Silvio Don Pizzica Author

Era così tanto un bravo ragazzo. Poi ha conosciuto la trap.

Streetambula. Il programma (work in progress) del primo contest targato Rockambula

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Finalmente definita la line Up della prima edizione di STREETAMBULA, il contest organizzato da Rockambula in collaborazione con l’associazione Nuove Frontiere che si terrà il 31 agosto a Pratola Peligna (Aq). Per maggiori informazioni visitate la pagina facebook Streetambula. I premi in palio fino ad ora definiti sono:

1° Registrazione di un singolo presso l’ACME Studio Recording di Raiano (Aq) alloggio compreso

2° Ospitata in Radio presso la Protosound  Area Radio di Chieti

3° Set Fotografico offerto da Giuseppe Zac

4° Valigetta con accessori per tutta la band offerta da Musicalmente, negozio di strumenti musicali

5° Pacchetto Rockambula comprensivo di brani in ascolto in home, banner per  1 mese, intervista e recensione, band della settimana + video della settimana

+ lezioni gratuite di batteria presso l’Hard Grooves Drum School di Raiano (Aq) per i 3 migliori batteristi

La giuria, non ancora definitiva, è per ora composta da:

Roberta D’Orazio, Direttrice della Webzine Mola Mola e Redattrice di Rockit
Michele Montagano, Direttore della Webzine Stordisco e dell’Etichetta V4V Records
Silvio Pizzica, Caporedattore della Webzine Rockambula e redattore di Ondarock e AbExpress
Ulderico Liberatore, Redattore Rockambula
Paolo Tocco, Direttore dell’Etichetta e dell’Ufficio Stampa Protosound
Daniela De Stephanis, rappresentante associazione Nuove Frontiere
Piero Lucarelli, responsabile Arezzo Wave Abruzzo e direttore Associazione Franti Rise
Emiliano Amicosante Direttore Etichetta Indelirium Records e fondatore di Rockambula
Silvio Mancinelli, redattore Musicalnews
Luciano “Lou” Liberatore, chitarrista e fondatore della band romana dei Bohémien

Giuria speciale premio Hard Grooves:

Giorgio Di Giannantonio, titolare Hard Grooves Drum School
Stefano Di Bacco, batterista e rappresentante associazione Nuove Frontiere
Daniele Palombizio, batterista dei Christine Plays Viola

Durante la serata del 31 agosto saranno inoltre presenti diversi espositori ancora in fase di definizione. Di sicuro ci saranno:

Rockambula, webzine organizzatrice
Indelirium Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
V4V Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
To React Records, etichetta indipendente, espositore e vendita cd
Acme Recording Studio, studio di registrazione
Neo Edizioni, casa editrice indipendente e vendita libri
Rumble Tumble Tattoo, esposizione tatuaggi
To Lose La Track, etichetta indipendente, espositore e vendita cd

Mentre tra le esposizioni artistiche (pittura, scultura, fotografia, ecc…):
Teschio Urbano Art
Gianluca Di Bacco, disegnatore, fumettista
Giovanni Camassa, fotografo
Patrizio Petrella, artista, pittore

Fotografo ufficiale della serata Alessandro Baroni.

Di seguito le 8 band finaliste:

À l’Aube Fluorescente. Progetto alternative rock della Valle Peligna che nasce nell’ottobre 2012 dall’idea di Jacopo Santilli (voce e basso) e di Paride Sticca (chitarra).

Too Late To Wake. Band post-grunge pescarese attiva da luglio 2010.

Doriana Legge. Cantante, chitarrista, compositrice, ex voce e chitarra dei Queer Dolls e voce dei Discanto, qui nel suo progetto solista.

The Old School. Nati a Sulmona nel febbraio 2011, il quartetto propone un classico Rock’n Roll anni Sessanta ispirato ad Elvis e Eddie Cochran.

De Rapage. Vengono assemblati in diversi momenti degli anni ’70 da carrozzieri psicopatici e muratori stupidi. L’inizio della loro bio la dice lunga su chi siano questi ragazzi di Chieti e cosa sia la loro musica.

The Suricates. Cinque ragazzi dal chietino propongono un Post Rock carico d’enfasi

DEM. Rock Blues Trio nato a L’Aquila e dalla forte anima internazionale.

Ghiaccio 1. Giovanissima band di Giulianova che propone Rock in lingua italiana.

Alle band escluse dalla finale non possiamo che rinnovare i nostri ringraziamenti e fare i complimenti. È stata una gara tiratissima che ha visto la prima band esclusa, distanziata di pochi centesimi (è stato calcolato un voto medio sulla base di quello dei redattori) dall’ultima delle finaliste scelte. Oltre a mandare a tutte le band un enorme “in bocca al lupo” rinnoviamo inoltre l’invito a partecipare comunque alla serata del 31 agosto a Pratola Peligna (Aq) ricordando che la nostra webzine, Rockambula, sarà a loro completa disposizione per la pubblicazione di news, recensioni o altro (nei limiti del fattibile).

Grazie a tutti e continuate a seguire gli sviluppi su Streetambula e Rockambula, anche Facebook. Ci vediamo il 31 agosto a Pratola Peligna. Ciao.

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Sorrow – Dreamstone

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Dopo una serie di Ep, remix e interessanti collaborazioni con artisti quali Stumbleine, Asa e Submerse, finalmente il Dj e produttore britannico Sorrow presenta il suo primo full lenght, intitolato molto suggestivamente Dreamstone. Una miscela innovativa anche se non stravolgente di Dubstep, Garage, Elettronica e Ambient che mira dritta alla parte più emozionale dell’ascoltatore.

Ritmiche grevi tipiche del Dubstep si stagliano su echi vocali femminili e seducenti e su note leggere ed eteree che in alcuni momenti (“Supernova”, Maelys”) azzardano rielaborazioni di Bossa Nova. Abituato alle collaborazioni, queste non mancano neanche in Dreamstone. In particolare nella title track e in “Dalliance” si evidenzia la presenza di CoMa che riesce ad aumentare la forza delle atmosfere Ambient della musica di Sorrow mentre è la brezza Chill Out a dare all’opera un’aura di completezza, omogeneità e dinamicità.

Tutti gli undici brani per i cinquanta minuti dell’album vivono di un’alternanza naturale tra oscurità ora più dinamiche (“Gallows Hill”, “Flowerchild”) ora più lente (“Dreamstone”) e lucente speranza e ariosità (“Moodswing”) ma senza mai presentare spaccature nette. Le differenze tra un brano e l’altro si limitano a sfumature leggere e quasi impercettibili a orecchio distratto mentre è chiaro come la formula che mira a una miscela di Dubstep, Chill Out, Ambient ed elettronica, per quanto qualcuno possa essere considerata innovativa (hanno parlato di Dubstep Ambient) da alcuni, in realtà è una scelta senza troppi rischi, senza una reale voglia di cambiamento, rivoluzione sonora e nessuno, ascoltando questo Dreamstone, potrà certo parlarvi di un album rivoltoso o fuori dagli schemi, salvo mentirvi o palesare la propria impreparazione. Che lo si chiami Ambient Dub o Dubstep Ambient o come diavolo volete, Sorrow non fa che riprendere e ripresentare in chiave moderna le idee di The Orb, Scorn, Vladislav Delay o Woob ma invece che sperimentare le possibili diverse e stravaganti sfaccettature del genere, come hanno fatto ad esempio Miles Whittaker e Sean Canty ovvero i Demdike Stare, sceglie di lavare il tutto da ogni sporcizia, lasciando solo la parte più pulita, scorrevole, immediata e semplice.

Quello contenuto in Dreamstone è un Ambient Dub oscuro ma non troppo, pesante ma non troppo, melodioso ma non troppo. Insomma è tutto e il contrario di tutto; ma non troppo.

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W-H-I-T-E – III

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Cory Thomas Hanson è l’artista e musicista di Los Angeles che si nasconde dietro il nome W-H-I-T-E. Già nel 2008, quando prendeva vita il suo percorso artistico, era chiaro che Hanson non avrebbe certo intrapreso la strada calma e pulita della melodia tradizionale e del cantautorato. Sceglie il nome d’arte W-H-I-T-E per esprimere fin da subito alcuni concetti fissi nella sua mente, per dare l’idea di quell’attrazione trascendentale che la luce bianca ha verso ogni creatura e la sua necessità di allietare e nello stesso tempo “bruciare” i sensi saranno una prerogativa di tutte le sue opere. I primi full lenght sono Sunna del 2009 e Twin Tigers di due anni più giovane. Dopo queste esperienze studio inizia una lunga traversata per il mondo, che lo porterà anche in Europa dove si esibirà con Mikal Cronin. Proprio durante queste scorrazzate soniche inizia a prendere vita III; W-H-I-T-E scrive e registra parzialmente i pezzi “on the road” (non vanno sottovalutate le soste parigine e il ritorno alla città natale) per quasi tre anni. III è una sorta di sunto, di raccolta di questo lungo tempo passato a registrare. Il risultato è qualcosa di prodigiosamente celestiale.

