“A casa tutto bene?” Quante volte ci siamo sentiti rivolgere questa domanda e quante volte abbiamo indossato un bel sorriso di circostanza e risposto con voce pacata: “Tutto bene”. E invece dietro a quel tutto bene si nascondeva un intero mondo pulsante di delusioni, paure, rimorsi, ipocrisie e flebili speranze. Dario Brunori dopo aver cantato l’amore in tutte le salse, con il piglio scanzonato del viveur o l’occhio ironico dello spettatore, decide che è giunto il momento di abbandonare, in parte, l’approccio narrativo, che fa dell’iperbole e della battuta la veste ideale per ogni racconto, a favore di uno sfrontato, diretto, quasi crudele realismo. A ben vedere il seme del cambiamento si era già annidato nel precedente Il Cammino di Santiago in Taxi mostrando piccoli germogli in brani come “Nessuno” e “Kurt Cobain”. Nessuno, però, poteva sospettare che nel suo quarto lavoro la morbidezza, i ritmi sognanti e i cori ad libitum sarebbero stati cosi amari, tanto da sgretolare l’immaginario romantico e nostalgico che smuoveva l’animo e faceva ondeggiare amabilmente la testa a ogni singolo ascolto.
A Casa Tutto Bene, infatti, fa una decisa virata dal faceto al serio, travolgendo il consolidato schema poetico alla Brunori. La poetica, ma anche i temi si evolvono verso riflessioni socialmente e politicamente impegnate, allargando il tiro e relegando a un paio di brani il pathos amoroso. Gli aspetti sui quali ci si sofferma toccano l’attualità e l’universalità dell’esistenza umana, dal dilagante populismo, alla paura del futuro e del diverso fino alla deriva morale e sociale che vediamo passarci quotidianamente sotto gli occhi. I racconti imbastiti sono molto personali, la narrazione ha sempre un punto di vista in prima persona e le canzoni assomigliano a dei dialoghi interiori, quelli che ogni giorno tutti noi, o quasi, ci facciamo davanti allo specchio, seduti in macchina, in coda alle poste, mentre prepariamo la cena per i nostri cari. Sebbene il dialogo, posto in questi termini, possa sembrare una forma intima e chiusa, gli argomenti toccati e le posizioni espresse sono così condivisibili, rasenti l’ovvietà, che superano i confini dell’autoreferenzialità facendo di Brunori, come in una delle sue amate figure retoriche, un simbolo. Raccontando di sé, attraverso i suoi occhi, racconta anche di noi.
I colpi arrivano dritti e ben mirati, “La Verità”, “L’uomo Nero”, “Don Abbondio”, creano un quadro desolante, ricordandoci di quanto ci affanniamo a rincorrere obiettivi e sicurezze che in realtà ci imprigionano in una vita priva di coraggio e piena di paure e pigrizia (la verità e che non vuoi cambiare, che non sai rinunciare a quelle quattro cinque cose a cui non credi neanche più); di come il razzismo strisci sotto la nostra pelle di continuo (l’uomo nero si annida anche nel mio cervello quando piuttosto che aprire la portala chiudo con il chiavistello); della nostra colpevole complicità, quando ci lasciamo vincere dalla codardia e remissivi accettiamo il mal costume e la corruzione (Don Abbondio sono io affacciato alla finestra a guardare le macerie a contare quel che resta). La presa di coscienza della deriva culturale che ci attanaglia prosegue in maniera più leggera, con l’aggiunta di velati accenni d’ironia e perifrasi evocative in “La Vita Liquida”, monito di una realtà che evolve verso forme di socialità inconsistenti in cui facilmente ci si perde, in “Sabato Bestiale”, ritratto dell’uomo comune limitato a una visione del mondo superficiale derivata della TV e da un retaggio culturale vecchio e obsoleto, e in “Lamezia Milano”, vero punto di contatto con il passato, che al ritmo dei fiati ci ricorda come l’Italia sia un paese di migranti, fatto di province ferme agli anni ottanta, e metropoli che ancora incantano. Bisogna arrivare alla fine per ritrovare un briciolo di speranza e di invito all’azione. “II Costume Da Torero”, per primo, smorza l’amarezza accumulata nelle tracce precedenti con la delicatezza del coro e la melodia dolce e scarna. L’innocenza delle voci, giovani e fresche richiama alla mente una dimensione pulita dall’inquinamento della maturità, e pensare di poter vestire i panni di un super eroe, e darsi da fare in prima persona per salvare il mondo. Lo stesso concetto è rafforzato in “Secondo Me”, dove il consiglio è di smettere di guardare la vita dal buco della serratura e abbracciare una prospettiva diversa indossando gli occhi degli altri. “La Vita Pensata” chiude il momento dei buoni propositi, morbidamente ricordandoci che non sempre esiste una risposta certa e che la chiave di volta e svolta siamo noi e le nostre scelte (Me lo dicevi sempre la vita è una prigione che vedi solo tu. Me lo dicevi sempre la vita è una catena che chiudi a chiave tu).
A Casa Tutto bene è un disco importante nella storia di Brunori, una crescita stilistica e musicale che non tradisce il percorso fatto finora. C’è la grande capacità di raccontare con semplicità e immediatezza, ci sono le melodie, padrone indiscusse, ci sono i ritornelli che non ti lasciano più, le mandole, i ritmi caldi e nostalgici, e i cori ad libitum. La novità è c’e anche un grande lavoro, fatto anche grazie a Taketo Gohara, volto al perfezionamento degli arrangiamenti e dei suoni, all’utilizzo degli archi e dei fiati in maniera organica e funzionale, alla messa a fuoco di ogni brano con precisione dall’inizio alla fine. Dettagli spingono il disco a un livello superiore rispetto ai precedenti, aggiungendo modernità e togliendo un po’ di patina, ad un cantautorato figlio legittimo di colonne indiscusse, come Dalla e De Gregori.
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Last modified: 20 Febbraio 2019