Un resoconto, a tratti inevitabilmente sentimentale, di quattro gioiose giornate di musica dal vivo.
Una località affacciata sul mare della caldissima Costa del Sol, a poche ore di volo, in un mese sinonimo di vacanza? Ce l’ho. Un festival con una line up che è ogni anno un’incredibile sorpresa, con nomi da far rosicare altre realtà molto più strutturate? Ce l’ho, pure questo. La possibilità di vedere tutti i concerti in cartellone, senza quelle odiate sovrapposizioni fra cui scegliere che ogni volta spezzano cuori e rovinano amicizie di una vita? Ce l’ho. Un’organizzazione da ogni punto di vista impeccabile, invidiabile efficienza, nessun sovraffollamento? E anche questo ce l’ho.
Inclusività, trasparenza, cura dei dettagli, rispetto della puntualità, massima attenzione ad ogni necessità? C’è tutto. Se anche secondo voi questi sono i requisiti fondamentali per la buona riuscita di un festival, allora il Canela Party è ciò che fa al vostro caso. Nato nel 2007 come Canela Core, il festival spagnolo ha saputo resistere nel tempo e adeguarsi ad una richiesta sempre maggiore, ma con la sola ed unica ambizione di “restare piccolo”: puntare sulla qualità e non sulla quantità nell’ambito della propria offerta. L’edizione di quest’anno si è svolta a pochi passi dalla Plaza de Toros di Torremolinos, dal 21 al 24 agosto. Due palchi allestiti per l’occasione, ribattezzati Fistro e Jarl, alternati senza alcun clash fra band e artisti. L’organizzazione ha saputo fronteggiare alcune defezioni rimediando con sostituzioni di tutto rispetto: fuori White Reaper e Shannon and the Clams, dentro Cloud Nothings e The Lemon Twigs. Le necessarie premesse sono quindi state fatte: che facciamo, iniziamo?
MERCOLEDÌ 21 AGOSTO
Dopo una breve coda all’ingresso per il ritiro del braccialetto, finalmente accedo per la prima volta all’area del festival. Ciò che a primo impatto mi lascia piacevolmente sorpresa è l’atmosfera tranquilla e rilassata che si percepisce in ogni angolo, oltre ad un’organizzazione che appare impeccabile in ogni suo dettaglio. Food trucks ordinatamente disposti, spazi vivibili e gestiti in maniera ottimale, un apposito punto per rifornirsi d’acqua gratuitamente. Persino una zona allestita con giochi gonfiabili per bambini, che sono presenti in gran numero – alcuni già indossano fieramente le magliette delle proprie band preferite!
Il cartellone del primo giorno di festival prevede la presenza quasi esclusiva di band locali: la curiosità è tanta, tantissima. Un problema tecnico a uno degli amplificatori ritarda di qualche minuto l’apertura delle danze, ma è solo questione di pochi attimi prima che il palco Jarl si accenda con l’entrata in scena del power trio Amigas Intimas, prima band in programma per la serata. Un post punk diretto, senza troppi fronzoli, talvolta alternato a più vivaci e spensierate sonorità indie; un buon biglietto da visita per ciò che ci aspetterà nei prossimi tre giorni, e per quanto mi riguarda persino diversi punti di simpatia guadagnati dal bassista Alvaro Garcia che dichiara di preferire i cani agli esseri umani (si scherza, lo sappiamo – ma forse non troppo).
Restiamo in ambito post punk ma a tinte più cupe con lo show dei La Culpa, che mi godo in lontananza durante una breve pausa. Finisco poi direttamente in prima fila in attesa dei Monteperdido, che annunciano questo concerto come il loro ultimo prima del loro scioglimento ufficiale. Tra power pop e punk rock, l’eccellente presenza scenica della frontwoman Bego mantiene alta l’attenzione e l’entusiasmo per l’energica band madrilena. Si cambia poi decisamente genere sulle prime accattivanti note di basso delle Adios Amores, con il loro pop ipercontaminato; a tratti catchy e piacevolmente ballabile, talvolta ammiccante al folk, altisonante e quasi barocco – forse un po’ troppo per i miei gusti.