Se ”Intro” somiglia in modo imbarazzante al pezzo d’apertura di Palace degli Chapel Club non ci s’illuda e non si pensi che vi sia alcun tipo d’influenza Neo-Gaze. Ciò che accomuna III alla scena di cui fa parte la formazione britannica di Lewis Bowman e Michael Hibbert è solo una certa vena dreamy, celestiale, spirituale, incorporea. Un po’ la stessa che si respira in alcuni brani dei Radiohead (“I Wasn’t Afraid”), considerando anche che la voce di Cory Thomas Hanson, ricalca per timbrica la stessa proprio di Thom Yorke. Non mancano reminescenze di psichedelia sixties e folk barrettiano fatto di voci melodiose e note ossessive come incubi colorati e passaggi in cui il Dream-Pop acquista una vena bucolica (“Can’t Fight The Feeling”, “Friends”) e naturista. Nella seconda parte, prevale invece l’aspetto più duro, freddo e sintetico della proposta di W-H-I-T-E, che miscela le ritmiche tipiche dei Club anni ’90, il cantautorato statunitense di vecchia data e la storica scuola dei precursori dell’elettronica applicata alla New Age e all’Ambient (“Pretty Creatures”, “Lost”) con la musica cosmica in stile Tangerine Dream (“Deep Water”).

Assolutamente gradevoli anche i momenti più essenziali, legati indissolubilmente alla linea melodica e dalla forte ispirazione Radiohead dei momenti più intimi (“Demons”), cosi come riuscitissimo suona l’incontro tra psichedelia e Dream Pop in “Swim”. Nella parte conclusiva troviamo sperimentazioni che sembrano miscelare le basi irriverenti e Lo-Fi tanto care a Beck, altro genio di Los Angeles, con il Pop-Rock britannico (“Wet Jets”) mentre III si chiude con il pezzo più oscuro, freddo, ambiguo dell’opera di W-H-I-T-E, ricco com’è di ossessioni e speranza (“Building On”).

È lo stesso Cory Thomas Hanson a spiegare bene la sua opera. “Ho iniziato a scrivere con l’idea di John Lennon che fa una registrazione sulla luna con Cluster e Eno a fare da produttori. Il tutto remixato da Moby”. Io aggiungerei questo. Pensate a brani scritti da John Lennon, cantati da Thom Yorke e suonati dai Pink Floyd con i Tangerine Dream a gestire la parte sintetica, il tutto sotto la supervisione di Cluster ed Eno e mixato da Moby. Rende ancor meglio l’idea.

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Il video bootleg dei Totale Apatia al Roxy Bar

Written by Senza categoria

Dopo avere intervistato RuSsU e visionato il video di “Sai Perché?” per il progetto LaGrandeOnda (che andrà in onda su RoxyBarTv) presso il MUSIC ITALY SHOW in Fiera a Bologna, RED RONNIE ha deciso di invitare i TOTALE APATIA ad esibirsi live nei mitici studi del ROXY BAR, riaperto SABATO 15 GIUGNO per una serata in collaborazione con Aramini Strumenti Musicali che tra l’altro metteva in palio un set completo di batteria e amplificatori per l’artista ritenuto più meritevole.

In qualità di partner dell’esibizione, Rockambula vi propone il video bootleg dei Totale Apatia al Roxy Bar.

Vi invitiamo inoltre a visitare e partecipare, magari inserendo un commento, alla pagina https://www.facebook.com/events/387718038004928/ dedicata proprio alla promozione del video bootleg.

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Luminal (con intervista)

Written by Live Report

Venerdi’ 8 Giugno 2013 @ L’Aquila, Piazza Angioina

Erano anni che non tornavo a L’Aquila, o meglio in quella zona del nostro capoluogo che chiamano Rossa, forse per il sangue che ha bagnato la terra, sporcato le pareti traballanti in quella maledetta notte del 6 aprile 2009 ore tre e trentadue. L’occasione è arrivata. Lotto giugno è una festa oltre che un momento di partecipata riflessione. Piazza Angioina è un luogo nascosto nel cuore della città che fu e che ora vuole rinascere.
Oggi la Piazza è però solo cibo, giochi popolari, mostre, concerti, videoproiezioni e spettacoli organizzati da ragazzi delle varie associazioni, Tre E Trentadue, Asilo Occupato, Case Matte e Appello per L’Aquila.
Questa sera ci sarà il concerto di Le Naphta Narcisse, band aquilana prossima al primo full lenght e soprattutto dei Luminal, una delle formazioni che più sto apprezzando, grazie all’ultimo album Amatoriale Italia, in questo 2013.

Iniziato il concerto non c’è molta gente (anche se nella zona centrale del paese scoprirò poi esserci tantissimi ragazzini che evidentemente amano più discoteca, cicchetti e cazzeggio a Rock, birra e “partecipazione”) e l’impianto di amplificazione sembra quello di una serata tra amici. Ti guardi intorno e capisci che gli amplificatori sono l’ultimo dei problemi. Nel pomeriggio ho fatto un giro tra le macerie, ho visto le case dei miei anni universitari, ho visto la mia vecchia dimora e ho quasi pianto nel osservarla ancora in piedi pur se sofferente, con gli arti spezzati e la porta spalancata come una ferita aperta su quella cucina e quel vecchio divano dove ho poltrito, bevuto birra, cazzeggiato, chiacchierato e conosciuto la gente, il mondo e la vita. Ho avuto paura di quei silenzi irreali, della mia memoria, paura di qualcosa che non so bene cosa sia ma che probabilmente resterà fino alla fine dei nostri giorni appollaiata sulle spalle di noi aquilani cittadini, provinciali o d’adozione.

Fanculo amplificazione, fanculo il freddo, fanculo il governo, Berlusconi e il M5s, fanculo tutto e tutti. Quello che conta è che L’Aquila sia ancora qui e che ci sia ancora qualcuno che crede in lei, come i ragazzi che hanno organizzato tutto questo ma anche noi che abbiamo fatto sessanta chilometri per essere qui ed io che scrivo e vi ricordo che L’Aquila non è morta in quella maledetta notte del 6 aprile 2009 ore tre e trentadue.

Quello che conta è che i Luminal stanno per iniziare il concerto ed io voglio solo stare ad ascoltarli, senza dirvi una parola di più. Ho chiacchierato con Alessandra Perna, voce e basso della band, il giorno dopo il concerto e insieme vi stiamo per raccontare quello che è stato.

E tanto per sdrammatizzare, alla fine trovate il video (perdonate la scarsa qualità audio) della caduta di Alessandra sul palco (un ringraziamento speciale a Fabio Presutti). Capita quando ci si mette l’anima.

 

Ciao Alessandra. Vi ho visto pochi giorni fa suonare a L’Aquila. Cosa vi ha portati proprio nel capoluogo abruzzese. Quale particolare occasione?
Abbiamo suonato in occasione della festa della NON ricostruzione, un concerto organizzato nel cuore di quella città che si è fermato dopo il 6 aprile del 2009.

Che impressione vi ha fatto la città e la sua gente?
La città fa paura. Fa paura il silenzio, fa paura il vuoto, fanno paura i salotti che si vedono dalle finestre ancora aperte dei palazzi distrutti, come se lì dentro ci fosse ancora vita, fa paura il fatto che in quelle zone qualcuno sia riuscito di nuovo a votare Berlusconi alle ultime elezioni.

L’Aquila tornerà mai quella che era? A proposito, ci eravate già stati?
Non ti posso dare la mia impressione sugli aquilani perché ne conosco pochissimi, e quelli che conosco sono completamente pazzi. E in generale sugli italiani sono la persona meno obiettiva che possa esistere. Non ho mai vissuto una tragedia del genere, non so che cosa significa ma non credo che L’Aquila tornerà mai quella che era. Qualsiasi discorso affogherebbe nel qualunquismo e questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Una cosa è certa: ci abituiamo troppo in fretta alle tragedie.

Il concerto è stato organizzato dentro la zona rossa, in una piazza che già prima del terremoto era poco frequentata. Ci lamentiamo del fatto che ai concerti il pubblico è sempre meno ma  poi gli organizzatori sembrano fare di tutto per nascondere gli eventi. Cosa ne pensi?
Spiegami meglio cosa intendi. Pensi che gli organizzatori abbiano pubblicizzato poco l’evento?

Pubblicizzato poco e scelto il luogo meno adatto.
Credo sia un discorso lungo e complicato. Fare le cose in Italia è sempre molto difficile, soprattutto quando hai poche risorse e non offri nulla di “cool”. Poi magari ti ritrovi a suonare su un palco traballante con una chiesa che ti può cadere sulla testa da un momento all’altro, però anche questo è rock’n’roll, quindi va bene così.

