Storie e tormenti, speranze e delusioni di un incredibile cantautore polacco.
[ 13.03.2020 | Opus Elefantum | lo-fi pop ]
Senza girarci troppo intorno, partiamo dalla fine: il polacco di Varsavia Michał Rutkowski ha messo in piedi uno dei migliori dischi lo-fi del 2020 e non è più il caso di lasciarlo affogare nell’anonimato come consuetudine in Italia se non sei un nome “spinto” da qualcuno.
Essenzialmente cantautore folk, Bałtyk segue la strada dei precedenti lavori, puntando con più determinazione verso l’elettronica qui utilizzata in chiave glitch hop creando brani cantautorali in bassa fedeltà dal forte sapore ambient e rinvigoriti da una timbrica mirabile palesata da uno stile essenziale e incisivo.
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Un disco di cui farete fatica a non innamorarvi e a cui finiamo inevitabilmente per perdonare qualche piccola imperfezione o, meglio, scelta discutibile dovuta probabilmente a una presenza dell’elettronica da sistemare; album che sarà l’ambientazione perfetta per affogare la tristezza chiusi nella vostra stanza e stavolta i dovuti paragoni con Mount Eerie non potranno che essere solo accenni per semplificare la descrizione di una magia unica capace di trasmettersi solo da grandi compositori come loro, appunto.
Se proprio è a caccia di paragoni che vogliamo andare, proviamo così; ricordate quel disco in cui Mark Kozelek, ex leader dei re dello slowcore Red House Painters, si affiancò a Jimmy Lavalle (forse meglio dire The Album Leaf per capirci)? Perfetto; ora immaginate di sostituire lo stile di Kozelek con quello di Mount Eerie, mantenere le basi sonore su quell’ambient electronic ma più tenue, quasi solo accennato. Ci siamo. Basta aggiungere un’attitudine lo fi e qualche rumore qua e là magari mettendo tutto in mano ai Car Seat Headrest.
Ovviamente il paragone è un gioco anche se non molto lontano dalla realtà; un gioco perché Bałtyk dimostra finalmente di avere qualcosa di suo che solo i grandi danno prova di avere. Qualcosa che non sappiamo spiegare ma ci mette una fottuta nostalgia addosso di cui non riusciamo a fare a meno. Quel qualcosa che apparteneva a Kozelek, a Elliott Smith, a Mount Eerie, a Songs: Ohia e a non molti altri. Un suono cupo carico di melodie che scivolano senza fretta, con una tenerezza che stimola al silenzio ogni cosa che hai intorno. Canzoni che raccontano storie e tormenti, speranze e delusioni, con una voce che sembra esistere solo per costruire il palcoscenico per queste trame, triste e afflitta ma non in maniera patetica.
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Un disco come I’ll Try Not to Wake You non dovrebbe passare inosservato e invece è quello che accadrà; dovremmo rattristarci per questo ma per stavolta, egoisticamente, voglio essere felice di credere che queste undici canzoni siano solo mie, regali della mia tristezza per farmi sentire meno solo.
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Last modified: 19 Gennaio 2021