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I Deeper arrivano direttamente da Chicago dopo la pubblicazione dell’ultimo album Careful! nell’orbita della prestigiosa Sub Pop lo scorso settembre e un fortunato tour con i Depeche Mode; sono la prima band non locale a calcare il palco Jarl stasera e si aggiudicano il mio personale premio “sorpresa” della prima giornata. Nonostante la provenienza geografica, c’è ben poco di americano nel loro sound, e in quella voce che mi riporta direttamente – e con un bel carico di nostalgia – alle sognanti melodie dei The Cure. Nic Gohl e soci dimostrano però di essere molto più di semplici cloni della storica band di Robert Smith, sperimentando con synth, pulsanti ritmiche, atmosfere gaze e qualche guizzo più rabbioso. La nottata prosegue con Los Punsetes, The Tubs e La Plata; io già pregusto, durante il tragitto di ritorno verso il mio alloggio, l’eccitazione per la giornata successiva.
GIOVEDÌ 22 AGOSTO
Arrivo al festival sul finire del concerto dei Meeky e faccio un breve sopralluogo al banchetto del merchandising accompagnata dalle melodie dreampop dei Fin Del Mundo, che attaccano puntualissimi sul palco Jarl.
L’assenza dei Bar Italia, annunciata solo qualche giorno fa, è stata rapidamente e brillantemente rimediata con la presenza dei Ghostwoman; decido di piazzarmi in una delle prime file per assistere al loro show. La batterista Ille Van Dessel compare sul palco Fistro indossando una t-shirt dei Butthole Surfers che attira la mia attenzione in men che non si dica; il chitarrista Evan Uschenko, di fronte a lei, già lancia sorrisi complici al pubblico. Il loro è un live carico di psichedelia ad alto voltaggio, seducente e ipnotico al punto giusto; i due canadesi ci regalano 45 minuti pieni di un viaggio misterioso e folgorante.
Mi sposto successivamente senza indugio verso il palco opposto. “Poético, político, un poco espiritual” sono le parole che campeggiano alle spalle dei Viva Belgrado – tratte dal loro brano Jupiter and Beyond The Infinite, contenuto nel recente album Cancionero de los Cielos. Chitarre abrasive, liriche talvolta urlate a squarciagola, un’intensità che raggiunge livelli quasi inspiegabili; la band emo/screamo spagnola può contare su un’affezionatissima fetta di pubblico che canta i testi a memoria e si lancia talvolta in un coraggioso crowdsurfing, coinvolgendo tutti i presenti (sottoscritta compresa).
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Mi ritaglio un attimo di relax per poi fiondarmi, con una curiosità ormai salita alle stelle, di nuovo verso il palco Jarl dove Curtis Harding si prepara per la sua esibizione. Credo di poter confermare che sia stato uno dei concerti più divertenti a cui abbia assistito recentemente: un’energica voce soul accompagnata da una grandiosa band è quel poco (tanto?) che basta ad accendere la scintilla e far scatenare tutti i presenti, nessuno – ma dico, nessuno, escluso: non mi è capitato di vedere una sola persona stare ferma per tutta la durata del live. La chiusura finale con Need Your Love fa esplodere letteralmente il pubblico in un grande ballo collettivo, con tanto di lancio dei tradizionali “confettis”.
Accantono temporaneamente l’entusiasmo danzereccio e raccolgo tutte le mie emozioni per la mia prima volta faccia a faccia con i Big Thief. La splendida voce di Adrianne Lenker è qualcosa di talmente magico da cancellare ogni parvenza di percezione dello spazio circostante; ciò che si sta svolgendo in mezzo a centinaia di persone sembra di colpo trasportarsi in un luogo intimo e incantato. I miei due momenti preferiti? L’amatissima Shark Smile in apertura, e una versione di Not da pelle d’oca.
Finiamo la serata in bella con una delle band da me più attese: i francesi Slift, cosmonauti dello psych rock più estremo. Il trio inscena un mirabolante spettacolo fatto di mastodontica pesantezza e fantascientifiche montagne russe sonore che sembrano non vedere mai una fine. Una macchina ben rodata che sa destreggiarsi alla perfezione fra doom, stoner, sludge e psichedelia, coniugando tecnica e improvvisazione in una tiratissima Odissea senza sosta. Da rivedere, senza dubbio, ancora e ancora; è una promessa quella che mi faccio a fine concerto, intanto vado a ricaricare le batterie per la giornata successiva.