Passiamo al concerto vero e proprio. Avete suonato con Le Naphta Narcisse ma avete aperto voi le danze. Ci aspettavamo il contrario. A cosa è dovuta la scelta fatta?
I Naphta sono un gruppo nato all’Aquila, ed era giusto che fossero loro a chiudere la serata.

Nonostante la location suggestiva, ho notato, nella parte iniziale soprattutto, non pochi problemi di resa audio. Un problema di risorse limitate degli organizzatori o cosa?
Noi sul palco sentivamo molto bene, poi è normale che a meno che hai un impianto molto potente e costoso non si può sentire benissimo in una piazza

Avete suonato per intero (vado a memoria) Amatoriale Italia e niente dei lavori precedenti. C’è un motivo particolare (viste anche le differenze non solo stilistiche tra il prima e il dopo) o solo scelta promozionale?
Suonare i primi due dischi in questo momento non ha molto senso per noi, prima di tutto perché io suono il basso e non più la chitarra, Carlo canta e basta, quindi i pezzi vecchi non sono fattibili con questa formazione, anche se prima o poi ci piacerebbe rifarli, magari collaborando anche con altri musicisti..vedremo che cosa succederà.

Nello specifico dell’esibizione aquilana, avete dato il massimo (praticamente perfetti, compresa la tua caduta) pur non essendo dei virtuosi dello strumento, quando al basso c’era Carlo e tu alla voce. Nella situazione normale e contraria avete avuto problemi sia tu che lui. Come mai?
Oddio, noi non abbiamo percepito nessun problema in entrambi i casi (ridiamo ndr) (forse un cavo mezzo rotto del microfono che poi è stato sostituito?).

Che differenza c’è tra i Luminal che hanno suonato a L’Aquila e quelli che suonarono anni fa, sempre in Abruzzo, a Sulmona?
I Luminal di oggi hanno finalmente trovato la forma giusta per esprimere quello che hanno sempre pensato e il loro modo sbilenco di vivere la vita.

A proposito di “modo sbilenco di vivere la vita”, nelle vostre canzoni parlate in maniera feroce e dura di Facebook (di un modo malato di usarlo), della critica musicale e di hypster (oltre a tante altre cose). Quanto vedete queste cose come “problemi” di cui parlare? e come vi rapportate a essi?
Internet ha ucciso l’arte, ha ucciso il pensiero critico, impone regole di vita sociale peggiori di quelle della televisione, ha eliminato la noia e la solitudine salvifiche per la creazione, ha reso i giornalisti pigri, i musicisti troppo simili fra loro (almeno quelli della scena dominante).
Sfido chiunque a vivere la stessa vita degli artisti che condividiamo con tanto orgoglio ogni giorno su Facebook credendo di fare la rivoluzione (che non deve essere per forza politica, ma anche semplicemente umana).
Detto questo, vado un secondo sull’homepage di Rockit a vedere che sta succedendo.

Qualcuno ha definito i vostri testi a tratti “adolescenziali”. Non ti dico cosa ho risposto io (ormai hai capito quanto mi sia piaciuto Amatoriale Italia). Rispondi tu.
Se fai discorsi seri ti dicono che sei presuntuoso, se dici cose in maniera chiara e semplice ti dicono che sei adolescenziale, se dici la verità ti dicono che sei qualunquista, se non dici nulla ti dicono che ti lamenti e basta. Consiglio uso massiccio di benzodiazepine, grappa, una preghierina a satana e un vaffanculo a mammà ogni tanto che fa sempre bene.

Domanda “intima” suggerita da un tuo segreto ammiratore. Tu, Alessandro e Carlo siete solo amici?
(ride ndr) Io e Carlo stiamo insieme da 7 anni

Domanda ovvia per chiudere. Prossimi appuntamenti live e studio?
Si ricomincia il 23 giugno da Modena, Agriturismo Cantoni, poi potete trovare tutte le altre date sulla nostra pagina facebook. Credo che inizieremo a scrivere nuovi brani da settembre, ci sono già dei testi e un bel po’ di idee.

Abbiamo finito. Non posso che rinnovarti i miei complimenti per l’ultimo disco, Amatoriale Italia e augurarmi di rivedervi presto. Un saluto anche ad Alessandro e Carlo. P.s. perchè non togliete la vostra pagina da Rockit?
Ma in realtà non la gestiamo noi.  Comunque il senso di tutto è che Rockit è una webzine come un’altra.

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Live Music Is Not Dead! Si può ancora proporre musica dal vivo in Italia senza ricorrere a Cover Band o Dj? Parte seconda. Intervista ad Aldo Minosse del Pin Up.

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Nella prima parte del mio articolo Live Music Is Not Dead! mi sono chiesto quale potessere essere il problema della musica dal vivo in Italia e quali le principali difficoltà che devono affrontare le band per proporsi in esibizioni live. Ho cercato di inquadrare tutti i punti di vista dei diversi soggetti interessati ma la soluzione sembra più complessa del previsto.Per questo, ho deciso di intervistare Aldo Minosse del Pinup, giovanissimo locale che propone musica dal vivo di altissima qualità e che si sta prepotentemente ritagliando un ruolo notevole nella scena del centro Italia. Cerchiamo di capire con lui se si può e come si può dare ancora spazio alla musica “da palco”.

Ciao Aldo. Per prima cosa, come stai?
Bene grazie, ti volevo ringraziare per l’opportunità che la tua zine ci da.

Racconta ai nostri lettori chi è Aldo Minosse.
Io sono stato sempre un appassionato di musica, negli anni 80 organizzavo concerti metal, poi dal 1998 per quattro anni ho curato la direzione artistica dell’Indhastria, rock club di Giulianova dove sono passati nomi importantissimi della scena musicale italiana e straniera a memoria: Afterhours, Subsonica, Andy White, La Crus, Max Gazze, Daniele Silvestri, Bonnie Prince Billy, Sophia, Bandabardò, 24 Grana, Sud Sound System, Massimo Volume, Extrema, Linea 77, Fuck, Six by Seven, Toshack Highway, esordirono da noi i Perturbazione e poi tantissimi gruppi underground. Poi ho continuato a coltivare la passione dell’ascolto e ad andare ai concerti, e da quest’anno sono ripartito con questa nuova impresa.

Raccontaci come e quando è nato il PinUp. Quanti siete a gestirlo e quanti dipendenti avete?
Il Pinup è un progetto che risale ad paio di anni fa, ma che sì è materializzato il 15 dicembre 2112, c’è una proprietà e nelle varie attività siamo circa quindici le persone impegnate.

Una delle tante cose che mi hanno colpito è l’organizzazione praticamente perfetta. C’è un preciso organigramma che vi permette di svolgere ognuno il suo compito? Come vi organizzate?
Si, le attività sono divise per reparto, ci sono delle riunioni settimanali e si pianificano gli impegni successivi.

Il locale è in un vecchio capannone. Splendido esempio di recupero industriale il vostro. Cosa c’era in quel posto prima di voi? La sua riconversione ha migliorato l’identità produttiva intellettuale/culturale ed economica della zona?
Fino a cinque anni fa c’era un mobilificio, Per quanto riguarda la seconda parte della domanda dobbiamo aspettare ancora un po’, si tratta di una zona industriale, con molti capannoni. Sicuramente ci sono quindici persone che guadagnano qualcosa in un Iuogo che prima non produceva nessun tipo di ricchezza.

Perché avete scelto di aprire un locale che promuova la musica dal vivo? Non avete avuto paura di fallire, vista la difficoltà di tali locali specie in Abruzzo oppure di dover scendere a scomodi compromessi?
Abbiano fatto questa scelta perché innanzitutto siamo delle persone che amano la musica ed i concerti, abbiano sempre creduto che dalle nostre parti mancasse un luogo che potesse ospitare dei live organizzati in modo professionale e dove l’artista avesse a disposizione una struttura progettata appositamente per i concerti, palco otto metri per sei, impianto Meier residente, mixer sala e palco analogici o digitali come da richiesta da parte degli artisti. Con zona scarico strumenti dietro il palco e camerini con tutti i comfort. A questa passione per la musica dal vivo si è unita quella per la birra, a quel punto abbiamo deciso di metterle insieme. Alla base di questa scelta c’è una forte motivazione a investire sulla musica dal vivo, chiaramente quando si intraprende un’attività in un periodo di crisi come questo si ha sempre paura. Ovviamente non si è trattato di un salto nel buio, è stata fatta un’ analisi di fattibilità dalla quale è emersa la mancanza di un club di grandi dimensioni nel centro sud.

