La capacità di plasmare noise e industrial dentro delle suite meditative raggiunge il suo apex climatico facendo deflagrare la pericolosità allarmante in un vuoto cosmico che si atrofizza e contorce.
[ 01.03.2024 | Mute | post-industrial, electronic ]
La lava incandescente scorre veemente su un arido terreno incenerito, fagocitando, famelica e impetuosa, la vita inerme che le scorre tra le venature. Quello che rimane dopo il suo passaggio è solo un profondo silenzio. Il liquido magmatico sommerge, spogliando tutto il mondo della sua rigogliosa natura, ne rimane un’ossatura bruciata. Uno scheletro che si è decomposto senza accorgersene. Si raffredda, glaciale. Questa è l’esperienza che Scope Neglect di Ben “Mr. Reverb” Frost sarà in grado di regalarvi fin dallo scoccare di Lamb Shift, che ci introduce all’armatura metallica che si disintegra pian piano nelle composizioni concepite dall’autore australiano.
Selvaggio, eremita e da sempre contraddistinto da un profondo sguardo politico alla decadenza del mondo contemporaneo, l’eclettico e polistrumentista musicista di Melbourne produce per Mute Records il suo primo LP dal 2017, anno di The Centre Cannot Hold, dopo essersi dedicato alla scrittura di colonne sonore per serie TV (Fortitude, Dark, 1899, Raised By Wolves), installazioni di arte contemporanea (Broken Spectre) e un progetto collaborativo con Francesco Fabris che ha raccontato le eruzioni vulcaniche islandesi del 2023, terra che ha adottato Frost e che gli restituisce la possibilità di indagare con turbolenza sismica sulla metamorfosi della Terra, in costante moto perpetuo.
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Non ponendosi mai confini strutturali e schemi preconfezionati di sound design, Frost per questo ritorno sulle scene si affida alla collaborazione con Greg Kubacki, chitarrista della prog metal band Car Bomb, e Liam Andrews, bassista degli australiani My Disco.
La passione per le distorsioni gutturali del metal e dell’hardcore sono da sempre parte integrante del suo immaginario. Non è un caso se nel 2014 su A U R O R A collaborarono Thor Harris degli Swans e l’ex batterista dei Liturgy, Greg Fox.
Quasi dieci anni dopo, la capacità di plasmare noise e industrial dentro delle suite meditative raggiunge il suo apex climatico facendo deflagrare la pericolosità allarmante in un vuoto cosmico che si atrofizza e contorce.
Scope Neglect è minimalista nel suo stato dell’arte, operando per riduzione all’estremo. Il senso di grandeur ci è rivelato in una chimica di contrasti portati all’esasperazione. Vulnerabili, entriamo in una stanza dove non filtra alcuna luce. Lo spazio e il tempo non sembrano più appartenerci o importarci. Ed è qui che veniamo folgorati da giganteschi e monolitici riff che ci trafiggono in uno stato di trance. La Chimera può essere la bestia mitologica dell’Antica Grecia, come una vacua utopia, a noi la scelta.
Una cruda esperienza sonica, bagnata da ritmiche drone ossessive e frammentate come in The River of Light and Radiation, ripetute ciclicamente, che di volta in volta vengono amplificate dalle texture elettroniche innestate scientificamente in quella materia oscura manipolata e distorta sapientemente da Ben Frost. Un direttore d’orchestra distopico che davanti ai nostri occhi ci disegna la sua apocalisse sonora: gelida, martellante, onirica.
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Frost stesso descrive Scope Neglect come spazio negativo e, al passaggio di Turning the Prism, ci si sente così effimeri, soffocati da una coltre imponente che ti scompone meccanicamente in mille pezzi.
Sono _1993 e Load Up on Guns, Bring Your Friends a concederci inquietanti armistizi ambient, prima dell’ascensione finale della pioggia radioattiva di Tritium Bath. L’onda d’urto prodotta è un raggio d’energia molecolare che ci proietta verso una nuova alba, per nulla rasserenante.
I cinque minuti finali di Unreal in the Eyes of the Dead ci lasciano, se possibile, con una sinistra tensione nell’incidere marziale dei suoi bassi. Un brano che prende ispirazione dalla citazione dell’autore tedesco W.G Sebald: “I feel more and more as if time did not exist at all… only various spaces interlocking according to the rules of a higher form of stereometry, between which the living and the dead can move back and forth as they like, and the longer I think about it the more it seems to me that we who are still alive are unreal in the eyes of the dead.”
Nei soli trentasei minuti di Scope Neglect, Ben Frost ci ha ancora una volta regalato un capitolo riflessivo della sua carriera che rimbomba angosciante in questi anni che stiamo vivendo. Un’opera sinfonica senza sinfonie, guidata dall’urgenza di un futuro che appare sempre più buio.
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Last modified: 10 Aprile 2024