizzarli e poi vedere un pò come fare una cernita intelligente. Scegliere i musicisti. Insomma questo disco sarà diverso dal 1. Il primo non va oltre il pop con qualche sfumatura jazz. Era abbastanza democraticamente corretto. Il prossimo si muoverà in base al mio suono, provando a scavalcare i generi. Registrarlo in compagnia, suonarlo in compagnia. Il mio sogno è questo. Poi live, tutti quelli che posso fare. Adoro suonare dal vivo più che fare i dischi. Nascono degli attimi in cui si perde la cognizione del tempo il corpo si muove in base a qualcosa che non controlli. E’ magnifico è come essere ipnotizzati. Certamente continuerò la mia collaborazione con Umberto Palazzo, sempre se lui vorrà. Vige questo contratto tra di noi: se vendo più dischi di lui sono licenziata e anche se fanno più foto a me, sono licenziata. Capita!

Umberto Palazzo a parte, con quale artista italiano vorresti lavorare?
Eh… Bella domanda. Non saprei, probabilmente con i Sacri Cuori e Hugo Race, Paolo Conte, Faust’O. Ascolto poca musica contemporanea italiana, mi butto sul passato. Dunque, Battisti, Dalla, Graziani, Rino Gaetano, Ciampi, De Andrè insomma nel passato avrei l’imbarazzo della scelta.

A quale daresti fuoco?
Sono all’inizio della mia carriera, non posso darmi la zappa sui piedi. Credo solo che molti artisti tendano a mentire su quello che cantano. Non raccontano altro che belle parole, bei sentimenti, belle intenzioni, ma poi nella vita non sono proprio così, senza sentimenti, che non sognano nemmeno lontanamente di provare quello che dicono. Purtroppo per loro tutto ciò, trapela da molte piccole cose e si perde il valore del loro operato.

La cosa più bella che ti è capitata negli anni della tua carriera artistica?
La cosa più bella è stata di aver avuto la possibilità di far conoscere la mia musica in giro per l’Italia e non solo. In questo periodo diventa quasi impossibile suonare nei locali quando non si ha un grande seguito, nessuno scommette più sul talento, i soldi sono pochi e il gestore del locale è costretto a giocare sul sicuro per non andarci sotto con la serata. Di aver suonato su palchi diversi, di aver conosciuto molta gente meravigliosa e aver condiviso molto. Questo scambio è appagante e ti fa vivere bene. A livello professionale il fatto di essere apprezzata, per un’insicura come me, è molto. E poi spero sempre che il meglio debba venire, ancora.

Cosa vorrebbe succedesse nel mondo Sandra Ippoliti?
Questo è un pò il domandone della miss quando vince. Peace and love. Anche se gradirei un ritorno alla comunità, al ritrovarsi in piazzetta per fare due chiacchiere. Vedo che da singoli, senza metterci troppo in esposizione manteniamo una schiera di amici che esistono solo nella vita dei social network. Ecco questa prassi non mi piace. Mi fa pensare al film di wall.e ed è letale. O meglio, è utilissimo questo mezzo, però usato in modo intelligente e noi non ne facciamo un utilizzo sano, credo.

Ecco, in questo spazio puoi dire tutto quello che ti passa nella testa, Rockambula ti saluta e speriamo di averti nuovamente sulla nostra webzine…
Spero di trovare qualcuno che creda nel mio progetto. Vi ringrazio tanto per tutto e soprattutto, grazie per la pazienza Riccardo!!! 😀

Ah, ultima domanda… Quanto è antipatico  Umberto Palazzo? 
Umberto Palazzo? Affatto antipatico, direi anzi che ci sbellichiamo dalle risate nei nostri viaggi sulla sua Toyota Corolla! Umberto sa tantissime cose, ti spiega e ti intrattiene su qualsiasi argomento, ascoltiamo moltissima musica di qualsiasi genere. Io sono onorata di suonare con lui. E’ una delle poche figure della musica italiana che stimo e ringrazierò sempre per quello che ha fatto per me e continua a fare.