VENERDÌ 23 AGOSTO
Terzo appuntamento con il Canela Party e, per quanto mi riguarda, il venerdì è la giornata più attesa. Un bel po’ di nomi da far tremare i timpani previsti per la serata, fra cui alcune delle mie band preferite – cercherò di non essere troppo di parte ma non è detto che riuscirò nel mio intento, voi lettori non fateci troppo caso. Due batterie e un muro insormontabile di chitarre sono la formula magica del noise al vetriolo degli spagnoli Lisabö; a seguire, dei Militarie Gun carichi a molla che infiammano la folla senza perdere un colpo, con un inesauribile Ian Shelton salta e corre sul palco senza sosta. Una bella sorpresa sentire per la prima volta dal vivo il nuovo singolo Thought You Were Waving.
Il tramonto è scandito dalle sempreverdi chitarre di Dylan Baldi e dai suoi Cloud Nothings, in forma smagliante. Una scaletta che attinge principalmente dall’ultimo Final Summer ma scava anche nel passato, per la gioia di un pubblico super entusiasta. Il finale, affidato a Wasted Days, con mille coriandoli colorati sparati in cielo, è quanto di meglio avessi potuto desiderare. Ancora nostalgici muri di suono in chiave gaze per i Wednesday, guidati dall’incredibile voce di Karly Hartzman, che sfoderano sul finale una Bull Believer da brividi.
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Sigaretta in bocca e lattina di birra perennemente in mano, il teatrale ed espressivo Joe Casey compare successivamente sul palco Fistro. Il live dei Protomartyr supera decisamente ogni mia aspettativa: massicci e compatti, tirano dritti come un treno per 50 minuti di godereccia tensione post-punk. Mi fiondo poi a rotta di collo verso il palco opposto, per assicurarmi un posto in prima fila al cospetto dei miei adorati Metz – che mancano al mio appello personale dal lontano 2017. Per Alex Edkins e soci il Canela Party non è solo un semplice festival, ma un cassetto magico che si riapre, pieno zeppo di ricordi: e il loro affetto nei confronti di organizzatori e pubblico si vede, eccome se si vede. In setlist si alternano brani vecchi e nuovi. I pezzi tratti da Up On Gravity Hill, da Entwined a Superior Mirage, passando per una grandiosa Light Your Way Home, dal vivo riacquistano quel tiro rumoroso e distorto che da sempre ha contraddistinto il trio canadese. Quanto ai “classici”, sempre una certezza: Get Off e Hail Taxi corrosive più che mai, A Boat To Drown In il “luogo” più piacevole al mondo in cui perdersi.
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Si prosegue, più elettrizzati che mai, con i roboanti Model/Actriz – forse fin troppo roboanti, anche a causa dei volumi folli sul palco; la cassa di Ruben Radlauer vibra e pulsa ovunque come un cuore impazzito, mentre le movenze di Cole Haden seducono un pubblico in visibilio. Più che post-punk o noise rock, un claustrofobico rave: promossi a pieni voti. Gli irlandesi Gilla Band, veri pionieri in quanto a sperimentazione fra ostile e ballabile, chiudono il cerchio alla perfezione. Visti e rivisti nel corso degli anni, offrono a mio parere la loro miglior performance in assoluto sul palco Jarl; la doppietta Why They Hide Their Bodies Under My Garage / Eight Fivers travolge tutti i presenti in uno sfrenato vortice, a metà fra un pogo selvaggio e una danza sfrenata. Soddisfatta? Decisamente.
SABATO 24 AGOSTO
Immaginate di recarvi ad un festival e trovarci tre membri dei Devo, gli iconici Jack Nicholson e Shelley Duvall in “Shining” e il tiratore a segno turco Yusuf Dikeç. No, non sto scherzando, è tutta (esilarante) realtà: il sabato del Canela Party, come da tradizione, è “fiesta de disfraces” e tutti i partecipanti, o almeno, chi lo desidera, possono ingegnarsi per ideare il travestimento più geniale. Per una giornata il festival si trasforma in un bizzarro Carnevale ed è bellissimo andare a zonzo a caccia dei costumi più divertenti – ve ne ho citati solo alcuni, ma potrei andare avanti per ore.