Che rapporto c’è tra la vostra struttura e la gente e le istituzioni del posto? Quanto vi hanno aiutato?
Siamo situati un una zona industriale, quindi intorno abbiamo delle fabbriche che quando noi lavoriamo, il sabato di notte sono deserte, quindi diciamo che non c’è una grande interazione, la cosa comunque è stata voluta proprio per evitare di andare incontro a problemi di rumore che si incontrano nei centri abitati. Le istituzioni sono coscienti delle difficoltà che ci sono nel mondo del lavoro, e quindi hanno colto l’occasione di poter riqualificare una struttura in disuso.

Quale è stato l’episodio più bello capitato in questi ultimi mesi? E quello che vorreste dimenticare il prima possibile?
Non ci sono episodi particolarmente negativi, belli tanti. Da fan la possibilità di incontrare J Mascis che chiede una bici per fare un giro e quindi…panico… nessuno di noi aveva una bici a portata di mano, alla fine abbiamo recuperato una vecchissima mountain bike di mio padre e lui “That’s cool”. Personalmente le espressioni di contentezza di tutti i ragazzi e ragazze davanti ai loro musicisti preferiti.

Ora che ci siete di nuovo dentro, avete capito perché la musica dal vivo è in forte declino in Italia? Colpa del pubblico, colpa vostra o colpa degli artisti? Perché artisti come Zamboni o Basile a Pescara, a ingresso gratuito, hanno fatto un pubblico di 10/20 persone?
La musica dal vivo a nostro avviso non è in forte declino, altrimenti non avremmo fatto questa scelta. Bisogna analizzare caso per caso, ci sono in effetti artisti che non riscuotono il successo che meriterebbero e le motivazioni, a mio avviso, sono molteplici e lunghe da illustrare.

Cosa ti senti di consigliare a un ragazzo che ama la musica e decida di aprire un locale?
In questo momento sinceramente dovrebbe guardarsi bene intorno e se dalle sue parti non esistono proprio situazioni che organizzano, trovare altre persone e cooperare per creare qualcosa di nuovo, altrimenti se esistono già delle situazioni, prima di tutto collaborare e imparare dalle strutture esistenti.

Da voi sono venuti artisti come Ministri, Ferretti o Dinosaur Jr. Scusa la domanda. Non sei obbligato a rispondere. Quanto vi costa il cachet di un artista di quel calibro? Riuscite a ripagarlo con consumazioni e ticket?
I cachet variano da musicista a musicista. Unitamente alla promozione effettuata dal loro ufficio stampa, noi pubblicizziamo al massimo l’evento sul nostro territorio. Quest’anno la risposta del pubblico, nel complesso, e’ stata positiva. In qualche caso   la serata è andata particolarmente bene, in altri abbiamo coperto le spese, in altri, per fortuna pochissimi, l’incasso e’ stato inferiore rispetto alle spese.

Come valuti l’esperienza del Pin Up fino ad oggi? Come ti è parsa la risposta del pubblico?
Si tratta di una esperienza bellissima e il pubblico, in questa prima stagione, ha risposto con grande entusiasmo.

 I Dinosaur Jr non hanno fatto il tutto esaurito. Vi aspettavate di più?
I Dinosaur Jr hanno fatto 3 date in Italia, Torino, Mosciano e Roma. Il numero di presenti e’ stato all’incirca lo stesso nelle 3 città, e questo per noi è stato motivo di grande soddisfazione. Le nostre aspettative sono state soddisfatte, essendo i Dino un pezzo importante della storia della musica alternative statunitense, ma non conosciuto dai giovanissimi.

In cosa dovrete migliorare?
Gli aspetti da migliorare ci sono sempre. La priorità della nostra agenda va al perfezionamento dell’acustica del locale.

Con i Dinosaur Jr il Pin Up va in pausa estiva. Cosa state organizzando per l’estate?
Per questa estate stiamo lavorando su qualche sorpresa, ma non possiamo al momento dare anticipazioni. Vi faremo sapere a breve.

Cosa ci sarà nel futuro del Pin Up?
Tanta musica dal vivo e artisti di valore, sia nazionali che internazionali.  Grazie!

Non sò se voi avete le idee più chiare ma io certamente ho capito una cosa. La prima cosa che conta è comunque l’amore vero (non a parole) e incondizionato per la musica che spesso manca agli addetti ai lavori (gestori ma anche musicisti) e c’è una risposta di Aldo in particolare che lo dimostra. Indovinate quale?

 

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Marcus Fjellström – Epilogue M Ep

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Nato nel 1979 a Luleå, nella provincia di Norrbottens län in Svezia, il giovane artista e compositore ha presto intrapreso la difficile strada di una musica ineffabile e con notevoli difficoltà a far breccia nelle anime delle diverse tipologie di pubblico. Dall’esordio full lenght del 2005 di Exercises In Estrangement, album Electroacoustic il cui l’ultimo pezzo ha titolo italiano (“Campane Morti e Acqua Crescente”), passando per l’evoluzione Experimental e Dark Ambient di Gebrauchsmusik, fino alle conferme stilistiche e Modern Classical di Schattenspieler e gli eccessi di Library Music 1 (i cui diciotto brani non hanno un vero titolo e vanno da “LM-101” a “LM-118”) le sue realizzazioni sonore hanno affascinato sia per la commistione della parte orchestrale con quell’elettronica sia per la presenza di preziosismi visivi. Nonostante la sua musica si presenti come elaborata, complessa e strutturata, Marcus Fjellström, ora trasferitosi in Germania, non ha mai trovato il favore del pubblico italiano (più confacenti le scene nordeuropee e certamente l’ascolto vi aiuterà a capire perché) ma ora vuole provarci, sulla scia delle grandi sperimentazioni teutoniche che stanno interessando anche il pubblico nostrano (vedi Teho Teardo & Blixa Bargeld), pur non adattandosi al caldo clima mediterraneo ma sempre attraverso note fredde, taglienti, inquietanti e oscure.

La giovane età e lo scarso interesse della platea italiana non facciano però pensare a un artista inesperto e dal magro curriculum. Diverse sono le sue collaborazioni (Swedish Royal Ballet, Scottish Chamber Orchestra) intavolate dopo aver studiato composizione e orchestrazione presso la Scuola di Musica di Piteå e aver conseguito il diploma e svariate sono le opere audiovisive da lui realizzate. I sei pezzi di Epilogue M, comprovano tutta la saggezza di Marcus Fjellström e portano a compimento un processo di decostruzione e ricostruzione sonora tesa a unire gli opposti, elevando gli elementi più superficiali e popolari della musica elettronica e abbassando a un grado più accettabile dalle masse, quelli nobili e raffinati propri della musica classica. Una sorta di fusione, sempre in chiave Avantgarde e sperimentale, sulla scia dei maestri come György Ligeti e John Cage, tra classicismi moderni di Bernard Herrmann, Angelo Badalamenti e Zdeněk Liška e l’elettronica e l’IDM di Aphex Twin e Autechre.

Non è certo il capolavoro di una vita, né sarà il disco che farà da colonna sonora ai vostri giorni più felici; non è un traguardo originale visto che tanti hanno provato la stessa strada, da William Basinski a Jóhann Jóhannsson passando per tantissimi altri anche in ambito Soundtrack ma Epilogue M è comunque un’intelligente conferma per un artista ancora da scoprire. Chi di voi non ama ascoltare la musica classica nel vero senso del termine, quella di Bach, Mozart o Beethoven ma ha interesse a scoprirne il lato oscuro e sperimentale troverà in Marcus Fjellström un ottimo spunto.

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Live Music Is Not Dead! Si può ancora proporre musica dal vivo in Italia senza ricorrere a Cover Band o Dj? Parte prima.

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Come vi sarete resi conto, se da un lato è sempre più facile proporre la propria musica grazie a facebook, youtube, soundcloud, spotify e tutte le diavolerie del web a costo (quasi) zero, l’aumentata concorrenza sembra ridurre le possibilità per gli addetti ai lavori di riuscire a organizzare eventi e concerti di medio-alta qualità e interesse guadagnandoci anche qualcosa. Il pubblico è sempre meno interessato ai live e si limita o ai grandissimi nomi da stadio o alle cover band di paese, poco impegnative sia per chi paga (band o biglietto) sia per chi ascolta. Chi fa musica propria e non ha ancora la fortuna di essere stato invitato al Circolo fatica anche a chiedere 200/300 euro per percorrere 800 chilometri e dormire in furgone (questa cosa è comunque utile per evitare che si freghino tutto; vedi gli ultimi Fast Animals And Slow Kids). Di solito la risposta tipo è: “Vi diamo da mangiare e una birra a testa prima di iniziare; poi se la serata va bene, possiamo aggiungere un’altra birra a testa e se la serata dovesse andare molto bene (come consumazioni, chiaramente!) allora si possono aggiungere altri cinquanta euro”.