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String Theory – 3 Rooms

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Quando le cose non vanno esattamente come dovrebbero andare, quando la luce è troppo lontana per lasciarsi arrivare improvviso improbabili soluzioni che non fanno altro che gettare merda sulle mie situazioni mentali, la confusione totale. Improvvisano molto bene il loro debutto discografico gli abruzzesi String Theory , registrano 3 Rooms con l’intenzione di sperimentare ossessivamente tutto quello che chitarra, batteria e sax riescono a tirare fuori all’idea del momento, niente voce e d’altronde chi se ne frega visti i risultati. Vogliamo a tutti i costi rompere le considerazioni monotone e maledettamente ripetitive della musica attuale per scavare una nicchia sempre più profonda dove ficcarsi prepotentemente, bruciamo tutte le convinzioni e guardiamo oltre l’immaginabile. Perché gli String Theory ti prendono per mano e ti fanno viaggiare con loro, tutta musica improvvisata, suoni sonici e le sovraincisioni la prendono nel culo. Improvvisare significa comporre istantaneamente, 3 Rooms suona talmente bene da sembrare studiato nei dettagli, troppo laceranti le cavalcate del sax elettronico, i pedali indiavolati e la batteria padrona della ritmica mancante di basso. Adoro pezzi come “I can’t see the horizon”, mi lascio sballottare da “a.f.a.”, non trovo mai una situazione di pace interiore sul quale appoggiare le mie frustrazioni. Post rock o semplicemente post è il termine per definire 3 Rooms, un disco che potrebbe benissimo essere il “dopo” di qualsiasi genere musicale, innovazione sonora e continua ricerca del suono nella sua migliore espressione. Una sorta di ricerca della felicità musicale. Per questo siamo d’accordo sul fatto che gli String Theory sono una grande realtà musicale abruzzese alla conquista dell’Italia sofisticata, povera e ingenuamente bacchettona. Ovvio che parliamo di musica molto spessa da approcciare a muso duro e con la voglia di sorprendersi ad ogni riff sempre molto singolare e innovativo.

Un grande album che rende omaggio a una grande band, gli String Theory fanno uscire chiunque lo voglia da imbarazzi penetranti, il viaggio è gratis, perderlo sarebbe una grande cazzata.

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Fabiola Trivella – Soprano in Jazz

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Il jazz elegante come petali sul cristallo incontra l’indiscusso talento del soprano Fabiola Trivella per dare vita ad un disco alla riscoperta dei classici italiani del passato, ecco cosa troviamo durante l’ascolto di Soprano in Jazz. Certo, per i lettori di Rockambula è cosa completamente nuova, qualcosa che esce completamente dai canoni della Webzine di musica indipendente, nessuno si aspetta di leggere recensioni di una cantante abituata a cimentarsi con il Madama Butterfly, abituata ad un pubblico da teatro. I festival e concerti rock sono un’altra cosa ma non è detto che l’incontro non possa portare a una fusione positiva e alla conoscenza di un genere completamente sconosciuto al popolo del rock (o almeno alla maggioranza). Fabiola Trivella è una cantante nel vero e proprio senso della parola, le sue espressioni artistiche oltre che a essere frutto di un talento naturale sono perfezionate da anni di studio e approfondimento della materia, l’istinto unito alla tecnica per intenderci meglio. Poi il suo disco ricco di indelebili classici del passato è stato progettato e suonato per arrivare a tutte quelle persone incapaci di spaziare mentalmente, a tutti quelli che hanno paura di guardare oltre il proprio raggio d’azione. Ci troviamo dentro tutta la qualità della musica italiana vintage, da Buscaglione a Luttazzi, e poi filastrocche in jazz come Maramao perché sei Morto? Qualcuno non ha mai canticchiato questa filastrocca?

