Blonde Redhead @ Onde Sonore Festival, Pescara 19.07.2016

Written by Live Report

Dev’essere stato così che l’ingegner Liberi immaginò l’anima della Pineta Dannunziana all’inizio del secolo scorso, quando la città di Pescara era ancora tutta da inventare.

Stasera il suo Kursaal è illuminato a giorno, quinta scenica della corte di quella porzione di edificio che Giovanni Michelucci concepì qualche decennio più tardi nel progettarne la riconversione in una distilleria, privandolo momentaneamente della vocazione borghese e civile con cui è nato e che da alcuni anni la riqualificazione dell’intero complesso è tornata a conferirgli.

Il ferro di cavallo del Cortile degli Agostiniani dello Spazio ex Aurum è l’abbraccio giusto in cui stringere la formazione newyorkese che stasera darà il via a Onde Sonore per augurare alla rassegna un felice decimo compleanno. Pescara non ha rughe, la sintesi della prosa di Giorgio Manganelli ben descrisse una città giovane e frivola su cui la storia fa fatica a depositarsi, ma questo posto sembra fare eccezione, sempre pronto ad assorbirne dai pori della sua cortina in laterizio che ne serba il sapore industriale. Le arti si incontrano tra le mura dell’ex Aurum, e stasera l’artwork del disco che ascolteremo di qui a poco campeggia sullo sfondo del palco, con il celebre scatto di Carlo Mollino, una foto di quella serie scoperta postuma che testimonia il lato più naïf dell’architetto torinese: un ritratto di donna, col suo erotismo etereo eppure sfacciato, come quello che sprigiona Misery is a Butterfly, l’album grazie al quale i Blonde Redhead nella storia ci sono già entrati di diritto.

I discendenti della borghesia pescarese del primo Novecento sono senza dubbio gli odierni radical chic, come in genere ai frequentatori di eventi gratuiti piace etichettare gli altri, quelli che attendono con ansia un appuntamento come quello di stasera, con una band che è incarnazione vivente dello spirito no wave americano, trio italo-giapponese attivo dagli anni 90 e cresciuto sotto l’egida di personaggi come Steve Shelley e Guy Picciotto. Se è vero che il sound dei Blonde Redhead deve molto ai suoi numi tutelari, è vero pure che l’estro che i tre rivelarono nel concepire le sferzate di eleganza di un lavoro come Misery is a Butterfly li condusse verso una direzione estremamente personale, divergendo dal percorso artistico dei Sonic Youth così come da quello dei Fugazi.
Misery is a Butterfly ha dodici anni, ma la sua peculiarità orchestrale non ha mai avuto respiro adeguato in versione live. Il tour di quest’anno vuole invece celebrarne ogni sfumatura, con un quintetto d’archi – due violini, un violoncello e due viole – che si unisce a Kazu Makino e ai gemelli Amedeo e Simone Pace nella performance.

Di certo non si può dire che i tre abbiano l’atteggiamento dei divi. Arrivano entrando dall’ingresso riservato al pubblico e dopo un rapido passaggio dietro le quinte salgono sullo stage insieme al drappello di musicisti, Kazu al centro con gli archi alla sua destra, Amedeo a sinistra e le percussioni di Simone alle sue spalle.
Un giro di chitarra scalda l’atmosfera per introdurre la più naturale delle aperture, la malinconia di “Elephant Woman”, che è la stessa che inaugura l’ascolto del disco. Le luci rosse tratteggiano la sagoma di Kazu quando poi imbraccia il basso e salgono le percussioni cariche di “Falling Man” a fare da contraltare al timbro virtuoso di Amedeo. La melodia sintetica di “Anticipation” scioglie la tensione orchestrale, che torna incisiva su “Doll is Mine” e nelle peripezie dei contrasti nervosi di “Magic Mountain”. La title track è un morbido abbandono, dall’intro degli archi che accarezzano l’inquietudine del piano e del falsetto di Kazu fino alla lunga coda strumentale. L’onda emozionale prosegue su altri due tra i brani più apprezzati di Misery is a Butterfly (“Messenger” e “Melody”), dopo i quali per la prima volta la band spezza l’ipnosi e rivolge qualche parola al pubblico, è la Makino a pronunciarle timidamente per ringraziare i presenti. La malìa si conclude col groviglio di effetti ad avvolgere la sua voce e quella di Amedeo nel duetto che è la splendida “Pink Love”.

L’encore non si fa attendere molto. C’è spazio per qualche brano di Barragan ed anche per un paio di inediti, che viaggiano tra percussioni decise e un’attitudine Folk levigata dagli archi, pezzi evidentemente recentissimi tanto che sulle parole di uno dei due Kazu si inceppa pochi secondi dopo l’attacco, ma esce in maniera estremamente disinvolta dall’impasse confessando candidamente un momentaneo vuoto di memoria e ricominciando da capo.

Sul lungo applauso della platea i Blonde Redhead si congedano con gli stessi sorrisi con cui sono saliti sul palco. I presenti non possono fare a meno di contraccambiare e sentirsi grati. Basta un morso alla Grande Mela per saziare la voglia tutta umana di sentirsi al centro del mondo, almeno per una sera.

[ photogallery di Antonello Campanelliantonello.campanelli@gmail.com ]
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Last modified: 3 Aprile 2019