Di chi è la colpa se ci sono sempre più cover band e sempre meno artisti veri? Se suonare sul serio è diventato impossibile sempre che non ci si voglia rimettere? Di chi è la colpa se sono sempre meno i locali che danno spazio alla musica (che non siano cover band o Dj)?
C’è chi se la prende col pubblico e non a torto. Ormai sono in pochi gli appassionati veri, quelli che ancora amano cercare, scavare, provare, sperimentare. Gli altri sono esattamente com’erano i loro tanto criticati genitori. La musica è solo quella che ascoltavano a vent’anni e lì sono rimasti. Vanno felici con le loro t-shirt ancora sporche di sudore adolescenziale ai concerti dei vecchi dinosauri e si divertono a parlare male delle band emergenti che neanche conoscono. Oppure sono totalmente in balia dei media, Mtv su tutti, e vivono la musica come un continuo intervallarsi di jingle pubblicitari.

Ma poi è anche colpa di chi suona in queste cover band. Spesso, gente dalla tecnica mediocre che a furia di ripetere lo stesso pezzo di Vasco per anni ha dimenticato anche quelle poche cose che sapeva sulla chitarra. Perché lo fanno? Per amore verso un artista? Per vanità? Perché è l’unico modo per farsi pagare un cachet decente?
Altro grande accusato è “il gestore del locale”. Strana bestia. Spesso di musica non capisce nulla ma ha un locale “Rock”. Per una band emergente, fatta di persone capaci, che hanno sudato tanto e messo l’anima nei loro pezzi, può offrire un pasto e le consumazioni ma per una cover band o un fake/new Dj (sono questa nuova specie di Dj che in realtà si limita a far girare casualmente pezzi presi da cd masterizzati o direttamente dal proprio Hard Disk. Siamo anche tu ed io, in fondo) che spesso (ma non sempre, siamo sinceri) hanno cultura musicale inadeguata e scarsa voglia di reale ricerca, ne hanno di soldi da spendere. Colpa loro? Anche loro “tengono famiglia” e sono Dj e Cover/Tribute band che gli riempiono il locale.

In realtà, forse è anche colpa di chi suona pezzi propri da due giorni e chiede duecento euro quando io a vent’anni avrei pagato per suonare.
Alla fine ti accorgi che sembra colpa di tutti e quindi non è colpa di nessuno. Ognuno di questi punti meriterebbe una serie di considerazioni a sé ma…

…ma poi capita che ti ritrovi in un paesino d’Abruzzo chiamato Mosciano Sant’Angelo in provincia di Teramo e t’imbatti in un locale (il Pin Up) spettacolare, nuovo ma dallo stile vintage. Grande tanto quanto il Circolo degli Artisti. Perfetto esempio di recupero industriale. Gestito alla perfezione e capace di portare in terre tendenzialmente dimenticate dai grandi nomi artisti come Giovanni Lindo Ferretti o Dinosaur Jr. E allora mi chiedo. È ancora possibile credere alla musica, quella vera? Perché un locale come il Pin Up ci riesce e gli altri no? C’è ancora chi va ai concerti e non solo a quelli strapubblicizzati. Si può fare…allora!

Invece che sparare cazzate l’ho chiesto direttamente ad Aldo Minosse, uno dei gestori del Pin Up. Nella seconda parte dell’articolo, che sarà pubblicata la prossima settimana, troverete l’intervista.

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Ministri – Per un Passato Migliore

Written by Recensioni

Io e i Ministri abbiamo un rapporto travagliato. Scoperti in tempi non sospetti quando li vidi aprire un concerto di Caparezza nel lontano (credo) 2008, seguiti in quell’inferno del Rocket di Milano a farmi cantare ad un metro di distanza alla presentazione del loro primo EP La Piazza, ho consumato, in quegli anni, il loro esordio I Soldi Sono Finiti. C’era eccitazione, intorno ai Ministri. Facevano rock, duro, diretto, ma anche melodico, semplice, popolare. Era la nuova canzone italiana, o almeno sembrava.

Poi uscì Tempi Bui, che a parte un paio di episodi non mi convinse più di tanto. E, dopo, Fuori, dove riuscivano a riprendere qualche filo interrotto nell’album precedente, ma dove ancora sentivo una qualche disarmonia generale.
Tutto questo per dire cosa? Che, all’uscita di Per Un Passato Migliore, primo disco (dall’esordio) senza la Universal, non sapevo cosa aspettarmi. Torneranno a fare I Soldi Sono Finiti? Ma perché, poi? Continueranno sulla strada, scalena e incostante, degli altri due dischi?

E invece no. I Ministri ripartono da zero, o meglio: dalle basi. Si spogliano di tutti gli orpelli e fanno quello che sanno fare meglio: scrivono, suonano, gridano, cantano canzoni. Né più né meno. Una batteria (mostruosa, le vere fondamenta di tutto l’impianto), un basso, chitarre (dai suoni pieni e allo stesso tempo distanti, confusi e totali, con inserti azzeccatissimi, minimali ma fondamentali) e voci (su cui è stato fatto un lavoro esemplare: costruite una sull’altra, quasi mai con una linea sola, con suoni che ripropongono fedelmente il range vocale di Divi, dal sussurro profondo all’urlo graffiante), il tutto, immagino, anche con l’apporto sapiente di Tommaso Colliva (già al lavoro, per dire, coi Muse) .
E le canzoni, è soddisfacente dirlo, sono belle. Ognuna con un motivo d’esistere, ognuna con qualcosa da dire, con qualcosa che ti fa tornare a riascoltarla, per trovarci, ogni volta, qualcosa in più. Sono brani semplici, ma non è una critica. È rock italiano puro, melodico, orecchiabile ma che spinge quando s’arrabbia, che colpisce forte quando vuole fare male. Così come i testi, criptici, ermetici, ma con quel verso, quell’immagine che non puoi non fare tua, che non puoi non ripeterti nella testa a disco finito.

Ci sono quindi gli inni, canzoni potenzialmente “simbolo” (cosa che ai Ministri riesce particolarmente bene): parlo dei due primi singoli, “Comunque” e “Spingere”, che nei ritornelli dipingono un mondo perdente, sporco, distrutto, ma allo stesso tempo gonfio di voglia di vivere, di “provarci comunque”, di (per l’appunto) “spingere”. C’è la rabbia intensa e pungente di “Mille Settimane”, l’amaro di “Stare Dove Sono” (“e se a togliere i colori / fossero proprio le ambizioni?”), la durezza de “Le Nostre Condizioni”. Ma c’è anche la sofferta e cupa “I Tuoi Weekend mi Distruggono” (“la guerra è semplice ma io / che cosa voglio distruggere?”), la disperata “Se si Prendono te”, la toccante “Una Palude” (“volavo sopra le nostre case / non c’era niente di eccezionale / non è un segreto che la terra sia / una palude senza di te”). “Caso Umano” è 100% Ministri, tremendamente seria ma con un afflato ironico che sa anche divertire, così come il piccolo pastiche “Mammut”. Completano il quadro “La Nostra Buona Stella”, una delle mie preferite (“il mondo è solo una sensazione / di cose che succedono altrove / e dentro me ci sono tutti i pianeti / e le stelle lontane che mi cercano ancora”), “I Giorni Che Restano” (“per dare il nostro nome a una scuola / dovremmo morir tutti in una volta sola”) e l’orecchiabilissima (paradossalmente) “La Pista Anarchica”.
I Ministri, insomma, fanno un disco dei loro, ma andandoci a mettere solo ciò che serve, e niente di più. La loro è una poetica del “noi”, un’epica del fiore nel deserto, del cristallo in un mondo di pietre, dell’amore nella melma. È rock, è italiano, è popolare: è un compromesso solido e riuscito tra “indipendenza” e mainstream. E questa volta c’è poco da fare o da dire: si prende Per Un Passato Migliore, lo si infila in uno stereo e si fa, per l’ennesima volta, play.

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La Band della Settimana: Carmilla e il Segreto Dei Ciliegi

Written by Novità

Questa giovane band pugliese Carmilla e il Segreto dei Ciliegi è formata da Giuliana Schiavone (voce, chitarra acustica, synth), Roberto Ficarella (batteria e tastiere), Anna Surico (chitarra elettrica e tastiere) e Marco Bellantese, basso elettrico, eha da poco terminato i lavori del nuovo album dal titolo Anche se Altrove, che contiene undici brani ed è in uscita per questa estate. La tematica che pervade e collega i brani è quella della necessità di trovare un “altrove” temporale ed emotivo, in cui provare la sensazione di trovarsi su una strada appena tracciata, di una nuova sequenza di vita incontaminata dalla contingenza di ciò che accade o è accaduto, da cui ripartire. Per questo, “riportami all’inizio, anche se altrove”, come se la musica fosse “ferita nella precisione degli eventi”, in grado di aprire potenziali bagliori di vita, in un processo non sempre facile di risveglio di consapevolezze nuove e di resistenza.

