La novità nella musica d’autore: l’album di esordio della band catanese.
[ 25.10.2019 | Viceversa / Seltz Recordz | indie pop ]
(di Chiara Grauso)
È uscito il 25 ottobre scorso il debut dei Caleidø, band che arriva direttamente da Catania, formata da cinque ragazzi. L’album porta al suo interno dieci tracce, ed è di difficile classificazione, in quanto sembra rifuggire dalle “etichette”.
Ascoltando Fate Silenzio si percepisce la sua vicinanza alla musica d’autore, tanto tradizionale quanto sperimentale (i rimandi a Battiato risuonano in più pezzi); vicinanza che, tuttavia, passa anche attraverso sonorità indie-italiane più recenti: la linea di artisti come i Baustelle è quella che forse più gli si avvicina.
Se le canzoni si differenziano nei suoni e negli stili, è nella scrittura che ho ritrovato il loro filo rosso: filo che permette all’album di non uscire mai dai binari. Si tratta di una scrittura molto riflessiva, portavoce di una generazione, quella dei ventenni, collocata in una fase di transizione: il passaggio alla vita adulta.
Così in La dieta, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album, le parole danno voce a una riflessione sulla liquidità (citando Bauman) della società nella quale viviamo, dall’amore ai social network: “La gente non si ama per niente / e non lo sa / la dieta diventa importante / ma non mi va / gli amori non pesano niente. / Ti tengo compagnia / ma non saremo soli / i social ci tempestano / pretendono attenzioni / la verità dipende dalle condivisioni”.
Accanto allo stampo synth pop che caratterizza fortemente questo pezzo, come altri all’interno dell’album, troviamo brani più intimi, vestiti solo di suoni essenziali, in cui vere protagoniste sono le parole. Sono in particolare Chi non dorme, Amici miei (ft. Cordio) o Go to Amsterdam, che mi hanno fatto pensare a come i Caleidø si allontanino da tanta musica prodotta negli ultimi tre o quattro anni, musica che fa del suo punto debole (o di forza) la povertà semantica e la ripetitività dei testi.
L’album si chiude sorprendentemente con quella che è la title-track, in cui, paradossalmente rispetto al titolo, si mescolano suoni molto forti (forse quelli che più si avvicinano al rock) a parole di protesta, nelle quali si riflette uno stato confusionale: “Le droghe, i postumi, le calze, il prete, i miei amici, / l’aspirapolvere, la luce, i lacrimogeni / gli infarti fulminanti, le commedie americane / gli occhiali scuri, i tatuaggi, la diversità / la medicina alternativa, la magia nera, / le frecce i motorini, le campane, i critici / le strisce pedonali le risate, le puttane / le frasi fatte, i tappabuchi, i convenevoli / fate silenzio / fate silenzio per un po’.”
L’album dei Caleidø è difficile, nel senso buono del termine: dentro si ritrovano tante cose, molti accenni, spunti e riflessioni. L’eclettismo che contiene è sicuramente dovuto in parte anche alla composizione della band: dentro ci sono le influenze, i vissuti e le sonorità di cinque ragazzi diversi.
Questo esordio, se a primo ascolto può sembrare disorientate, per il fatto di contenere cose molto diverse al suo interno, è in realtà molto a fuoco, e trova nelle parole quel collante forte in grado di tenere insieme tutto: “Ed io che non ho niente da dire / ho preferito le parole / di chi saprebbe meglio spiegare / che cos’è la verità / di questo mio palazzo mentale / ho messo a posto le macerie / se la memoria non tradisce / la vita forse non finisce.”
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Last modified: 13 Gennaio 2020