Poi bisogna menzionare anche i lodevoli musicisti coinvolti nel progetto, Claudio Zitti al pianoforte, Gegè Munari alla batteria, Roberto Podio ancora batteria, Dario Rosciglione al contrabasso, Giorgio Rosciglione ancora al contrabasso, Nicola Mingo alla chitarra, Michele Ascolese ancora chitarra e Massimo D’Avola al sax tenore, sax soprano e clarino. Si sono tanti ma era doveroso nominarli tutti perché sono colonna portante dell’intero disco. La voce di Fabiola Trivella poi lascia addolcire i sensi mandando la mente in confusione totale. Affatto radical chic.

Quindi niente pedaliere indiavolate e testi di protesta, il punk rock questa volta non trova spazio all’interno di Soprano in Jazz della sensualissima Fabiola Trivella. Penso di aver fatto un ottimo incontro con la quale cercherò di confrontarmi il più possibile nel tempo avvenire.

Grazie a Dio esiste la musica Jazz. Grazie a Dio esiste la voce di Fabiola Trivella.

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Iceberg – Caro Tornado

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La tendenza a suonare (registrare) dischi in presa diretta sembra destinata ad aumentare considerevolmente, economicamente è più conveniente e artisticamente ha il suo ricercato perché, la potenza entra nelle ossa lasciando in secondo piano qualche piccola incertezza d’esecuzione. Gli Iceberg lasciano la lingua inglese per debuttare con un disco tutto in italiano registrato in presa diretta e intitolato “Caro Tornado”. L’idea è quella di trasmettere l’irruento impatto delle live performance, il risultato sonoro potrebbe avere molti punti sui quali discutere ma noi cerchiamo di cogliere l’animo punk del disco pensando alle cose belle della vita, se ancora ce ne fossero da apprezzare. Gli Iceberg suonano un rock sporco simile al Verdena style, molto cinici e spietati nella scelta dei riff, manca sempre la dolcezza, abbuffate di energia, la presa diretta questa volta non rende  praticamente mai grazia ai brani. Le chitarre suonano troppo chiuse, la batteria non picchia affatto come dovrebbe e la voce rischia di affogare in un mare di imperfezioni. Ovviamente problematiche di registrazione e non di tecnica.

Si voleva un disco sporco? Ecco un disco sporco. “Caro Tornado” è un lavoro comunque sia giovanile, adatto indubbiamente a un pubblico sbarbatello e sognatore, troverà facilmente i consensi di cui ha bisogno in pochissimo tempo, certo non entrerà nella storia ma troverà il proprio cammino. Da segnalare a voce grossa la bellissima confezione in digipack davvero interessante e ben fatta. Gli Iceberg nutrono grande passione per la musica e questo rimane subito chiaro ma torno ancora sulla registrazione che non convince e questo rimane un punto penalizzante per la riuscita del disco, non trovo mai quell’esplosione sonora di cui loro parlano tanto, non riesco a seguire con attenzione le linee melodiche e il nervosismo aumenta.. A volte sono costretto a prendermi una pausa. Una migliore attenzione nei suoni e forse ora staremo a parlare di un altro disco, voglio credere e dare fiducia a questi ragazzi, essere alternativi non è così semplice come potrebbe sembrare. Dai! Dai! Dai! Non tutto è perduto.