Carmilla e il Segreto dei Ciliegi, quindi, è l’espressione che allude alla specifica concezione d’arte alla base progetto. Non si tratta solo di un rimando a Carmilla, noto vampiro della letteratura irlandese, ma è immagine che si ispira al concetto di ciclicità radicato nell’opera: con la sua capacità di rigenerarsi nelle varie epoche, rianagrammando costantemente la forma del suo nome, Carmilla non può che divenire immagine di quel Suono/essenza che sopravvive al tempo e ai cambiamenti nella storia personale e collettiva del mondo.

Seppur nella loro fragilità, dall’altra parte i ciliegi sono da tempo simbolo tradizionale di forza e invito alla rinascita nella cultura orientale. Quando il suono si fa arte raccoglie in sé l’eco di tutte quelle emozioni chiamate “muta vertigine sovversiva”. Il suono è finestra che si schiude sulla nostra natura più autentica, la nostra Identità. Il suono è specchio che riflette. “Insondabile confine”.

Sito ufficiale

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Borderline

Written by Interviste

Ecco finalmente l’intervista con i vincitori dell’ultima edizione del nostro concorso, AltrocheSanRemo, realizzata da Silvio “Don” Pizzica. Buona lettura:

Ciao a tutti voi. Come state?
Ciao Rockambula, piacere. Noi stiamo bene, un po’ assonnati, ma con tanto lavoro da fare,  tra le riprese del video e le rifiniture dell’album. Insomma, siamo sul pezzo.

Iniziamo con le presentazioni. Chi sono i Borderline? Cosa significa Borderline oltre la traduzione letterale?
Siamo 4 ragazzi alla continua ricerca di noi stessi, Borderline è per noi un viaggio,una guerra e una contraddizione. Un viaggio all’interno di tutte le possibili sensazioni umane, le mille diverse sfaccettature dell’io, e la contraddizione che emerge tra esse. I nostri testi sono pieni di contrasti e a volte controsensi. Noi stiamo sulla “linea di confine”, queste emozioni le viviamo, le osserviamo, e le raccontiamo in musica.

Parlateci del bellissimo singolo Multicolor, il brano che ha vinto AltrocheSanRemo Volume3. Come è nato e cosa ha di speciale? Perché proprio quel brano ha battuto gli altri nove pezzi in concorso?
Perché è quello che è piaciuto di più, semplice! (ride, ndr) è stato un singolo azzeccato che comincia a dare i suoi frutti, ma la promozione vera e propria inizierà con l’uscita del video.

La vostra è musica di chiara ispirazione Brit Pop (ovviamente fino all’uscita dell’album i punti di riferimento sono questi, anche se pochi) anni novanta. È veramente questo che amate, volevate sempre suonare, avete ascoltato e ascoltate ancora?
Noi esprimiamo ciò che siamo. Io sono cresciuto, mi sono avvicinato alla musica grazie al sound d’Oltremanica, e ovviamente questo si riflette nell’idea di musica che abbiamo. Ma ripeto, ora i nostri suoni sono questi perché noi siamo questi. Se poi un giorno dovessimo fare Reggae, sarete i primi a saperlo, ma ne dubito fortemente (ride,ndr)

Perché avete scelto di guardare al passato e prendere una strada sicura ma affollata invece che provare ad aprire nuovi varchi, nel mondo del Rock, anche a rischio di perdervi?
Non esistono strade passate e strade nuove. Esiste la buona musica, e quella meno buona. Noi siamo convinti di ciò che scriviamo e se ci sono evidenti influenze di alcune band, queste vengono rielaborate e riprodotte secondo quello che è il nostro gusto. Siamo riconducibili a un movimento, al Brit Pop, ma non somigliamo a nessuno in particolare. Poi è ovvio, ascoltiamo un certo tipo di musica e questo ci influenza. Se trovi una band che ti dice che non si ispira a nessuno, sappi che ti sta dicendo il falso.

Raccontateci qualcosa del vostro primo disco di prossima uscita. Partiamo dal titolo; e poi, che novità dobbiamo aspettarci?
Il titolo è una carta che ci giocheremo solo alla fine, poco prima dell’uscita. I brani saranno vari, sono diversi tra loro e diversi da Multicolor. La matrice è la stessa, ma ci sarà spazio per molteplici sensazioni: dalla malinconia alla rabbia, dalla gioia alla voglia di urlare e ballare come se non ci fosse un domani.

Se mettete tanto di voi, una parte intima e preziosa, nella musica e cercate di fare soldi cosa distingue una puttana, un poeta e una band come la vostra?
La puttana di intimo e prezioso non ci mette proprio nulla, se non quello che tutti sappiamo. Il poeta ci mette l’anima ma poi va a puttane, solitamente. Una band come la nostra ci mette corpo, parole e anima: e sul palco, a contatto con la gente, è il momento in cui avviene l’estasi, il punto più alto, l’orgasmo definitivo. E gli orgasmi che ti regala una rock band sono più duraturi e soddisfacenti di quelli che ti può regalare una puttana.

La scena indipendente è un oceano di band non sempre di valore considerevole. Difficile emergere e complicato, per il pubblico, scegliere tra i Borderline, gli Albedo, I Milf o una qualunque delle tante formazioni che “ci provano”. Perché un ascoltatore, un nostro lettore, dovrebbe dare fiducia e il suo tempo a voi, prima che agli altri, non potendo darli a tutti?
E’ difficile e complicato anche scegliere chi ascoltare, oltre che emergere. Un ascoltatore medio oggi è bombardato da mille input e quelli predominanti soprattutto in Italia sono ancora quelli di una certa musica, trita e ritrita (questa si veramente vecchia) dei soliti quattro anzianotti che a malapena si reggono in piedi. Chi ha voglia di andare a gironzolare per i mille volti della musica indipendente può trovare alcune sfiziose scoperte. A noi piacerebbe essere una di queste, per iniziare.

Vi capita mai di dare uno sguardo alle classifiche estere, soprattutto anglofone? Oltre a inglesi di lingua, potete trovarci francesi, islandesi quando non insospettabili extraeuropei. Mai italiani. Se (sottolineo se) la qualità del nostro Rock, come dicono alcuni, è oggi alta, perché all’estero continuano a snobbarci? Il problema è in fase compositiva, promozionale o cosa?
Non credo sia in fase compositiva,ma di sistema: il problema è più che altro che all’estero propongono solo  gente come Nek o Ramazzotti tra gli italiani. Che per l’amore di Dio, funzionano bene, ma ci sono tante band che se le riesci a promuovere in Inghilterra o nel Resto d’Europa spaccherebbero non poco.

In quest’ottica, voi cantate in inglese ma mirate al pubblico italiano suppongo. Gli stessi Zen Circus hanno dovuto fare un passo indietro, per avvicinare il pubblico di casa nostra ed evitare di restare senza fan sia dentro sia fuori confine. Perché tante formazioni come voi continuano a cantare in inglese? Quale gruppo italiano che ha sfondato in Italia cantando in inglese è il vostro punto di riferimento, se lo avete?
Noi cantiamo in inglese perché non potrebbe essere diversamente. La nostra musica è fatta per essere cantata in inglese, i testi li pensiamo già cosi, la lingua italiana non avrebbe la stessa efficacia. Non è giusto continuare a chiedersi perché non si canta in italiano, siamo nel 2013 ormai. E’ un concetto da superare, non si deve per forza cantare in italiano. Essendo friulani, potevamo anche cantare in dialetto friulano. Ma non si addiceva molto al sound (ride, ndr)

Tornando alla difficoltà di emergere di una piccola band, ho notato che, quelli che ce la fanno, spesso (oggi più che ieri) ci riescono grazie a gesti che poco hanno a che fare con la musica (vedi 1° maggio) o grazie a pezzi di medio-bassa qualità ma immediati (qui torna in gioco la lingua madre) e di grande impatto (vedi Stato Sociale, I Cani, ecc…) sulla massa (che con la musica intesa come arte ha poco a che vedere). Voi cosa sareste disposti a fare, a cosa rinuncereste e a cosa non rinuncereste mai per una fetta di quel famoso “successo”? Siate sinceri…
Sulla prima parte della tua analisi, non posso che darti pienamente ragione. E’ cosi e basta, e qui ci si ricollega al discorso di prima. Noi ovviamente il successo lo desideriamo, come ogni artista (non credere a quelli che ti dicono che non gliene frega niente) e siamo disposti a tutto per averlo, ma con la nostra musica, le nostre faccione, e la nostra immensa fame. Nient’altro, quello che sarà, sarà.

