Immerso in sonorità indie e atmosfere slacker, il “nuovo debutto” del trio inglese suona godibile e convincente.
[ 19.05.2023 | indie rock, slacker rock | Matador Records ]
Ogni volta che mi appresto a scrivere di un nuovo album c’è una parolina (o, per meglio dire, un concetto) che si fa spazio nella mia mente in maniera piuttosto sinistra: hype.
Parafrasando una celebre pubblicità, l’hype è esso stesso il piacere, il risultato di quella sensazione di mistero e curiosità che, finché resta impalpabile e teorica, è innegabilmente affascinante.
L’universo musicale attuale è immerso nell’hype dalla testa ai piedi: del resto, l’unico modo per farsi largo in una scena che offre una quantità estremamente bulimica di uscite è quello di stuzzicare il più possibile l’attenzione dell’ipotetico ascoltatore, spesso andando anche oltre le reali intenzioni.
In questo senso, i bar italia non fanno eccezione. È piuttosto difficile stabilire quale sia la causa scatenante del fenomeno per cui una band che fino a poco tempo prima era roba da nerd che navigano le acque di Bandcamp all’improvviso diventa argomento urgente e imprescindibile per i tuoi contatti musicofili sui social, quasi si fossero tutti messi d’accordo. C’è sempre un misterioso momento in cui parlare di un determinato gruppo diviene un atto cool che ti fa sentire attuale e sofisticato. Così, de botto, (quasi) senza senso.
Del resto, l’hype è per definizione un concetto astratto e sfuggente, e quindi tanto vale restare col dubbio.
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Va detto che, nel caso della band inglese, l’aver firmato per un’etichetta di culto come la Matador ha avuto un suo peso in questo processo di sovraesposizione. D’altra parte, suonare indie rock e derivati e firmare per loro è già di per sé garanzia di un posto sulla mappa musicale (si vedano casi emblematici come Car Seat Headrest e, in tono minore, Horsegirl, ed è probabile che la stessa cosa accada anche con i Lifeguard, prossimi alla pubblicazione).
Dopo questa tediosa premessa, passiamo alle cose serie: Tracey Denim è un buon album. Arrivato dopo due lavori piuttosto amatoriali e lo-fi, il disco mixato da Marta Salogni rappresenta per certi versi un nuovo debutto per il trio londinese, che inizia finalmente a confrontarsi sul serio con il mare magnum che si cela dietro l’etichetta “indie rock”.
Le quindici tracce che compongono il disco sono pervase da una certa atmosfera slacker e compassata, segno che i bar italia qualche disco di Pavement e Beat Happening devono averlo ascoltato.
Tra l’incipit sornione affidato a guard e le sonorità quasi aspre di yes i have eaten so many lemons yes i am so bitte, è sicuramente la doppietta Nurse!–Punkt quella che cattura subito l’attenzione. Nella prima, il ritornello chitarroso e orecchiabile sembra strizzare l’occhio al Brit pop (per qualche strano motivo, ogni volta che la ascolto penso ai Cornershop), mentre la seconda si muove su territori più affini a indie rock e post-punk, per una versione più vitale e meno sonnacchiosa dei Dry Cleaning.
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Quella che però sembra essere la vera perla del lotto è Missus Morality: una semiballad trasognata che strizza l’occhio al dream pop e che si fregia di uno dei ritornelli migliori ascoltati quest’anno.
E, a dirla tutta, anche il testo ha decisamente un suo perché (“And I don’t care if you think I’m lonely / When I’m alone the wall falls back into place” è pura estetica slacker e ci piace tantissimo).
Un brano che è anche la dimostrazione di come l’alternanza tra le voci di Nina Cristante e Jezmi Tarik Fehmi conferisca al suono della band una tavolozza di sfumature e colori che rende l’ascolto ulteriormente godibile.
Tra gli fascinazioni trip hop della intrigante NOCD e gli echi vagamente shoegaze di changer, il disco propone una sorta di compendio su quanto ha da offrire il rock alternativo nel suo senso più ampio, e lo fa senza pedanteria ed evitando di scadere nella mera replica.
È sicuramente presto per dire quanta strada faranno i bar italia, e forse non è neanche così necessario saperlo.
Quel che conta è che, se certe atmosfere e sonorità sono il vostro pane quotidiano, non concedere una chance a Tracey Denim solo perché si rischia l’effetto del già sentito (che è sempre dietro l’angolo, e non potrebbe essere altrimenti) sarebbe un po’ un peccato.
Tutto questo, senza scadere negli eccessi dell’hype.
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Last modified: 13 Agosto 2023