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Epsilon Indi – Wherein we are Water

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Bene, ci sono voluti tredici lunghissimi e stressantissimi anni prima di arrivare all’ottavo album per gli Epsilon Indi, ci arrivano con la giusta maturità registrando per l’etichetta BitBazarWherein we are Water”. Poche sorprese da una delle ex migliori band del panorama alternativo italiano, tutti aspettavano un disco di buon livello e così è stato, un opera da seguire con attenzione per non perdere i vari cambi direzionali delle sonorità. Tutto improvvisamente diventa cupo quando il disco inizia con “Dawn”, il pezzo nettamente più importante, dalla finestra entra timido qualche raggio di sole che non trova giustizia. Le mie percezioni portano a conclusioni chiaro/scuro, l’invernata alle porte accende l’irrefrenabile voglia di consumare il disco nel lettore, forse non sarà dark wave ma poco ci manca. L’acqua è elemento fondamentale per la riuscita dei pezzi, l’acqua è libertà di azione in quanto (parole loro) prende la forma del contenitore lasciando intatta la propria fisionomia. Gli Epsilon Indi cercano di spaziare il più possibile in “Wherein we are Water” cercando di non catalogarsi per non spegnere la voglia di sperimentazione continua pur mantenendo i loro caratteri iniziali, sempre la stessa tela dove si buttano colori scuri in continuazione.

Poi ballate romantiche come “We are Water” brano che dà il titolo all’album e pezzi strumentali come “Ocean Lullaby” rendono variegato l’intero complesso artistico. La novità è che questa volta si decide di cantare in inglese per armonizzare meglio la voce con la musica, di questo si potrebbe discutere ma le scelte personali sono personali e il risultato di certo non porta loro nell’errore, la scelta sembra essere molto valida, il suono di questo disco richiede anche questo. Accostati nelle sonorità ad artisti/band come Cure, Brian Eno e Divine Comedy gli Epsilon Indi sanno di avere grande forza sulle loro spalle ma soprattutto hanno la consapevolezza di essere tornati più vivi che mai e di avere registrato un grande disco. Perché “Wherein we are Water” è senza ombra di dubbio un grande disco da procurarsi il prima possibile, bentornati Epsilon Indi la musica italiana ha un grande bisogno di voi.

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Etnia Supersantos – L’Abominevole uomo delle fogne

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Il mondo era bello e le caprette facevano ciao! Il modo adesso è brutto e le pantegane fanno ciao! Gli Etnia Supersantos arrivano al secondo disco L’Abominevole uomo delle fogne in forma smagliante e senza pensieri martellanti nella testa, come sentirsi non condizionati da tutto quello che quotidianamente ci percuote la testa. Un disco leggero nei contenuti e pesante nei significati, si “offende” con ironia, si suona tanto e decisamente bene. Se la voglia è quella di danzare, bere e lasciarsi andare questo è il disco giusto, se volete arrovellarvi il cervello con sentimenti nascosti e lacrimucce forzate lasciate perdere questo lavoro, non è roba dal cuore tenero. E’ roba per guasconi scaccia pensieri in cerca di divertimento.

Si balla dall’inizio alla fine respirando melodie esotiche (La Jungla, le Scimmie, le Liane), si fanno escursioni improbabili alla ricerca della componente ritmica (L’Escursione sul Monte Sinai) e tutto sommato perdo il filo della ragione quando (Soffro) il calo del desiderio è politico e non sessuale. Un Varietà a tutti gli effetti, una rappresentazione sciocca della vita, un modo simpatico per ingoiare bocconi amari ai quali siamo ormai costretti a fare la bocca. Bene, L’Abominevole uomo delle fogne rilassa la mia nervatura e prepara le labbra ad incontrare un sorriso ben voluto, certe cose sono fatte per questo. Non un disco simbolo della discografia italiana ma un momentaneo anti dolorifico e un calcio nelle palle alle sofferenze (almeno per qualche minuto). Un cast ricco di musicisti quadrati che danno spessore all’intero album, un disco da prendere nudo e crudo senza farsi troppe domande. Fondamentalmente un buon lavoro. Gli Etnia Supersantos sanno come fare per sentirsi importanti, sanno far ballare e soprattutto sanno far sorridere. Vi sembra poco? L’Abominevole uomo delle fogne bisognerebbe ascoltarlo in mutande sul balcone di casa sorseggiando un cuba libre e fregandosene altamente della merda che ci cade sulla faccia.

 

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