Per un attimo non parliamo di voi. Come sempre, provo a farmi dare un nome. Quale è la band o l’artista Indie italiano più sopravvalutato in circolazione?
Ho letto che fate spesso questa domanda, e fate fatica ad avere una risposta, ma non ascoltiamo molto indie italiano, sinceramente. Comunque non esistono band sopravvalutate. Sono le band stesse che tendono a sopravvalutarsi a volte. E risultano fastidiose. Come ad esempio noi, che a volte ci diamo fastidio da soli.

Siamo in chiusura. Cosa hanno in programma i Borderline per l’immediato futuro? Album, live, diteci tutto!
Adesso stiamo seguendo i mixaggi per l’album, e ci staremo dietro un po’, perché tendiamo ad essere abbastanza esigenti. Poi sarà da decidere la data migliore per l’uscita. E’ il nostro primo album, vogliamo giocarcelo bene. Per quanto riguarda i live, ci aspetta un’estate abbastanza ricca di concerti, un po’ sparsi nel Nord Italia, anche se partiremo dal Friuli, la nostra terra madre. In autunno poi comincerà la promozione dell’album e li si girerà ancora un pochino di più. E noi, che amiamo visceralmente la dimensione live, non vediamo l’ora di fare ballare il numero più alto di “giovanotti da club” (e non solo) possibile.

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Se ci viene mai da starnutire mentre suoniamo. Ci pensavamo ieri e credo non sia mai capitato, non che io ricordi almeno. Ma gli altri della band la pensano diversamente. Abbiamo litigato di brutto su questo, ma ora è passata.

Abbiamo provato a conoscere meglio i Borderline, la band che ha trionfato ad AltrocheSanRemo Volume4. Aspettiamo con ansia l’uscita imminente del loro primo full lenght ma intanto gustiamoci ancora una volta il primo irresistibile singolo, Multicolor. Se tutti i brani saranno a questo livello si conquisteranno una bella fetta di pubblico. Voi che ne dite?

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I Am The Distance

Written by Interviste

Giunti sesti al nostro concorso AltrocheSanRemo Volume3, il trio di polistrumentisti lombardo ha comunque mostrato tante qualità e grande carattere. Abbiamo quindi deciso di intervistare gli I Am The Distance (facebook ufficiale) e, come potrete leggere voi stessi, la scelta è stata indovinata. Risposte mai banali e soprattutto parole che andrebbero fatte leggere a ogni giovane che si appresti a iniziare a suonare in una band.

Ciao. Per prima cosa, come state?
Ciao a voi di Rockambula! Al momento non ci possiamo lamentare…

Chi siete musicalmente, come band e come singoli? Perché questo nome?
Ci piace pensare di essere, presi singolarmente, musicisti completi; ognuno di noi ha alle spalle una formazione specifica su un determinato strumento, e successivamente ne ha imbracciati altri, coltivando in parallelo l’attività del canto. Inoltre, prima di incrociare le nostre strade, abbiamo sempre scritto e prodotto “artigianalmente” vario materiale come solisti, ciascuno con un diverso moniker (per Fabio, Split the void, in seguito titolo di uno dei nostri primi brani condivisi; per Jacopo, Someone; per Alessio, An Orchard Next to the Highway). Gli I Am The Distance, visti globalmente, non sono però un mero collage di tre individualità; sono anzi un’entità unica, collaborativa e multiforme, che cerca l’armonia e la coesione prima di tutto. Quanto al nome, è di base una suggestione, tanto fulminea quanto (crediamo) profonda, in cui ci siamo identificati; cercavamo qualcosa che riassumesse la nostra musica, e questo ci ha soddisfatti subito: “Io sono la Distanza”, e cioè la distanza dalle cose, dalle persone, dagli eventi che hanno finito per prosciugarmi; “Io” come essere umano non sono più l’altro capo di una relazione o di un legame, ma divento il vuoto stesso tra le due estremità.

Siete una band particolarmente giovane, con un solo full lenght alle spalle eppure avete già firmato per un’etichetta, seppur piccola. È veramente cosi utile avere un’etichetta alle spalle per una band come voi invece che puntare sull’autoproduzione? Non sarebbe più utile un ufficio stampa con “le palle”?
Il primo EP omonimo, in effetti, era completamente autoprodotto, mentre con Solace abbiamo deciso di guardare a ciò che facciamo sotto una lente più professionale. Il lavoro che la nostra etichetta, After Life Music Dimension, compie per noi e con noi ci è sembrato utile e proficuo: da una parte, la co-produzione ci aiuta a dare la giusta resa alle canzoni in fase di studio, senza però prese di posizione invadenti; dall’altra, ci ha aperto gli occhi sulle possibilità della vendita digitale. Finora, questa partnership si è rivelata essere in pieno spirito “indie” e anche economicamente vantaggiosa per noi; inoltre, cosa non meno importante, ci ha consentito di entrare a far parte di un ambiente giovanile, caloroso, pieno di ottimi musicisti, e di trovare qualche data in più. Uffici stampa e agenzie sono indubbiamente una buona soluzione, ma per adesso non ne sentiamo la necessità.

Domanda banale. Sono convinto però di ricevere una risposta originale. Perché cantate in inglese? Se ci pensate, il pubblico tricolore sembra appassionarsi più alle formazioni che parlano in lingua madre, al di là della qualità musicale della loro proposta.
La motivazione è comunque banale: non siamo mai o quasi mai riusciti a scrivere in italiano, neanche volendo; di contro, abbiamo sempre e solo scritto in inglese, e raramente traducendo una traccia pensata in anticipo in italiano. La nostra lingua non ci sembra in verità adatta alla (nostra) musica, prolissa e abbondante com’è per sua natura: è senza dubbio ottima per la prosa o la poesia letteraria, ma troppo instabile e barocca per la canzone – specie se di oggi; l’inglese è invece funzionale, sintetico, sufficientemente “tagliente” da trasmettere un messaggio nella maniera più diretta possibile, soprattutto nei pochi versi a disposizione in una forma-canzone come la nostra. Dal punto di vista dell’agilità, è la lingua più bella del mondo, assolutamente. Da parte nostra, come autori di testi, cantare in una lingua straniera non vuole affatto essere un’ostentazione di originalità o esterofilia pura, e neanche un tentativo di darci un tono da rockstar britanniche o americane (visto che qualcuno l’ha anche insinuato ascoltandoci); quel che vediamo nell’inglese è, piuttosto, un grande patrimonio lessicale, espressivo e di conseguenza artistico.

Nel descrivere la vostra musica parlate di tradizione acustica, cantautorato, Alt rock britannico e addirittura scandinavo, Folk, Country e Grunge. Ci si aspetterebbe un miscuglio e un complicato intreccio ma in realtà la proposta è estremamente lineare e facilmente godibile. È esagerata la descrizione o quelle influenze riguardano i singoli membri che poi, in fase di composizione, riescono a lavorare come un’entità unica?
La seconda che hai detto. Le nostre singole influenze sono molto differenti fra loro,  e solo dopo aver iniziato a scrivere insieme abbiamo finito per “contagiarci” a vicenda. Fabio proviene dal metal, nelle sue tante sfaccettature, e si è poi gradualmente accostato a generi più soft; Jacopo ha una preparazione pianistica di stampo classico, e durante l’adolescenza ha ascoltato dapprima moltissimo brit-pop, per poi estendere l’interesse a tutto il resto; Alessio ha imparato a suonare sulla scia dei grandi maestri del fingerpicking e di alcuni cantautori importanti, dipartendosi poi a sua volta verso altri lidi. La nostra apertura mentale ci porta a combinare tutto questo senza programmare nulla, con il solo scopo di fare qualcosa che ci convinca e ci faccia innamorare tutti.

A proposito di influenze, se doveste citare tre gruppi del passato dalla quale avete tratto ispirazione e che, effettivamente vi somigliano chi citereste? Se invece parlassimo di gruppi attuali?
Per Fabio, dalla vecchia guardia vanno citati senz’altro i Metallica, i Dream Theater, gli Alice in Chains; per Jacopo, i Fleetwood Mac del periodo Rumors, gli Eagles degli anni d’oro e i defunti Oasis; per Alessio, alcuni virtuosi come Marcel Dadi, Nick Drake, Jeff Buckley. Per i gruppi attuali, rimandiamo alla risposta successiva, che crediamo sia esauriente.

Parlando di band o artisti attuali, chi vi piace in Italia e all’estero?
Sulla musica italiana siamo parecchio selettivi; se dovessimo scegliere qualche nome, menzioneremmo altri chitarristi “sperimentali” attuali come Pietro Nobile e Sergio Altamura; oppure cantautori come Gazzè o Britti. Per quanto riguarda invece la musica straniera, non abbiamo veramente limiti: tra gli artisti che più di tutti ci mettono d’accordo, ci sono però innegabilmente gli Opeth, i Sevendust, gli Alter Bridge, i Pearl Jam; e ancora William Fitzsimmons, i Lifehouse, gli A Perfect Circle. Non mancano, naturalmente, i riferimenti personali di ognuno che possono incidere in misura maggiore o minore sui nostri pezzi: per Fabio i Mumford & Sons, Andy McKee, gli Incubus; per Jacopo gli Hanson, Noel Gallagher, Steven Wilson;  per Alessio i Radiohead, Tommy Emmanuel, i My Morning Jacket;.