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Mi perdo purtroppo il live iniziale degli Yawners, ma recupero alla grande subito dopo con i Prison Affair: un altro dei concerti visti in questi giorni che merita un posto sicuro nella mia top 5. La loro miscela di egg-punk e devocore, velocissima e letale, mi colpisce ed entusiasma a tal punto da spingermi al banchetto del merchandising per acquistare immediatamente due EP. Si resta in tema egg-punk anche sul palco opposto, con la successiva comparsa degli Snõõper. Purtroppo pesantemente penalizzata da una serie di disguidi tecnici sul palco, la band di Nashville non si lascia prendere dallo sconforto; intrattiene il pubblico mentre il problema viene risolto, e riparte più scatenata che mai.
Mi concedo un attimo di relax con i Cala Vento e arrivo carica in prima fila poco prima che i canadesi Home Front facciano il loro trionfale ingresso sul palco Fistro. Il palcoscenico sembra essere il perfetto habitat naturale del loro frontman Graeme McKinnon; il loro post-punk dalle forti influenze new wave raccoglie ampi consensi fra un pubblico super coinvolto. La festa continua con l’attitudine vintage dei Lemon Twigs, in un’atmosfera totalmente fuori dal tempo. Ricordate “Yesterday”, il film di Danny Boyle in cui, dopo un incidente, il protagonista si risveglia in un mondo che non ha mai conosciuto le canzoni dei Beatles e decide di utilizzarle per tentare la via del successo? Ecco, questo è ciò che mi torna subito in mente ascoltando il gruppo di Long Island, che in un mondo dominato da ben altre scene musicali sceglie di intraprendere la strada delle affascinanti melodie Sixties.
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Non ha forse invece bisogno di presentazioni la band successiva: i Superchunk, stasera “travestiti da persone degli anni 90” (semicitazione del breve scambio di battute con il pubblico che avviene al loro ingresso sul palco). What A Time To Be Alive è il vero pezzo-anthem che unisce tutti i presenti in un emozionante, seppur sguaiato, coro; nel mentre mi accorgo che alle mie spalle si sta persino svolgendo una “finta” partita di rugby fra spettatori travestiti da giocatori. È proprio il caso di dirlo: “what a time to be alive”. Dopo una full immersion di meravigliose chitarre decido di godermi in lontananza i Triángulo de Amor Bizarro, mentre chiacchiero amabilmente con tre ragazze spagnole vestite a tema Baywatch (avrei mai pensato di potere, un giorno, scrivere una frase simile?).
Si arriva infine di nuovo sotto il palco Fistro con un altra delle mie band più attese dell’intero festival: i Crack Cloud, freschi di pubblicazione del loro nuovo (e, se posso aggiungere, notevole) album Red Kite. Il loro asso nella manica? Una sezione ritmica micidiale e martellante, che rende ogni pezzo un irresistibile pretesto per ballare senza ritegno. Per motivi logistici sono costretta a rinunciare a Ibibio Sound Machine e Show Me The Body: tantissima (sana) invidia per chi c’è stato. Eppure lascio l’area del festival a cuor leggero, con il sorriso compiaciuto di chi sa di aver vissuto un’esperienza da raccontare orgogliosamente.
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Chiudo con poche, brevi parole – in quanto ritengo di essere già stata fin troppo prolissa – parole di ammirazione e massima stima nei confronti di tutti gli organizzatori e chiunque abbia contribuito a realizzare e mantenere vivo il Canela Party. Un festival così vivibile, accessibile in termini economici e con un’offerta di così alta qualità è al giorno d’oggi cosa rara, soprattutto se guardiamo all’attuale situazione in Italia, dove – salvando ovviamente alcune rare eccezioni – il monopolio dei grandi eventi ha fatto sì che token, prezzi differenziati e talvolta inaccessibili e lacune nella gestione diventassero questioni all’ordine del giorno. Se volete regalarvi un’esperienza di cui non vi pentirete, andateci.
[ leggi anche il live report dell’edizione 2022 ]
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Last modified: 26 Agosto 2024