Blindness, la cieca distorsione dei The Murder Capital

Written by Recensioni

La band irlandese dimostra ancora una volta di voler continuare dritta per la propria strada, per un percorso all’insegna di indipendenza e genuinità.
[ 21.02.2025 | Human Season | alternative rock, post-punk ]

Una delle frasi più famose, se non la più famosa di Cecità di José Saramago è: “secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono” e trovarci un’analogia tematica con il nuovo album a firma The Murder Capital è semplicissimo.
E va oltre il titolo Blindness, il lavoro uscito oggi, ancora una volta, per la loro Human Season fondata nel 2019 e che arriva a due anni di distanza da Gigi’s Recovery.

Una gestazione completamente differente dai quattro anni trascorsi dal debutto di When I Have Fears,
che aveva proiettato il gruppo tra i nomi più in voga di quella scena post-punk irlandese con
l’ondata Fontaines D.C. a dominare i live e le classifiche internazionali.

Fin dal principio, il leader e cantante James McGovern aveva rigettato la definizione post-punk, definendola sarcasticamente un’etichetta per chi vuol fare del lazy journalism musicale. E la parabola della band sembra proprio seguire la previsione di quelle parole, dal momento che il quintetto di Dublino aveva iniziato ad uscire dalla sua zona di comfort già dalla seconda fatica in studio, avvenuta nel 2023 con il già citato Gigi’s Recovery.

Un disco che, guardandolo in retrospettiva, lo stesso McGovern ammonisce di una ricerca quasi ossessiva al dettaglio, al pulviscolo che non funzionava dentro gli ingranaggi della composizione, con layer sopra layer di incisioni.
Per chi scrive, l’intento di spostare i The Murder Capital dal magma delle band fotocopia era riuscito, donandogli anche un’aura espansiva e cinematografica. Quel che è certo è che l’arco temporale nella sua produzione ha increspato un poco quell’onda di hype che essi stessi stavano cavalcando.

The Murder Capital © Hugo Comte
Una personale diaspora.

Blindness nasce sotto una luce differente e lo anticipava già dal suo singolo senza fronzoli Can’t Pretend to Know. Sempre con John Congleton in cabina di regia, ma registrato sotto il sole disincantato di Los Angeles, con la band che affronta la sua personale diaspora.
Con i chitarristi Cathal “Pump” Roper e Damien “Irv” Tuit che insieme a James McGovern risiedono a Londra, Diarmuid Brennan, il batterista, a Berlino e il bassista Gabriel Pascal Blake a Letterkenny, un paesino di quasi ventimila anime nel Donegal accanto all’Irlanda del Nord, Dublino sembra essere ormai lontana, un po’ come è successo nel processo creativo ai Fontaines D.C. di Romance.

Ma addentrandosi in Blindness, si scopre in realtà come il filtro e la lente d’ingrandimento sull’Irlanda è ancora una volta una linfa vitale che pulsa di energia e introspezione; e non lo diciamo solo per Death of a Giant, che imprime come un memoriale le sensazioni provate durante il giorno della processione a Pearse Street per la scomparsa di Shane MacGowan. Il rapporto dei The Murder Capital con la madrepatria è per certi versi complicato, profondo e dogmatico, e nel mentre ci offrono la loro interpretazione di ciò che li lega indissolubilmente, il racconto si arricchisce di ulteriori sfumature nei suoni di brani che recuperano una formula schietta, diretta e semplice.

Essere concisi, per loro fortuna, non significa lasciare delle bozze incomplete, dato che i nostri sfruttano il minutaggio nel pieno delle capacità, partendo da degli hook che ti si stampano facilmente in testa. Fin da subito Moonshot, che ha i suoi embrioni addirittura nelle sessioni di When I Have Fears, apre il disco chiarendo nitidamente i suoi intenti: catchy e trascinante, rabbiosa e con un sapore alternative rock che non ci leveremo per tutta la durata dell’album.

Il post-punk maledetto di Love, Love, Love può essere un incubo distante, ma Blindness rimane nella sua accessibilità un disco dark e politico.
In apertura citavamo Saramago non per caso: il cuore pulsante tematico dei pezzi è il vedere e il non vedere, o meglio, lo scegliere di ignorare, la distrazione consapevole. Per usare parole di McGovern: “I think blindness is endemic in the human condition, really. We’re made of blind spots. We try to
focus on things and meet each person, task and song with as true a heart as possible. But at
the same time, it’s powerful to be aware of how much you can’t see.”

Contro le distorsioni politiche.

E su questo il timbro vocale di McGovern è nato per essere accattivante e pop, ma è nella sua penna che si trova il valore aggiunto che potenzia il tutto, fin dai tempi dell’elaborazione del lutto per la morte di Paul Curran e i cupi echi di John Keats; la sensibilità nella sua scrittura è un valore differenziante che si adatta perfettamente allo spirito cangiante di Blindness.

Troviamo l’urgenza apocalittica di The Fall, come il romanticismo perduto più grungy di Words Lost Meaning e quello scanzonato easy listening di A Distant Life, fino alle tinte notturne, meditative e delicate di Trailing a Wing.

Dentro l’album ci sono anche due episodi spartiacque, uno accanto all’altro, che legano i Murder Capital all’Irlanda e a una presa di coscienza umana netta e improrogabile.
La prima, Born Into the Fight, con il suo alternarsi spirituale e teso nello sviscerare il complicato rapporto tra fede religiosa e lotta politica che risiede nella terra irlandese.
La seconda, Love of Country, una ballata crooner sbilenca da oltre sei minuti à la Nick Cave, pubblicata in anteprima come singolo, in esclusiva su Bandcamp e in un’edizione fisica i cui proventi sono destinati al 100% a Human Aid per la Palestina.

Una dichiarazione contro le distorsioni politiche e i nazionalismi estremi, suggellata anche dal graffito comparso a Chatham Row a Dublino e dall’interrogativo chiave dell’intero pezzo, “can you blame me for mistaking your love of country for hate of man?” e dalle parole di McGovern nel presentare il brano su DIY: “It encapsulates a darker side of how blind humanity can be” e continua con “You can feel it now because of Palestine and Lebanon, but it’s always been happening, there’s active concentration camps in China today. You can still get the anti-Irish sentiment in London, which is totally insane. I’m laughing, because it’s just so ridiculous – the whole idea of patriotism to the point of ownership.”

Un percorso fatto di genuinità e indipendenza.

Un impianto lirico che in Blindness trova risposta nell’impalcatura di una band che in questa jam session californiana irruenta, dalla durata di un paio di settimane, ha recuperato di coesione e amalgama in modo vincente i tratti peculiari dei The Murder Capital.

Una sezione ritmica che torna ad essere robusta e prominente, in perenne agitazione, che si alterna anche nei frangenti più intimi e fluttua nei loop soffusi di Swallow, lasciando spazio alle linee vocali di McGovern, per poi prendersi il climax ascendente, come accade in That Feeling.
C’è un mix di sensazioni colorate, rapide, fugaci, schizzate sulla tavolozza velocemente, come la copertina à la Basquiat suggerisce.

Il treno per il mainstream alternativo forse è passato, ma quel che è certo di Blindness è che ci restituisce una band che continua dritta per la sua strada, con una certa indipendenza e una genuinità di fondo di fare quello che vuole, riposizionandosi ancora una volta sulla mappa come un gruppo dallo spiccato valore artistico, con coscienza critica e per nulla stanco di dire la sua, anche in questa sua versione 3.0.

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Last modified: 21 Febbraio 2025