Torniamo alla vostra musica? Chi di voi scrive musica e testi? Di cosa vi piace parlare nelle vostre canzoni?
Come detto, siamo un gruppo che ragiona con un’unica testa, quindi contribuiamo tutti attivamente alla composizione. Non c’è mai un meccanismo fisso o uno schema, né per la musica né per i testi, e neanche per gli arrangiamenti; un riff o un’idea possono essere portati in sala prove da uno o due elementi del gruppo, per poi essere arrangiati da tutti, oppure nascere subito da un’improvvisazione collettiva – e lo stesso vale per i testi. Ci viene spesso in mente “Spiral”, l’opener di Solace: l’abbiamo scritta di getto insieme, durante una notte insonne, trovando immediatamente ogni connessione – accordi, arpeggi, parole (divise e cantate fra tutti), struttura… Per questo ha un valore speciale. In realtà, comunque, ogni canzone ha davvero alle spalle un parto e una storia a sé.
La domanda sull’argomento delle canzoni stesse ha una risposta intricata. La bontà di un testo sta nella sua capacità di spingere ogni ascoltatore a immedesimarsi in modo differente: soltanto l’autore del testo stesso, infatti, conosce veramente l’essenza dei propri pensieri, e spiegarla apertamente equivarrebbe a violarla. E’ una complessa questione di privacy, che però non impedisce la condivisione, grazie alla libera interpretazione altrui. La stessa cosa vale per noi: a volte ognuno di noi non sa per certo di che cosa parlino i testi degli altri due, e il più delle volte si lascia semplicemente trasportare dalle immagini che le parole evocano. Se dovessimo proprio inquadrare grossolanamente i nostri contenuti, potremmo dire che le tematiche proposte da Alessio (il migliore di noi, sotto questo aspetto) sono le più sfuggenti, le più difficili da afferrare; Fabio e Jacopo, invece, si rifanno soprattutto a esperienze ben specifiche, da cui hanno ricavato la loro visione delle cose. Quello che lega tutti i nostri testi, in fin dei conti, è perlopiù un concentrato di malinconia, rabbia e frustrazione, espresse in una gradazione diversa a seconda del pezzo.

Oggi, a causa del web, dei maggiori mezzi a disposizione, sia per suonare che per proporsi, c’è un numero di band veramente esagerato. Credo che di tutte quelle che ci sono in giro, almeno il 90% potrebbero suonare per esprimersi senza cercare di proporsi all’Italia intera. (Domanda banale n°2) Voi dove vi trovate? Nel 10% o nel 90%?
Speriamo nel 10%! Girando, ci siamo accorti che la “concorrenza” è molta e la qualità è spesso medio-alta, ma ci auguriamo che la nostra musica – quali che siano i canali attraverso cui la proponiamo – venga vista come un prodotto di qualità.

In quest’ottica cosa cercate dalla musica? Pensate di poterci vivere oggi che i dischi non li compra quasi più nessuno e un concerto gratuito di Cesare Basile a Pescara fa un pubblico di circa 20 persone?
Per noi la musica è un linguaggio, un modo di essere, di descrivere il mondo; la diffusione web è ormai l’unica che conti davvero, e nel mondo underground la condivisione gratuita ha prevalso a scapito del business. A onor del vero, non ci interessa fare di quest’arte – e sottolineiamo il termine arte – un lavoro e nemmeno un hobby particolarmente redditizio: per noi è passione, esigenza biologica, e saremo sempre grati ai pochi che vorranno seguirci, vuoi per fedeltà o vuoi perché avranno ritrovato ogni volta una traccia di sé in ciò che facciamo.

Quale pensate possa essere il vostro ascoltatore ideale?
Di sicuro una persona intellettualmente aperta, ma non spocchiosa; critica, ma non distruttiva; emotiva, ma non smielata. Per entrare nella nostra dimensione, la sola regola veramente valida è lasciarsi trasportare.

Cosa differenzia l’Ep Solace dal vostro album d’esordio I Am The Distance? E cosa distingue i lavori in studio dalle vostre esibizioni live?
Molte delle canzoni del primo album erano fortemente guidate dal pianoforte, un ingrediente che in Solace ha svolto invece un ruolo di accompagnamento; le sonorità erano più acerbe, le soluzioni più ingenue, le dinamiche costruite meno sapientemente. Dovevamo ancora crescere, è chiaro. A volte, al confronto ci sembra che Solace abbia un sound lievemente più grunge in alcuni passaggi, senz’altro “americano” in brani come The Fall Never Comes e Shelter, e più marcatamente folk in Spiral e Butterflies and the black dog. Abbiamo voluto far risaltare maggiormente le differenze tra le nostre tre voci, con Alessio unico interprete nella sua Butterflies, Jacopo e Fabio spesso in duetto e soprattutto l’approccio corale di Spiral; in sostanza, si è voluto giocare più sui cori, sulle armonizzazioni e sui controcanti.
Dal vivo, cerchiamo di ricreare le atmosfere delle canzoni al meglio, con una cura via via più minuziosa per le modulazioni, i cambi d’intensità e gli intrecci vocali; durante le nostre prime esibizioni, fatte da seduti, tutto era più statico, ma da quando abbiamo iniziato a suonare in piedi la qualità dei live – e del nostro divertimento – è decisamente migliorata: il pubblico è più coinvolto, l’esecuzione più precisa e noi ce la godiamo di più.

Cosa viene dopo? Ci sarà un nuovo disco? Ci sarà un tour?
Abbiamo appena terminato un tour che ha coperto varie zone della Lombardia, e al momento quello che ci preme di più è lavorare sul nostro nuovo materiale; di carne al fuoco ce n’è molta, di buoni propositi anche. Tra i nostri progetti c’è sicuramente l’incisione, verso Ottobre, di un nuovo doppio singolo (probabilmente composto da una forma-canzone “canonica” e da una sorta di brano-concept, su cui ancora dobbiamo spremerci), sempre sotto After Life Music Dimension. Questo dovrebbe spianare la strada in vista del nostro primo disco vero e proprio, che si aggirerà intorno alle dodici/quattordici tracce e su cui abbiamo intenzione di concentrarci per buona parte del 2014. L’attività live proseguirà, naturalmente, ma non dovrà ostacolare il lavoro in studio.

Non pensate che la musica italiana sia troppo legata o al solito cantautorato
tradizionale o al Rock alternativo anni’90? Perché nessuno osa?
Il nocciolo è uno: gli italiani non hanno gusto, non hanno apertura, non hanno il senso della sperimentazione e della novità, in niente; tantomeno ce l’hanno nell’arte e nella “comunicazione” (qualunque cosa diamine significhi ormai). Questo non cambierà, perché ogni nostro stimolo culturale è ormai marcito o compromesso. Riconosciamolo e mettiamoci l’anima in pace, cercando nel nostro piccolo di fare qualcosa innanzitutto per noi stessi, e poi per gli altri.

Chi è la grande truffa dell’Indie italiano?
E’ l’indie italiano a essere una truffa.

Romagnoli (Management Del Dolore Post Operatorio) ha provocato tanto al concerto del 1° Maggio fino a tirarsi fuori l’uccello. Pollice su o pollice giù? Voi cosa sareste disposti a fare per decuplicare il vostro pubblico?
Ci pare si commenti da sé… A noi interessa la musica, le troiate da bambini le lasciamo a chi le ritiene opportune per ottenere qualcosa.

Perché da artisti sconosciuti parlano quasi tutti di coerenza, odio verso il mainstream, necessità di esprimersi senza la ricerca del successo? Tutti o quasi giurano che non venderanno mai la loro musica per qualche euro in più ma come la fama si avvicina, l’atteggiamento sembra mutare? Ipocrisia giovanile, ingenuità o è il successo che ti divora e cambia l’anima?
Mantenersi “innocenti” completamente in questo mondo è impossibile, ed è spesso è inevitabile dover scendere a patti con situazioni e sistemi sgradevoli (in ovvia proporzione a ciò che si intende raggiungere); da parte nostra, possiamo solo assicurare che faremo di tutto per mantenerci fedeli ai nostri principi morali, ai nostri sogni (quelli non intaccati dalla merda imperante) e alla musica, che è la sola cosa di cui alla fin fine ci importi.

Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Niente di particolare… Ci auguriamo solo di essere stati esaustivi. Alla prossima e grazie mille!

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